Nel 1990 a Roma nasceva il Derby del Cuore, una
manifestazione di calcio spettacolo tra attori, cantanti, tifosi e
simpatizzanti della Roma e della Lazio che scendevano in campo per
solidarietà vestendo i colori della propria squadra del cuore. Ventisei
anni dopo si scende in campo per un altro match particolarmente
importante, il quale vede opporsi due schieramenti su tutto il
territorio italiano: i "Pro Trivelle" contro i "No Triv".
Le rivali si sono preparate mesi prima alla battaglia
(chi più e chi meno), si sono scontrate apertamente sui social e sui
canali di trasmissione televisiva (soprattutto sulla rete), hanno
provato a spiegare i pro e i contro derivanti dalle future scelte dei
cittadini e cosi via. Tutti contro tutti, non importa lo schieramento
politico, due sono le scelte e due sono le possibilità di schierarsi o
meno da una parte o dall’altra: SI o NO. Il match si è giocato il
17 Aprile 2016 con una vittoria netta del Quorum, il quale non è stato
raggiunto poiché sono andati a votare solamente il 32% degli italiani
aventi diritto, annullando così la voce di quella percentuale di
popolazione che si è espressa con convinzione grazie alla sua scelta.
Chi ha vinto dunque questo Derby del Quorum?
Occorre fare qualche passo indietro per comprendere la
reale natura di questo Referendum. I cittadini italiani, infatti, si
sono trovati di fronte ad un quesito referendario che riguarda le
concessioni per le estrazioni di idrocarburi in mare entro le 12 miglia
per quanto concerne le concessioni già esistenti. In questo caso la
domanda che viene posta verte sulla possibilità di abrogare la norma che
ne limita la durata della scadenza delle concessioni, consentendo (col
"NO") o meno (col "SI") di sfruttare le stesse fino all’esaurimento dei
giacimenti sotto esame. Come ha fatto un quesito referendario di questo
tipo a creare una bufera tale sia in ambito sociale sia in quello
politico-istituzionale? Non esistevano forse altre problematiche o altri
scontri celati dal frastuono e dalle urla di coloro che pensano di avere
la verità in tasca?
Evitando ogni tipologia di tecnicismo per quanto
riguarda le piattaforme e le trivelle per l’estrazione di idrocarburi
sotto esame, con questo elaborato si vuole ampliare la visione del
lettore sulle tematiche entrate in gioco dal momento in cui è stato
richiesto, poi in seguito indetto, il Referendum del 17 Aprile 2016. Un
breve excursus politico-sociale per comprendere le tematiche di
fondo, gli scontri, le motivazioni a sostegno delle parti, le alleanze e
la movimentazione sociale che ne sono seguiti.
Un salto temporale di qualche mese aiuterà il lettore a
focalizzare il quadro completo delle scelte attuate dalle parti entrate
in gioco. Il titolo Amat Victoria Curam (La Vittoria Ama La
Cura/Preparazione) si collega perfettamente a questa introduzione
storica nella quale si citerà Giuseppe Civati, ex esponente del PD che
in seguito si è opposto alle scelte di Renzi dopo le primarie del 2013
fondando il partito Possibile. Opponendosi alle scelte del vincitore
delle primarie, infatti, nel 2015 l’ex PD decide di creare un movimento
di centrosinistra che si potesse opporre alle leggi considerate
fondamentali nell’agenda del Governo Renzi.
Evitando digressioni del testo particolarmente ampie,
ciò che interessa particolarmente in questo caso sono le proposte
avanzate da Civati il 16 Luglio 2015 tramite la raccolta di firme per la
richiesta di 8 referendum abrogativi, le quali dovevano pervenire entro
il 30 Settembre. Il tempo a disposizione per educare i cittadini e per
poter promuovere i propri ideali era troppo poco, questa "sponda
opposta" del centrosinistra non era pronta e non si era preparata, o non
si era potuta preparare, allo scontro. Il risultato era già scritto.
Scaduto il tempo utile per Civati e per il suo movimento
di opposizione, non avendo raggiunto le 500.000 firme necessarie entro
la fine di Settembre (secondo l’articolo 75 della Costituzione) per
richiedere un referendum popolare, dieci consigli regionali capeggiati
prevalentemente dal PD (Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia,
Sardegna,Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) decisero di
proporre 6 degli 8 quesiti referendari di Possibile, tra i quali rientra
anche quello di maggiore interesse ai fini di questo elaborato, ovvero
quello riguardante la ricerca e l’estrazione di idrocarburi in Italia
(l’Abruzzo, in seguito, si è ritirato dalla lista dei promotori). Il
referendum in questione risulta particolarmente importante nella storia
italiana in quanto risulta essere il primo derivante non dalla raccolta
di 500.000 firme, come già detto, bensì dalla diretta richiesta di
almeno 5 consigli regionali.
Nel Dicembre del 2015 uno "sgambetto" del Governo Renzi,
il quale ha apportato delle modifiche alla legge di stabilità proprio
sui temi affrontati dai quesiti referendari richiesti precedentemente,
ha portato la Cassazione al riesame degli stessi dalla quale ne è
scaturita l’ammissibilità per uno soltanto di quelli proposti, quello
che in seguito verrà indetto per il 17 Aprile e che verrà ricordato come
Referendum Abrogativo "No-Triv". I dissensi verso la politica energetica
attuata dal PD nazionale erano forti già da questo momento, ma dopo il
dietrofront senza scuse attuato da Renzi i consigli regionali decisero
di rendere ancora più aspri gli scontri. Cosa accadde all’interno del
partito?
In breve. Il Governo tramite lo Sblocca Italia ha
delineato un piano energetico nazionale che si scontra pienamente con i
poteri, le ideologie e le libertà di scelta dei consigli regionali, per
di più senza prendere in considerazione le loro richieste e le loro
rimostranze. Il governo portando avanti i suoi piani senza consentire a
questi ultimi di esporre le proprie problematiche e le proprie lamentele
ha creato ulteriori fratture interne al partito. Questo ha portato in
seguito ad uno scontro che si espande più sul piano politico che su
quello ambientale. Le regioni decisero così di unirsi nella lotta contro
il piano energetico espresso e portato avanti sul piano nazionale (si
ricordi che la maggioranza dei consigli regionali in questione è di
maggioranza PD), arrivando così a richiedere un Referendum Abrogativo
per la prima volta nella storia d’Italia.
La paura del partito nazionale si nota quando il Governo
attua un dietrofront non dichiarato apportando diverse modifiche sulla
legge di stabilità, cercando così di farsi spazio tra il caos che si era
creato ed evitando il rischio di un possibile voto negativo al
referendum (evitando, inoltre, di eliminare tutte le aspettative
inserite nello Sblocca Italia e quelle procedure in corso che
consentivano le trivellazioni entro le 12 miglia, per di più senza
confrontarsi nuovamente con i consigli regionali che si opponevano al
loro operato). Con questo "colpo gobbo" il Governo riuscì ad eliminare 5
dei quesiti richiesti, ma ne rimase uno sul quale tutto il fronte di
opposizione, partitica e non, decise di puntare per far comprendere a
Renzi quali fossero realmente le richieste degli italiani per quanto
concerne la politica energetica nazionale.
Da questo scenario, incentrato prevalentemente su
logiche politiche, si apre un mondo di interessi e di scontri che ha
coinvolto l’Italia intera. Movimenti politici, ambientalisti e sociali
di ogni tipo si sono mobilitati per fare propaganda, chi per il Si e chi
per il No in base al proprio pensiero, spinti da interessi
particolaristici o più generali. Si sono dette molte bugie e troppe
poche verità, come avviene spesso in ambito politico per farsi
pubblicità, per far tendere l’ago della bilancia verso una parte o verso
l’altra. Tutto questo non poteva che provocare un enorme caos, una
disinformazione pazzesca che di riflesso rendeva il cittadino sempre più
insicuro e diffidente verso l’utilità del referendum e verso la politica
stessa.
Una lotta per l’ambiente si stava lentamente
trasformando in una lotta semi-politica, purtroppo la maggioranza degli
italiani non comprendeva quali fossero realmente tutte le questioni che
rientravano nella sfera della votazione referendaria. Ma come mai una
votazione abrogativa di questo tipo (si ricordi la sua importanza visto
che per la prima volta nella storia viene richiesta da più di 5 Consigli
Regionali) viene pubblicizzata poco o niente dai maggiori quotidiani e
canali di informazione nazionali?
Si sa che l’italiano medio tra lavoro, impegni e
problematiche generali non trova il tempo (o forse non gli interessa
proprio trovarlo) per informarsi adeguatamente, nonché per comprendere
il motivo per il quale è stata indetta una votazione simile e quali
siano gli interessi in gioco (perché le trivelle, cari signori, non
erano l’unico problema che è stato sottolineato e per il quale una parte
dello stesso PD si è schierato contro l’asse partitico nazionale). Non
essendo pubblicizzato nel dovuto modo si è persino detto che tale
quesito referendario non aveva nessuna importanza, così i cittadini
sminuivano se stessi e il proprio diritto fondamentale di poter
esprimere il loro pensiero una volta che veniva richiesto (e di questi
tempi, dopo cinque anni di governi nazionali non eletti bensì nominati,
mi pare un toccasana poter affermare la propria opinione).
La poca informazione unita ad un elevato tasso di
disinformazione strumentale alla causa dell’astensionismo (perché era
preferibile non raggiungere il Quorum, invitare i cittadini al voto e
spiegargli i benefici del No pareva uno sforzo troppo elevato per
qualcuno) hanno fatto si che la confusione regnasse sovrana sui
cittadini. Ma qualche segnale chiaro e forte si poteva scorgere dietro
il muro della disinformazione, infatti anche l’occhio più pigro e meno
affamato di cultura si sarebbe posto qualche domanda se avesse mostrato
un minimo di attenzione agli avvenimenti e agli scandali politici e
sociali nei mesi prima della votazione indetta.
Di quali segnali si parla? In primis il fatto che
siano stati 10 Consigli Regionali di maggioranza PD a richiedere il
Referendum Abrogativo, scontrandosi così contro le logiche nazionali del
partito capeggiato da Renzi, sarebbe potuto bastare ad un occhio vigile
per comprendere che una determinata politica energetica a livello
nazionale poteva comportare diversi problemi. In secundis,
sponsorizzata su tutte le piattaforme d’informazione nazionale, pareva
alquanto compromettente la situazione dell’ex Ministro dello Sviluppo
Economico, Federica Guidi, e il suo coinvolgimento (compreso quello di
suo marito Gianluca Gemelli, il quale operava con la sua società
subappaltatrice in Basilicata nel progetto Tempa Rossa, senza
dimenticare che nelle intercettazioni veniva nominato anche il Ministro
Maria Elena Boschi) in fase di modifica allo Sblocca Italia per rendere
più facili i lavori della Total in fase di stoccaggio, trasporto e
carico nei porti nonché per trasferire il petrolio estratto e i suoi
rifiuti. Se questi non vengono valutati dalla popolazione come segnali
di rilevante importanza ai fini del Referendum, si può allora confermare
la forza della disinformazione o della mancata informazione in ambito
sociale.
Non si dimentichi, inoltre, lo scontro interno al PD tra
Michele Emiliano e il Segretario del Partito Nazionale Matteo Renzi. Una
lotta combattuta non solo sul piano politico, bensì anche su quello
ideologico, sociale ed economico. Il Governatore Pugliese simile a
Prometeo, simbolo di ribellione interno al partito, sfida le autorità
più elevate per far breccia su quel piano energetico poco consono ai
nuovi obiettivi strategici e ambientali che dall’Europa discendono fino
all’Italia (per i quali la stessa maggioranza italiana si vanta di
lavorare per importare ed implementare azioni sostenibili su tutto il
territorio). Al tempo stesso il Presidente del Consiglio (nonché
Segretario nazionale del PD) si presenta nelle vesti di Damocle,
contrattacca cavalcando l’onda dell’astensionismo (vista l’improbabile
vittoria del No) non accorgendosi che sopra di lui pende una spada e il
rischio di una caduta del suo governo è particolarmente elevata.
Se neanche gli scontri interni fanno comprendere alla
maggioranza degli italiani che il Referendum Abrogativo indetto per il
17 Aprile non "è uno spreco" di energie e di tempo, come affermato da
Renzi, si deve a questo punto spulciare la norma e il quesito proposto
con molta attenzione. Ognuno avrebbe dovuto farlo, chiunque si sarebbe
potuto informare in forma privata senza dover dare peso per forza alle
"chiacchiere da bar". Quali sarebbero state le novità derivanti dal
Referendum abrogativo sulle trivelle nel caso in cui avesse vinto il Si?
Per comprendere i risvolti derivanti dalla votazione si
parta dalle affermazioni del Presidente del Consiglio, il quale dopo
aver definito uno spreco di soldi, di tempo e di energie lo stesso
referendum, in seguito afferma che "ciascuno quando voterà si o no dovrà
pensare se sia giusto che diecimila persone perderanno il posto di
lavoro". Cavalcando l’onda buona delle problematiche lavorative si
incita così l’astensionismo per evitare che la votazione abbia validità
grazie al raggiungimento del quorum. Ma è questa la verità?
In realtà non sembrerebbe esattamente così. Con la
vittoria del Si, infatti, non accadrebbe nulla di nuovo in quanto
tornerebbe solamente in vigore l’articolo 9 comma 8 della legge 9/91, la
quale cita testualmente:
"Al fine di completare lo sfruttamento del
giacimento, decorsi ‘sette anni dal rilascio della proroga decennale’,
al concessionario possono essere concesse, oltre alla proroga prevista
dall'articolo 29 della legge 21 luglio 1967, n. 613, una o più proroghe,
di cinque anni ciascuna se ha eseguito i programmi di coltivazione e di
ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla
concessione o dalle proroghe".
In pratica, in maniera del tutto semplificata, si
afferma che dopo aver superato gli anni di concessione standard della
piattaforma di estrazione devono attuarsi dei controlli per comprendere
la reale potenzialità del giacimento, se conviene dunque concedere una o
più proroghe di 5 anni ciascuna per proseguire l’estrazione e verranno
confermati di volta in volta i rispettivi controlli per la messa in
sicurezza del giacimento. Si vuole solamente tenere in vita questa
precauzione legislativa con la quale i petrolieri saranno costretti a
"cacciare i soldi", come dice Emiliano in una discussione di partito,
per mettere in sicurezza i territori e i pozzi sfruttati dallo
stabilimento di estrazione. Eliminando questa precauzione, inoltre, si
potrebbe incorrere in una sanzione derivante dall’obbligatorietà imposta
dalla direttiva europea sulle piattaforme di estrazione offshore.
Per quanto concerne la tematica dei posti di lavoro,
dunque, si può facilmente affermare che all’alba del 18 Aprile nessuno
dei lavoratori presenti nelle piattaforme ad oggi esistenti si ritroverà
senza lavoro, anzi. Le prime concessioni termineranno tra 5 anni circa e
potranno ottenere delle proroghe per proseguire nella fase di
estrazione, se verrà ritenuto possibile e conveniente. Per di più, in
seguito, gli stessi operatori potranno essere riqualificati (e il tempo
per farlo non manca) per poter cambiare lavoro, ovviamente nel caso in
cui un giacimento non presentasse più le caratteristiche di convenienza
economica e di sicurezza per l’estrazione. A questo punto, comunque, la
precauzione legislativa che si vuole tenere in vita impone ai petrolieri
diverse fasi di controllo e messa in sicurezza per la chiusura del
pozzo, azioni che costano parecchio e che non verrebbero effettuate
nelle tempistiche giuste se venisse concessa loro la possibilità di
estrarre idrocarburi fino a "esaurimento scorte" interne al giacimento.
Tutti i comitati nazionali per la difesa ambientale si
sono mobilitati per sostenere la votazione a favore del Si, ovviamente
tutti amano il nostro mare e vogliono difenderlo a spada tratta. Ma una
questione così semplice è riuscita a movimentare un numero così elevato
di persone e
di comitati o vi è qualcosa di non visibile che agli
occhi di molti non appare molto nitida? La problematica principale non
sono le trivelle in sè ma l’attuazione di una politica energetica
nazionale del tutto sbagliata, fondata sull’estrazione di idrocarburi e
non solo. Con lo Sblocca Italia, infatti, si torna alla preistoria in
numerosi campi, tra i quali si può citare la problematica dei rifiuti.
Si guardi l’insieme delle azioni di questo Governo e non i singoli fatti
o le singole politiche attuate negli ultimi anni. Votare al Referendum
del 17 Aprile non era poi così tanto "inutile" se si guardano tutti i
dettagli e tutte le problematiche derivanti dallo Sblocca Italia.
Basti pensare che la pianificazione energetica
organizzata da Renzi e dalla sua maggioranza impone come "strategica" la
costruzione di nuovi impianti di termovalorizzazione (inceneritori con
un nome più raffinato, in tutto ne verranno costruiti 12 in più sparsi
per tutta l’Italia), scavalcando il potere delle Regioni di potersi
opporre e velocizzando i tempi di costruzione e messa in opera. Per
evitare di rimettere mano al progetto, infatti, il Ministro
dell’Ambiente Galletti vuole evitare ulteriori studi di approfondimento
sostenendo che non si possono stimare gli effetti derivanti dalla
combustione del 30% in più circa dei rifiuti prodotti sul nostro
territorio. Per di più, sempre grazie allo Sblocca Italia, i rifiuti
possono essere trasferiti da un territorio all’altro per essere
bruciati, incentivando così la non differenziazione e disincentivando,
invece, la virtuosità che molti territori stavano pian piano acquisendo
in fase di riciclo e riuso dei materiali.
Il Veneto, ad esempio, con il suo primato ottenuto negli
anni da Ponte nelle Alpi, può avere molto da insegnare all’odierna
politica energetica nazionale sponsorizzata da Renzi e Galletti, ecco
perché ci si oppone con tanta veemenza e passione. Cosa dire inoltre di
Capannori e di tutto il lavoro fatto da Rossano Ercolini, vincitore del
Goldman Environmental Prize, nonché di tutti quei territori che da anni
studiano, lavorano e si scambiano informazioni sulle nuove best
practices per migliorare il proprio territorio e l’ambiente in
generale. Uno schiaffo morale, quello dello Sblocca Italia, che rischia
di tagliare quel sottile filo che tende la spada sulla testa di Damocle
(Renzi).
Quali risultati derivano dopo il Referendum del 17
Aprile? Si può sicuramente affermare che ha vinto il Quorum, non si è di
certo fatta valere la forza della democrazia e l’espressione di tutti
quei cittadini che si sono movimentati per andare a votare. Ecco perché
si può definire il Derby del Quorum. Una votazione indetta troppo
presto, non fornendo le tempistiche di organizzazione e di informazione
necessarie per poter far comprendere agli italiani quali fossero
realmente i disegni dell’attuale Governo (per di più evitando che
venisse accorpata alle amministrative di qualche mese dopo, così facendo
si sarebbero risparmiati infatti migliaia di euro, potendo osteggiare il
Referendum a mani basse sponsorizzando solamente l’astensionismo).
Una lotta senza quartiere, uno scontro con un avversario
troppo forte, una preparazione alla lotta insufficiente, tutto questo ha
portato ad un Referendum Abrogativo non valido, con un’affluenza
generale del 31,2% (con l’85,8% dei voti favorevoli all’abrogazione
contro il 14,2% dei contrari). Una vittoria del Quorum dovuta alla
disinformazione e alla poca preparazione dei comitati ambientali e dei
sostenitori del Si, per questo vige la regola dell’Amat Victoria
Curam.