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LA DESERTIFICAZIONE NEL SAHEL: IL LAGO CIAD
di
Irene Baraldi
La
desertificazione è un fenomeno dinamico e complesso che può essere
affrontato da diverse prospettive; se ad una prima analisi sembra
riguardare strettamente l’ambito ecologico, ad una disamina più attenta
emergono anche problematiche di carattere geografico sulle modalità
della produzione di risorse e dell’organizzazione territoriale. Un’area
colpita da questo processo è il Sahel, una zona semi-desertica che
attraversa l’Africa da est ad ovest, a sud del Sahara. Tale fascia viene
considerata una zona di transizione in quanto separa il deserto vero e
proprio dai contigui climi umidi.
Nel
Sahel, che in lingua araba significa bordo, un’evidente
conseguenza della desertificazione è il processo di prosciugamento del
lago Ciad, in cui la povertà e il degrado ambientale sono due facce
della stessa medaglia. Di certo non è un fenomeno di facile comprensione
o di semplice analisi, in quanto anche lo stesso processo di
desertificazione, che si vorrebbe combattere, è in realtà poco compreso
e non si sa ancora di preciso quanto dipenda da oscillazioni climatiche
o dalla pressione delle attività umane.
La
siccità del Sahel ha rimesso in causa tutta l’organizzazione sociale ed
economica del suo territorio. Il Sahel, inoltre, presenta diversi punti
deboli come la crescita demografica che va più in fretta di quella
economica, l’insicurezza alimentare, il peso del debito pubblico che
rimane troppo forte, i problemi igienico-sanitari che sono ancora
immensi, oltre il fatto che il suo ruolo negli scambi mondiali è
marginale, soprattutto a causa delle difficoltà di accesso dei prodotti
agricoli africani nei mercati dei Paesi sviluppati. Attualmente, poi, a
causa della recente conquista della sovranità nazionale, l’Africa
attraversa la crisi legata alla costruzione degli Stati e al
consolidamento di nazioni sottoposte alle forze centrifughe delle
differenze etniche e degli interessi finanziari internazionali.
Essa,
tuttavia, dispone di numerosi punti di forza, tra i quali possiamo
ricordare sia le risorse naturali che quelle umane in continua crescita,
inoltre, non è possibile ignorare la sua giovinezza avida di sapere e
istruzione, i suoi contadini laboriosi e i suoi immigrati che lavorano
con accanimento per migliorare le condizioni di vita della famiglia
rimasta nel Paese d’origine. È questa l’Africa che alimenta l’ottimismo
e la speranza.
Alcuni esperti sostengono poi che il sottosviluppo della regione intorno
al lago Ciad troverebbe la sua spiegazione anche in fattori geografici,
infatti quest’area è priva di sbocchi marittimi ed è quindi penalizzata
dalla sua stessa posizione geografica. Ciò comporta una serie di
problemi specifici come gli elevati costi di trasporto, i mercati
ridotti, le zone aride che non consentono l’irrigazione su vasta scala,
la popolazione agricola dispersa e le malattie endemiche.
Il
lago Ciad, che ormai è diventato il simbolo del deserto che avanza, oggi
rischia di scomparire e considerando l’importanza naturalistica,
culturale e socio-economica di questo ecosistema, la prospettiva di un
prosciugamento del bacino rischia di tradursi in un disastro ambientale
e umanitario di proporzioni tali da minacciare la vita delle popolazioni
rivierasche. Alla sua instabilità la gente è abituata, ma una riduzione
come negli scorsi decenni non si era mai verificata e ha posto seri
problemi. Alcuni studiosi hanno stimato che dal 1966 al 1975 il lago si
è ritirato del 30% e che la causa principale è stata la scarsità delle
precipitazioni, soprattutto durante la grande siccità. In quegli anni il
prelievo di acqua per irrigazione era limitato e si stima che abbia
contribuito solo per un 5% alla sua riduzione. Ma fra il 1983 e il 1994
i piani di irrigazione, soprattutto in Nigeria e in alcune regioni del
Ciad e della Repubblica Centrafricana, hanno avuto un forte incremento e
il prelievo di acqua è quadruplicato contribuendo almeno per il 50%
all’ulteriore diminuzione del lago.
Le
cause del processo di prosciugamento vanno cercate da un lato nelle
condizioni ambientali: le terribili siccità che hanno colpito la regione
del Sahel negli ultimi trent’anni, il processo di desertificazione, la
forte evaporazione, le infiltrazioni nel sottosuolo; dall’altro lato
nella cattiva gestione delle risorse idriche da parte dei governi locali
e degli occidentali, che hanno ignorato gli allarmi degli scienziati e
hanno continuato a sfruttare in modo indiscriminato le acque,
considerandole un’inesauribile miniera d’oro blu. I politici al potere
hanno preferito ignorare gli avvertimenti degli scienziati permettendo,
o addirittura incoraggiando, la costruzione di centinaia di canali di
drenaggio dell’acqua che i contadini hanno scavato per irrigare i campi.
Questa pratica è aumentata in maniera incontrollata nell’ultimo decennio
e oggi è fortemente responsabile del prosciugamento del lago.
La
cattiva ripartizione e l’utilizzo inappropriato delle risorse idriche
tra i grandi progetti di irrigazione e il resto dell’ambiente naturale,
con la costruzione di sistemi di dighe e sbarramenti che trattenevano
l’acqua a monte, senza tener conto delle esigenze delle popolazioni e
degli ecosistemi a valle, hanno innescato dei meccanismi di degradazione
del territorio: ciò viene sostenuto anche dall’UNEP (United Nations
Environment Programme).
Sicuramente non è facile rendersi conto di cosa significa effettivamente
la progressiva sparizione di un grande lago, ma una conseguenza certa è
che questo processo provoca il cambiamento continuo delle rive e delle
forme del bacino, comportando un costante ridisegno dell’organizzazione
produttiva e territoriale legata all’acqua del lago. Inoltre, anche gli
effetti sociali di questo disastro ambientale non si sono fatti
attendere, considerando che la vita di numerosi africani è possibile
solo grazie alle sue acque: attorno al Ciad vivono, infatti, 22 milioni
di persone. Le acque, ritirandosi, hanno lasciato vaste pozze fangose
che non sono in grado di sostenere la varietà di specie ittiche prima
esistenti. Ma spostarsi dai villaggi, che prima si trovavano in riva al
lago, per raggiungerne le sponde diventa sempre più difficile e a volte
anche pericoloso, così alcuni pescatori hanno adottato nuove tecniche di
pesca, scavando canali che convogliano le acque verso delle depressioni
in modo tale che i pesci vi finiscano dentro, poi chiudono i laghetti
così creati e vi allevano il pesce fin quando raggiunge dimensioni
adatte alla vendita. Da secoli il bacino è attraversato da imbarcazioni
di pescatori e da grandi zattere cariche di prodotti alimentari e di
casse di natron (un impasto di sali naturali ricavato dalle alghe che
viene adoperato per conciare le pelli, per lavorare i tessuti, per
ingrassare asini e dromedari, per mischiarlo con il tabacco) che vengono
sempre più spesso messe in difficoltà dell’instabilità dell’altezza del
lago Ciad: se si abbassa troppo diminuiscono le acque libere e il
livello dell’acqua, inoltre si sviluppa enormemente la vegetazione.
Di
conseguenza, i traffici commerciali e gli scambi di prodotti che avevano
una grande importanza nell’economia dei villaggi sono diminuiti
drasticamente. In questo contesto i conflitti attorno alle risorse
naturali si sono diffusi maggiormente ed è cresciuta la concorrenza tra
pastori nomadi e agricoltori stanziali.
La
presenza della vegetazione impedisce il movimento delle barche e funge
da nascondiglio a bande di rapinatori che attaccano chi si avventura sul
lago e sulle sue sponde. Secondo gli abitanti dei villaggi sulla sponda
del Niger, la colpa è dei nigeriani che non hanno rispetto per nessuno e
sono molto pericolosi. Le autorità nigeriane, invece, parlano di bande
di ribelli scappati dal Ciad e dal Niger e datesi al banditismo, e
invocano la collaborazione di questi Paesi per controllare le frontiere.
Un compito sicuramente difficile in una regione dove i confini non sono
percepiti dalle persone e spesso i componenti di una stessa grande
famiglia vivono su sponde diverse, abituati a muoversi senza problemi e
a seguire il lago nei suoi spostamenti con tutto il villaggio. Infatti,
molte persone, soprattutto coloro la cui attività dipendeva dall’acqua
hanno seguito l’arretramento della linea costiera anche attraverso le
frontiere senza curarsi del superamento dei confini nazionali, così a
partire dal 1983 molti migranti si sono ritrovati in territori stranieri
senza rendersi conto del cambiamento.
Ne
sono seguite numerose dispute territoriali tra Paesi sulle acque e sulle
nuove isole emergenti dal lago, altri conflitti si sono poi registrati
attorno agli affluenti del lago, in particolare al Logone, al
Komadugu-Yobe e al suo tributario Hadejia. Sul Komadugu-Yobe il
conflitto ha assunto proporzioni maggiori, causando una crisi tra il
Niger e la Nigeria che è stata affrontata con la creazione di una
specifica commissione bilaterale: la Nigeria-Niger Joint Commission for
cooperation.
Gli
ecosistemi aridi, la dispersione dei pascoli e delle sorgenti
costringono anche i pastori nomadi a migrare tutto l’anno cercando zone
fertili per il bestiame. Questi migrazioni sono state, però, sempre più
ostacolate dai coltivatori saheliani per la competitività di un
territorio sempre più arido e meno produttivo. Anche se qui, più che
altrove, sono abituati a una forma di territorialità itinerante e
nomade.
Quello che affligge il lago Ciad è un caso di stretta relazione tra
povertà e degrado ambientale; cercare una soluzione ad una situazione
così complessa richiede un grande sforzo che deve coinvolgere,
attraverso la cooperazione, i Paesi che si affacciano sul lago e quelli
attraversati dai fiumi che vi si riversano, ovvero i Paesi del bacino
idrografico.
Sicuramente una scelta sbagliata è il cosiddetto sviluppo trasferito,
infatti, gli occidentali sono abituati a incanalare i fiumi in quanto
per essi le inondazioni sono un fenomeno negativo. Quando gli ingegneri
africani studiano nelle scuole occidentali imparano la stessa cosa e
tornano a casa per impedire le inondazioni, ma nel Sahel i pescatori, i
contadini e gli allevatori hanno bisogno di quelle inondazioni, in
quanto forniscono gratuitamente l’acqua per irrigare mantenendo così
fertili i campi e alimentando i pascoli e la pesca.
Le
infrastrutture governative e le organizzazioni occidentali di assistenza
hanno dimostrato di essere incapaci di bloccare il declino del lago.
Ma,
paradossalmente, i contadini del posto e le comunità di pescatori, che
in genere hanno pochi rapporti con il governo e si affidano a sistemi di
potere più tradizionali, hanno reagito agli eventi idrologici con
maggiore prontezza.
Quando i fiumi si prosciugano, non deve necessariamente seguirne un
disastro, a condizione che le comunità sappiano fronteggiare la
situazione e le tradizionali caratteristiche di flessibilità delle
comunità che vivono in queste aree funzionino bene. Un altro aspetto
paradossale è che siamo diventati pericolosamente bravi a sovvertire il
corso dei fiumi e al tempo stesso abbiamo perso la capacità di
affrontare le conseguenze, e ancor più di saperle volgere a nostro
vantaggio.
L’esponenziale aumento della domanda d’acqua che ha colpito la regione
nel corso degli ultimi decenni è stata provocata anche da
un’inarrestabile crescita demografica nella regione del lago Ciad: la
situazione più critica è quella della Nigeria che, con i suoi
centotrentatre milioni di abitanti, è la nazione più popolosa
dell’Africa. Inoltre, la densità demografica della Nigeria è
particolarmente alta proprio nella zona intorno al lago, dove il tasso
di crescita supera addirittura la media nazionale. Molto grave è anche
la situazione degli altri Paesi del bacino che sono condizionati
dall’urgente bisogno di risorse idriche: la popolazione del Camerun ha
raggiunto gli oltre sedici milioni, quella del Niger è arrivata a
quattordici milioni, mentre il Ciad conta una popolazione di quasi dieci
milioni di abitanti (i dati demografici sono aggiornati al 2008).
Altrettanto allarmanti sono le previsioni per il futuro, secondo cui,
aggirandosi il tasso di crescita di questi Paesi al 3% annuo, la
popolazione del lago raddoppierà entro una generazione.
Il
bacino del lago è ancora oggi, per molti aspetti, una marginalità al
centro del continente, che di fatto costituisce un buco nero, ma
rappresenta uno dei punti chiave dei processi che stanno silenziosamente
costruendo la nuova geografia del continente e la comunità
internazionale deve comprendere che il Sahel non ha bisogno di essere
aiutato o assistito, ma soprattutto di essere considerato. È quindi
emerso il bisogno di avviare un approccio globale di gestione del lago e
di stabilire nuove regole sulla ripartizione delle sue acque, capaci di
soddisfare la crescente domanda di acqua attraverso la realizzazione di
nuove tecniche per l’aumento e la conservazione delle risorse idriche e
che permettano di ridurre gli sprechi, diventando sostenibili.
È la
conoscenza a fare la differenza: non ci può essere sostenibilità
ecologica se questa non viene fondata sulla cultura, né ci può essere
equità politica senza il sostegno della pratica sociale. Per quanto
ingenti possano essere le risorse che i diversi piani di aiuto
riusciranno a mobilitare, è chiaro che non sarà un fiume di soldi a fare
ricrescere il lago. Sono le donne e gli uomini del Sahel la risorsa
principale su cui contare, all’interno di un quadro socio-politico
ripensato.
Nonostante il quadro negativo presentato, spero si diffonderà
progressivamente su scala globale una coscienza ecologica che consenta
di comprendere meglio quanto le società siano legate strettamente a quei
paesaggi fisici che hanno modificato in misura così rilevante e, a
volte, irreversibile. Penso, inoltre, che sia fondamentale diffondere il
concetto della cooperazione sia a livello globale che a livello locale,
facendo interagire gli attori di un determinato territorio e il
territorio stesso.
Tutta
l’umanità è legata da un unico destino che, a sua volta, dipende da
quello del nostro pianeta, il cui equilibrio ci appare oggi estremamente
delicato e precario. Le conseguenze delle trasformazioni non sono
confinate nei Paesi dove queste avvengono, ma interessano, sia pure in
modi diversi, tutto il mondo. Forse, oggi, il maggior pericolo non sta
solo nell’intensità dei mutamenti, ma anche nella rapidità del loro
verificarsi.
In passato le trasformazioni ambientali procedevano
lentamente e ciò permetteva il contemporaneo riequilibrio ambientale.
Oggi, invece, i tempi dell’economia e delle trasformazioni ambientali,
da essa indotte, sono sempre più brevi e sempre meno compatibili con
quelli dei processi naturali.
BIBLIOGRAFIA
- BERTONCIN
M., PASE A., Attorno al lago Ciad. Sguardi diversi sullo sviluppo,
Torino, L’Harmattan Italia, 2008.
-
CONCHIGLIA A., L’Africa al di là dei luoghi comuni,
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-
DERIU M., Acqua e conflitti,
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-
PEARCE F., Un pianeta
senz’acqua. Viaggio nella desertificazione contemporanea, Milano, Il
Saggiatore, 2006.
- RUSCA
M., SIMONCELLI M., Hydrowar. Geopolitica dell’acqua tra guerra e
cooperazione, Roma, Ediesse, 2004.
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