Tesina finale Master gestione e sicurezza ambientale
IL DISSESTO IDROGEOLOGICO: CAUSE E SOLUZIONI
di Nicola Giovanni Ferri
E’ opinione
assai comune che il dissesto idrogeologico sia una delle piaghe più
diffuse del pianeta, per cui dopo ogni evento disastroso (frane o
alluvioni) si grida perché lo stato intervenga contro il dissesto
idrogeologico.
Ma a ben
guardare cos’è il dissesto idrogeologico?
Non possiamo
chiamare dissesto idrogeologico il fenomeno dell’erosione ovvero la
tendenza delle acque ad erodere il suolo e le rocce e a provocare frane,
perché soprattutto in un Paese come in nostro, con montagne giovani che
si sono formate circa 600 milioni di anni fa, si tratta di una
condizione fisiologica naturale non una condizione patologica.
La geologia
ci insegna che tutto ciò che è giovane è instabile, per cui è alla
continua ricerca di un equilibrio.
Intervenire
per fermare tale tendenza è semplicemente impossibile.
Quello che
possiamo fare è cercare di adottare di adattarci il più possibile ad
essa evitando di costruire in zone sbagliate,evitando di alterare il
bilancio dei sedimenti dei bacini idrografici e cercare di contrastare i
fenomeni naturali solo dove è proprio necessario concentrando gli sforzi
su poche opere irrinunciabili che vanno attentamente progettate,
realizzate e mantenute.
Ad aggravare
la situazione sono intervenute opere antropiche che avendo lo scopo di
prevenire e arginare il fenomeno altro non hanno fatto che aggravarlo
ulteriormente.
A partire
dalla fine dell’ottocento, le montagne alpine sono state interessate
da un gran numero di briglie, con lo scopo di limitare il dissesto,
trattenendo i sedimenti che i corsi alpini portano naturalmente verso
valle.
Studi
recenti, mostrano che gli effetti di queste opere sono state molto
spesso controproducenti, perché il mancato apporto di trasporto solido
dai versanti alpini, ha provocato un deficit di sedimenti più a valle
che ha portato numerosi problemi( incisioni di alvei,accelerazione delle
piene,scalzamento di ponti ecc.)
In seguito a
studi molto recenti, in alcune aree si prevedono la demolizione delle
vecchie briglie proprio per facilitare la movimentazione di sedimenti da
monte a valle.
Altra
pratica sbagliata posta sempre in essere dall’opera dell’uomo è
L’ESCAVAZIONE, con la convinzione che se si scava nel fiume l’alveo
diventa più profondo e aumenta la sezione; quindi ci passa più acqua e
aumenta l’efficienza idraulica.
Questa
pratica può avere un effetto immediato positivo perché aumenta la
portata veicolabile del tronco fluviale, ma crea molti problemi che si
manifestano in tempi lunghi.
L’escavazione altera il profilo longitudinale creando un aumento di
pendenza che tende a migrare verso monte e verso valle.
L’escavazione crea una instabilità dell’alveo, perché l’incisione e
spesso accompagnata da instabilità laterale e variazione di larghezza
innescando erosioni delle sponde e migrazione laterale in
tratti precedentemente stabili.
Gli
interventi vengono fatti, con il convincimento di essere utilizzati come
strumenti per la difesa del suolo, ma non essendo gli stessi supportati
da adeguati studi che ne dimostrino la reale efficacia, portano più
danni che benefici.
Per ridurre
il numero degli interventi strutturali di difesa e messa in sicurezza
dell’Habitat fluviale, favorendo lo sviluppo sostenibile del territorio
e riducendo i costi è sufficiente prendere atto che la sicurezza, la
fruibilità e la bellezza di un bacino idrografo dipendono dagli usi cui
si destina.
La
preponderanza delle opere di ingegneria idraulica sono state alla base
di un modo di governare il territorio.
Si è andati
ad occupare aree destinate all’espansione naturale del fiume.
Si continua
ad illudere che con le grandi opere di ingegneria idraulica e di una
maggiore sicurezza del territorio si possono strappare impunemente altri
terreni ai nostri fiumi,già irrimediabilmente attaccati
dall’urbanizzazione seguendo la logica del profitto e del cemento
selvaggio.
Si assiste
ad una urbanizzazione scellerata dettata solo dalle regole dei profitti.
Non si
rispettano i piani regolatori generali che dettano le linee guida su
come coniugare al meglio il verde pubblico e l’edilizia residenziale.
Le Pubbliche
Amministrazioni ,invece di essere impegnate a far osservare
rigorosamente questa normativa in materia edilizia , sono impegnate a
sfamare la mai sazia volontà edificatoria dei padroni del cemento, è il
dissesto ideologico la maggiore causa del dissesto idrogeologico.
La maggior
parte dei disastri sono annunciati e spesso si ripetono nelle stesse
aree geografiche, ci sono in Italia zone come la Campania meridionale
dove periodicamente si contano i morti. Ciò non è casuale.
Enormi
straripamenti di fiumi nel passato più o meno recente non hanno
provocato gli stessi danni e lo stesso numero di perdite di vite umane
degli ultimi tempi, semplicemente perché le aree interessate dalle
esondazioni non avevano insediamenti abitativi.
Quando si
previene i disastri non avvengono.
La
scelleratezza urbanistica permette di costruire dove i tecnici
competenti sconsigliano di costruire trattandosi di zone a rischio di
frana o di dissesto.
Questo
comportamento denota una evidente stoltezza, non sarà forse il caso di
smettere di maltrattare cosi il territorio?
L’uomo deve
capire una volta per tutte che gli interessi economici devono cedere il
passo alla salvaguardia del territorio, dell’ambiente in generale,
perché è questo l’interesse primario da difendere, che consente a tutti
gli esseri viventi del pianeta di vivere.
Se il
territorio viene maltrattato chi ne subisce le conseguenze è colui il
quale ha posto in essere comportamenti sbagliati in questo caso l’uomo
il quale attaccato morbosamente al denaro ,sottovaluta i bisogni del
territorio.
Le
conseguenze sono ,purtroppo sotto gli occhi di tutti:ci troviamo a
confrontarci con un territorio spesso saturo, di sicuro estremamente
fragile e bisognoso di essere disintossicato.
IL consumo
di suolo provoca vari e tragici effetti collaterali, come le alluvioni e
i sismi che distruggono abitazioni realizzate con materiali scadenti in
aree geomorfologicamente inadatte.
Il risultato
di questa dissennata pianificazione territoriale è che la superficie
coltivata è passata in 40 anni da 18 a 13 milioni di ettari.
Attualmente
nel nostro Paese si consumano circa 100 ha al giorno di suolo agricolo.
Spesso sono
proprio questi interventi fatti sotto il principio della difesa
idraulica e di una maggiore sicurezza del territorio ad incrementare il
rischio idrogeologico del nostro Paese.
D’altra
parte non si può avere la pretesa di mettere in sicurezza tutto il
territorio, perché è un illusorio obiettivo.
Questo
quindi comporta due linee di azione diverse: una corretta gestione del
territorio e la capacità di convivere con il rischio e quindi saper
gestire le emergenze.
Per cui
bisogna invertire la rotta nella gestione del territorio abbandonando
quelle logiche di ingegneria naturalistica come le casse di espansione,
escavazione, pulizia dell’alveo che non portano certamente i frutti
sperati.
Si deve
preferire di assecondare le dinamiche naturali del fiume e intervenire
per ripristinare laddove queste sono state soppresse da interventi
sbagliati.
Le buone
pratiche ,invece, per arginare il rischio idrogeologico, vanno dalla
delocalizzazione di beni esposti al rischio o al riequilibrio del ciclo
sedimentario.
La scelta di
de localizzare una industria posta in una area a rischio di
esondazione,invece, che costruire ulteriori barriere per la messa in
sicurezza, quella di modificare un tracciato stradale,invece che
rinforzare le palizzate e le scogliere destinate comunque ad essere
rovinate e rimosse dalla forza dell’acqua o quella di riequilibrare il
ciclo sedimentario del fiume reinserendo i sedimenti in alveo,mentre
normalmente non si fa che creare tutti i possibili escamotage con il
solo obiettivo di prelevare la preziosa ghiaia e utilizzarla per
cementificare altre porzioni di territorio, sono scelte coraggiose messe
in pratica lungo i fiumi italiani ed europei.
Ci auguriamo
che servano di esempio e che vengano imitati e adottati i principi che
le hanno supportate con la certezza che restituire spazio e natura ai
corsi d’acqua non è solo un pallino degli ambientalisti ma l’unico modo
per coniugare sicurezza e qualità del territorio.
Quello che
si vuole proporre è il carattere fortemente innovativo e in
controtendenza che rappresenta il comune denominatore di tutti gli
esempi illustrati rispetto a quanto si è fatto fino ad oggi e si
continua a fare nella gestione del rischio idrogeologico.
Fatte queste
considerazioni, il primo passo da compiere è quello di operare delle
scelte precise per il futuro in termini di programmazione e utilizzo
delle risorse.
Spostare i
fondi delle grandi opere sul monitoraggio, la gestione e la manutenzione
del territorio.
Coinvolgere
direttamente le autonomie locali, investendo in prevenzione e sviluppo.
Finalizzare
parte del fondo rotativo del DECRETO CRESCITA e delle3 risorse
provenienti dai fondi strutturali alla difesa dell’ambiente.
Migliorare
la capacità di spesa dei fondi U.E.
Adottare
strumenti di semplificazione amministrativa già ampiamente sperimentati
nel resto d’Europa, come ad esempio CONTRATTI DI FIUME, DI FOCI E DI
LAGO.
I contratti
di fiume sono uno strumento di programmazione strategica partecipata per
la pianificazione e gestione dei beni collettivi.
I contratti
di fiume non sono una novità, sono stati già utilizzati a partire dagli
anni 80, attraverso questi contratti si rende più efficiente e
funzionale la pianificazione e la gestione degli alvei fluviali,
ambientali e paesaggistici nei distretti idrografici.
Ma qualcosa
si muove anche in Italia, perché il 4 settembre 2014 l’Italia ha avviato
un primo importante passaggio verso il riconoscimento dei contratti
fiume, poiché è stato approvato un emendamento nella commissione
ambiente della Camera dei Deputati al TESTO UNICO AMBIENTALE 152/2006
che introduce in Italia i CONTRATTI FIUME, con il seguente
testo: I contratti fiume concorrono alla definizione e all’attuazione
degli strumenti di pianificazione di distretto a scala di bacino e
sotto-bacino idrografico,quali strumenti volontari di programmazione
strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione
delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali,
unitamente alla salvaguardia del rischio idraulico contribuendo allo
sviluppo locale di tali aree.
Nicola
Giovanni Ferri |