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IL FATTORE
UMANO
di Delis
Nisco
“La verità è che il nostro piccolo mondo non è diverso da quello di
altre professioni: contano le competenze, certo, però contano moltissimo
soprattutto i rapporti umani. La Cultura è rispetto delle persone e la
gentilezza vera fa sempre la differenza.”
(Banda Larga, Acquario (2019))
Dopo un’esperienza come libraia di circa due anni, da febbraio ho
iniziato a occuparmi dell’Ufficio Stampa di una piccola casa editrice
indipendente di Roma. Quello che mi propongo di analizzare in questo
breve elaborato è la rilevanza di un fattore relazionale realmente umano
in entrambi gli ambiti in cui ho lavorato e sto lavorando, a fronte di
due movimenti che attraversano il mondo editoriale da tempi più o meno
recenti: la virtualità delle relazioni e la mitizzazione del concetto di
“rete di contatti”.
Nella vita ho sempre sognato di fare la libraia e l’idea di lavorare in
una casa editrice mi ha sempre suscitato una certa diffidenza.
Quello che volevo come libraia era
prima di tutto interfacciarmi con una pluralità di prospettive,
provenissero esse dal variegato mondo degli editori o da quello dei
lettori/clienti.
Ciò che mi aspetto, in pratica e non solo in
teoria, da un libraio è un ruolo intermediario, una capacità di dialogo
multidirezionale che convogli le peculiarità di realtà editoriali sempre
più piccole, curate e diversificate con le esigenze dei lettori,
altrettanto peculiari e soprattutto saturate da una proposta commerciale
che cresce ogni giorno, spesso più dal punto di vista della quantità che
della qualità.
Il libraio della grande catena o del centro
commerciale che si sostituisce al commesso non rientra nelle mie
considerazioni: per quanto mi riguarda un libraio è prima di tutto un
ascoltatore e un interprete. Spesso il lettore non è consapevole di ciò
che sta cercando e deve potersi affidare a una figura di riferimento che
lo accompagni nel proprio percorso di scelta, o lungo i binari già
tracciati dalla propria cronologia di letture oppure verso nuove
scoperte inaspettate. Allo stesso tempo il libraio deve saper comunicare
con i diversi editori e conoscerli, essere competente rispetto ai loro
obiettivi, al loro target, alle loro peculiarità, al fine di poter
proporre il prodotto in maniera efficace.
Il libraio è quindi il punto d’incontro tra
due mondi, quello editoriale e quello dei lettori, che si declinano
nell’infinita molteplicità dei loro costituenti. Ma lettori ed editori
sono prima di tutto persone, che condividono una passione, quella per i
libri, ogni volta incarnata in storie e progetti diversi, sogni,
ricerche, obiettivi, desideri. La bellezza del mestiere di libraio è
quella di essere il crocevia tra questi due mondi, tutti umani. La
libreria, nel mio modo di intenderla, è un rifugio; i libri, un appiglio
in un mare di incertezze; il libraio, un interlocutore privilegiato con
cui condividere la propria storia passata, presente e futura di lettore.
Quello che mi allarmava nel lavoro in casa editrice era il timore di
rimanere invischiata in una prospettiva univoca e monodirezionale
rispetto al mondo-libro. L’idea di un’identità nettamente delineata cui
abdicare per farmi portavoce di un marchio da proporre, un’unica
filosofia da sposare per poter vendere un prodotto specifico, una serie
di norme redazionali determinate con cui lavorare.
Non più una pluralità di voci e prospettive,
ma il punto di vista unico e normativo della casa editrice. Un’estetica
predefinita, limitazione delle alternative, chiusura degli orizzonti
dialogici. Ma.
Come libraia ho avuto a che fare con numerose piccole e medie case
editrici. Il che ha implicato fiumi di e-mail, chiamate, scadenze,
confronti sugli eventi e sulle strategie di vendita, rendiconti, ordini,
le tante questioni logistiche che concretizzano la romantica figura del
libraio che ho delineato qualche riga più sopra. Quello che ho cercato
di fare è sempre stato rendere umane tutte queste interazioni: non
scambi di informazioni, ma incontri. Sono nate splendide collaborazioni,
amicizie, rapporti di stima reciproca.
Quando ho terminato il mio incarico ho
scritto una lettera a tutti gli editori con cui avevo collaborato, un
saluto che voleva essere prima di tutto un ringraziamento. Oltre al
calore che ho ricevuto in risposta e che mi ha ripagato del grande
investimento di tempo ed energie dedicati alla libreria ben oltre i
dettami del mio contratto, ho ricevuto anche delle proposte lavorative,
una delle quali dalla casa editrice con cui collaboro attualmente. Una
realtà di cui condividevo i contenuti, lo spirito ribelle, la direzione
ostinata e contraria (come direbbe il saggio). Una realtà prima di tutto
aperta - alle possibilità, all’incontro. Così ho accettato e mi sono
trovata dall’altra parte della barricata.
Quello che cerco di fare tutti i giorni, e ho la fortuna di essere
pienamente appoggiata dalla realtà editoriale in cui lavoro, è non
dimenticare che “la letteratura non nasce nel vuoto, ma all’interno di
un insieme di discorsi vivi” (T.Todorov, “La letteratura in pericolo”).
Gli interlocutori di questo discorso sono numerosi ma a rendere
generativo il loro dialogo è l’umanità dietro alle idee che lo animano.
Anche scrivere un’e-mail deve essere un gesto abitato prima di tutto
dalla gentilezza: è a tutti gli effetti un momento di incontro tra due o
più persone. La mistica della “rete di contatti” sta diventando un credo
snaturato il cui unico scopo è aggiungere nomi a un indirizzario.
Ma la letteratura “rimane uno dei luoghi di
una mentalità autenticamente liberale, in cui ci si educa al senso
vivido degli individui e alla capacità di accogliere nel proprio mondo
chi ancora non ne faceva parte” (E. Raimondi, “Un’etica del lettore”).
Chi lavora con i libri deve avere questa sorta di pre-coscienza
istintiva: i libri sono incontro con l’altro-da-me (la lettura non è mai
un monologo). Non si tratta di una nozione scolastica da mandare a
memoria se interrogati sull’argomento: è qualcosa che dobbiamo vivere
ogni giorno, anche quando ci sediamo dietro allo schermo di un computer
o al ricevitore di un telefono. Predisporci all’ascolto, alla
conoscenza, all’inaspettato.
Se lavoriamo con questo spirito non stiamo
creando una “rete di contatti” che sarà utile a vendere meglio l’oggetto
libro: stiamo crescendo come esseri umani. Non si tratta di essere
idealisti o romantici: si tratta di restituire la dimensione umana alla
nostra professione e fare una piccola differenza. Io mi aspetto,
pretendo, che quello dei libri non sia solo e soltanto un mercato di
oggetti di consumo come un altro.
Ogni professione ha una sua dimensione di
passione e di dedizione, chi sceglie di lavorare con i libri più di ogni
altro non dovrebbe dimenticare il suo punto di partenza e la sua
direzione. Se in questo periodo di quarantena ci siamo ancora di più
nascosti dietro a schermi e distanze, agli incontri virtuali,
all’assenza fisica, recuperare la dimensione dell’incontro diventa quasi
una missione, non utopica bensì concreta, da realizzarsi in ogni momento
del nostro percorso professionale e umano.
(Set.2020)
Delis Nisco
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