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Anno XIX num.5
Set./Ott. 2020

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IL FATTORE UMANO

di Delis Nisco


La verità è che il nostro piccolo mondo non è diverso da quello di altre professioni: contano le competenze, certo, però contano moltissimo soprattutto i rapporti umani. La Cultura è rispetto delle persone e la gentilezza vera fa sempre la differenza.
(Banda Larga, Acquario (2019))

Dopo un’esperienza come libraia di circa due anni, da febbraio ho iniziato a occuparmi dell’Ufficio Stampa di una piccola casa editrice indipendente di Roma. Quello che mi propongo di analizzare in questo breve elaborato è la rilevanza di un fattore relazionale realmente umano in entrambi gli ambiti in cui ho lavorato e sto lavorando, a fronte di due movimenti che attraversano il mondo editoriale da tempi più o meno recenti: la virtualità delle relazioni e la mitizzazione del concetto di “rete di contatti”.

Nella vita ho sempre sognato di fare la libraia e l’idea di lavorare in una casa editrice mi ha sempre suscitato una certa diffidenza.

 Quello che volevo come libraia era prima di tutto interfacciarmi con una pluralità di prospettive, provenissero esse dal variegato mondo degli editori o da quello dei lettori/clienti.

Ciò che mi aspetto, in pratica e non solo in teoria, da un libraio è un ruolo intermediario, una capacità di dialogo multidirezionale che convogli le peculiarità di realtà editoriali sempre più piccole, curate e diversificate con le esigenze dei lettori, altrettanto peculiari e soprattutto saturate da una proposta commerciale che cresce ogni giorno, spesso più dal punto di vista della quantità che della qualità.

Il libraio della grande catena o del centro commerciale che si sostituisce al commesso non rientra nelle mie considerazioni: per quanto mi riguarda un libraio è prima di tutto un ascoltatore e un interprete. Spesso il lettore non è consapevole di ciò che sta cercando e deve potersi affidare a una figura di riferimento che lo accompagni nel proprio percorso di scelta, o lungo i binari già tracciati dalla propria cronologia di letture oppure verso nuove scoperte inaspettate. Allo stesso tempo il libraio deve saper comunicare con i diversi editori e conoscerli, essere competente rispetto ai loro obiettivi, al loro target, alle loro peculiarità, al fine di poter proporre il prodotto in maniera efficace.

Il libraio è quindi il punto d’incontro tra due mondi, quello editoriale e quello dei lettori, che si declinano nell’infinita molteplicità dei loro costituenti. Ma lettori ed editori sono prima di tutto persone, che condividono una passione, quella per i libri, ogni volta incarnata in storie e progetti diversi, sogni, ricerche, obiettivi, desideri. La bellezza del mestiere di libraio è quella di essere il crocevia tra questi due mondi, tutti umani. La libreria, nel mio modo di intenderla, è un rifugio; i libri, un appiglio in un mare di incertezze; il libraio, un interlocutore privilegiato con cui condividere la propria storia passata, presente e futura di lettore.

Quello che mi allarmava nel lavoro in casa editrice era il timore di rimanere invischiata in una prospettiva univoca e monodirezionale rispetto al mondo-libro. L’idea di un’identità nettamente delineata cui abdicare per farmi portavoce di un marchio da proporre, un’unica filosofia da sposare per poter vendere un prodotto specifico, una serie di norme redazionali determinate con cui lavorare.

Non più una pluralità di voci e prospettive, ma il punto di vista unico e normativo della casa editrice. Un’estetica predefinita, limitazione delle alternative, chiusura degli orizzonti dialogici. Ma.
Come libraia ho avuto a che fare con numerose piccole e medie case editrici. Il che ha implicato fiumi di e-mail, chiamate, scadenze, confronti sugli eventi e sulle strategie di vendita, rendiconti, ordini, le tante questioni logistiche che concretizzano la romantica figura del libraio che ho delineato qualche riga più sopra. Quello che ho cercato di fare è sempre stato rendere umane tutte queste interazioni: non scambi di informazioni, ma incontri. Sono nate splendide collaborazioni, amicizie, rapporti di stima reciproca.

Quando ho terminato il mio incarico ho scritto una lettera a tutti gli editori con cui avevo collaborato, un saluto che voleva essere prima di tutto un ringraziamento. Oltre al calore che ho ricevuto in risposta e che mi ha ripagato del grande investimento di tempo ed energie dedicati alla libreria ben oltre i dettami del mio contratto, ho ricevuto anche delle proposte lavorative, una delle quali dalla casa editrice con cui collaboro attualmente. Una realtà di cui condividevo i contenuti, lo spirito ribelle, la direzione ostinata e contraria (come direbbe il saggio). Una realtà prima di tutto aperta - alle possibilità, all’incontro. Così ho accettato e mi sono trovata dall’altra parte della barricata.
Quello che cerco di fare tutti i giorni, e ho la fortuna di essere pienamente appoggiata dalla realtà editoriale in cui lavoro, è non dimenticare che “la letteratura non nasce nel vuoto, ma all’interno di un insieme di discorsi vivi” (T.Todorov, “La letteratura in pericolo”). Gli interlocutori di questo discorso sono numerosi ma a rendere generativo il loro dialogo è l’umanità dietro alle idee che lo animano. Anche scrivere un’e-mail deve essere un gesto abitato prima di tutto dalla gentilezza: è a tutti gli effetti un momento di incontro tra due o più persone. La mistica della “rete di contatti” sta diventando un credo snaturato il cui unico scopo è aggiungere nomi a un indirizzario.

Ma la letteratura “rimane uno dei luoghi di una mentalità autenticamente liberale, in cui ci si educa al senso vivido degli individui e alla capacità di accogliere nel proprio mondo chi ancora non ne faceva parte” (E. Raimondi, “Un’etica del lettore”). Chi lavora con i libri deve avere questa sorta di pre-coscienza istintiva: i libri sono incontro con l’altro-da-me (la lettura non è mai un monologo). Non si tratta di una nozione scolastica da mandare a memoria se interrogati sull’argomento: è qualcosa che dobbiamo vivere ogni giorno, anche quando ci sediamo dietro allo schermo di un computer o al ricevitore di un telefono. Predisporci all’ascolto, alla conoscenza, all’inaspettato.

Se lavoriamo con questo spirito non stiamo creando una “rete di contatti” che sarà utile a vendere meglio l’oggetto libro: stiamo crescendo come esseri umani. Non si tratta di essere idealisti o romantici: si tratta di restituire la dimensione umana alla nostra professione e fare una piccola differenza. Io mi aspetto, pretendo, che quello dei libri non sia solo e soltanto un mercato di oggetti di consumo come un altro.

Ogni professione ha una sua dimensione di passione e di dedizione, chi sceglie di lavorare con i libri più di ogni altro non dovrebbe dimenticare il suo punto di partenza e la sua direzione. Se in questo periodo di quarantena ci siamo ancora di più nascosti dietro a schermi e distanze, agli incontri virtuali, all’assenza fisica, recuperare la dimensione dell’incontro diventa quasi una missione, non utopica bensì concreta, da realizzarsi in ogni momento del nostro percorso professionale e umano. (Set.2020)
 

Delis Nisco

   


 

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