INDICE DI
SVILUPPO UMANO (ISU)
Metodologia ed evoluzione concettuale
di Assunta Sera
Introduzione
Nel 1990 l’UNDP (United Nations Development
Programme) pubblicò il primo “Rapporto sullo sviluppo umano”, con
l’obiettivo di affermare che lo sviluppo di una nazione non deve essere
misurato solamente in base al reddito nazionale. Fino ad allora il PNL
pro capite veniva considerato l’unico riferimento per la misurazione del
livello di sviluppo degli stati.
Nel 1990, invece, venne introdotto per la
prima volta l’Indice di Sviluppo Umano (ISU o HDI=Human Development
Index), ottenuto partendo dalla definizione di sviluppo umano presentata
nel rapporto stesso. In essa si affermava che “Lo sviluppo umano è un
processo di ampliamento delle scelte delle persone. In teoria, queste
possono essere infinite e cambiare nel tempo. Ma a tutti i livelli dello
sviluppo, le tre scelte essenziali per la gente sono vivere un’esistenza
lunga e sana, acquisire conoscenze ed accedere alle risorse per un
dignitoso tenore di vita. Se queste scelte non sono disponibili, molte
altre opportunità rimangono inaccessibili.” (UNDP, 1990).
In base a ciò si elaborò un sistema che
combinava tre elementi essenziali di base della vita umana come la
longevità, l’istruzione ed uno standard di vita dignitoso (la crescita
economica divenne quindi un mezzo e non il fine dello sviluppo umano),
ammettendo comunque che mai un unico indice sarebbe stato in grado di
rappresentare completamente un concetto così complesso come lo sviluppo
umano. Inoltre si era ben consapevoli di come l’ISU non fosse
concettualmente immutabile, ma potesse essere modificato sulla base di
critiche e considerazioni costruttive.
In base a tale indice, dal 1990 ad oggi,
viene stilata ogni anno una classifica, che vede in graduatoria 174
paesi del mondo (nel primo rapporto del 1990 erano 130), specchio dei
risultati conseguiti da ciascuno stato in materia di sviluppo umano.
Indice di sviluppo umano: la genesi…
Come detto l’ISU nasce con il primo
“Rapporto sullo sviluppo umano” del 1990 e definito come un indice
sintetico (ovvero ottenuto con la media aritmetica) di tre aspetti
essenziali della vita umana, calcolati attraverso indicatori basati su
dati medi nazionali:
v
longevità
à
speranza di vita alla nascita;
v
livello d’istruzione
à
alfabetizzazione degli adulti;
v
livello di vita dignitoso
à
il logaritmo del reddito pro capite in dollari a parità di potere
d’acquisto.
La prima componente, la longevità, è
importante di per se stessa per il fatto che misura vari aspetti
indiretti della vita di un essere umano, come un’adeguata nutrizione e
una buona salute, di solito associati alla speranza di una vita lunga.
Il livello d’istruzione è solo la cruda
misura dell’accesso all’istruzione, necessaria quest’ultima per una vita
produttiva nella società moderna.
L’ultima componente chiave dello sviluppo
umano è lo sfruttamento delle risorse, che garantisce un livello di vita
dignitoso ed è più difficile da calcolare. Viene usata una misura,
aggiustata secondo il potere d’acquisto di ciascun paese, del reddito
pro capite, che grossomodo permette di calcolare le capacità d’acquisto
di comodità e quanto delle entrate in un paese vengono poi trasformate
in capacità umane.
L’utilizzo del logaritmo e la fissazione di
una soglia massima di povertà (fino al 1993 venne calcolata in base alla
soglia di povertà dei paesi industrializzati dalla Luxembourg Incombe
Study), oltre la quale i redditi vengono posti uguale a zero, permettono
di considerare il peso del reddito decrescente rispetto allo sviluppo
umano. La formula esplicita dei rendimenti decrescenti è quella di
Atkinson:
1
Wy = xy1 - є
1- є
Wy rappresenta il benessere derivante dal
reddito ed є l’estensione dei rendimenti decrescenti. Quindi se є = 0
non ci sono rendimenti, se invece tende ad 1 l’equazione diventa:
Wy = logy
Già in questo primo rapporto si sentiva la necessità di sottolineare il
fatto che i tre indicatori non riuscivano ad evidenziare le differenze
all’interno dei gruppi sociali di ciascun paese. Problema al quale si
cercherà di rimediare negli anni.
Un ulteriore passo verso il calcolo dell’ISU e quello di definire
l’indice di privazione. Esso viene relativizzato, cioè messo a rapporto
con la differenza fra il massimo ed il minimo della variabile presa in
considerazione. Ciò consente di poter confrontare fra loro le tre
diverse variabili che compongono l’ISU. la formula è:
(valore max Xij – Xij)
j
Iij =
(valore max Xij – valore min Xij)
j j
Iij
è l’indice di privazione sofferta del j-esimo paese per la i-esima
variabile. I valori massimi e minimi di ciascuna variabile nei primi
rapporti cambiavano ogni anno ed erano stabiliti in base ai dati
correnti del paese nell’anno in esame.
Ad esso segue il calcolo dell’indice medio di privazione (Ij)
per tutte e tre le variabili che così hanno un ugual peso. Ciò si
ottiene facendo la semplice media aritmetica dei tre indicatori:
3
Ij
= 1 / 3 ∑ Iij
i = 1
L’ultimo passo consiste nell’utilizzo
dell’indice di deprivazione di Gini della media Ij per il
calcolo dell’ISU:
(ISU)j = (1 – Ij)
Il valore dell’ISU è quindi compreso tra 0 e 1, ed indica quanto ciascun
paese si è avvicinato a tre obiettivi:
v
una speranza di vita alla
nascita di 85 anni;
v
accesso all’istruzione per
tutti;
v
livello dignitoso di reddito.
Il valore teorico massimo dell’ISU (=1) significa che il paese ha
conseguito tutti gli obiettivi, e la sua scala è positiva, cioè più
cresce l’indice e migliore è la situazione dello sviluppo umano nel
paese sotto esame.
Indice di sviluppo
umano… aggiustamenti metodologici.
Già nel secondo rapporto del 1991 si
procedette ad alcuni aggiustamenti riguardo le variabili utilizzate per
il calcolo dell’ISU. L’istruzione raggiunta, per esempio, venne
calcolata tramite la combinazione di due indici come l’alfabetizzazione
degli adulti ed il numero medio degli anni di scolarizzazione,
permettendo così di misurare gli alti livelli di formazione
professionale. Ad entrambe sono stati assegnati dei pesi:
E = a1 ALFABETIZZAZIONE + a2 ANNI DI SCOLARITA’
Nell’ISU originario a1 = 1 e a2
= 0, mentre nell’ISU del rapporto del 1991 a1 = 2 / 3 e a2
= 1 / 3.
Per il calcolo dei rendimenti decrescenti
del reddito si abbandona il metodo che poneva uguale a zero il peso dei
redditi superiori alla soglia della povertà, giudicato troppo drastico,
sostituendolo con un sistema che attribuisce un peso progressivamente
inferiore ai redditi oltre la soglia della povertà. Con la modifica si è
scelto di far aumentare lentamente il valore di є con l’aumentare del
reddito. Così si è suddivisa la gamma dei redditi in multipli della
soglia di povertà y*. La maggioranza dei paesi si trova fra 0
e y*, alcuni tra y* e 2y*, un numero
inferiore tra 2y* e 3y* e così via. Per tutti i
paesi poveri per i quali y < y* il valore di є = 0, per cui
non esistono redditi decrescenti. Così più i redditi sono oltre la
soglia di povertà e più hanno peso i rendimenti decrescenti nel
contributo del reddito allo sviluppo umano. Il reddito al di sopra della
soglia di povertà ha quindi un effetto marginale, ma è tuttavia
sufficiente per differenziare fra loro i paesi ricchi.
Per un confronto nel tempo dell’ISU nel
rapporto del 1991 si è suggerita una modifica:
(Xijt – valore min Xijt)
jt
Zijt =
( valore max Xijt– valore min Xijt)
jt
jt
E’ una somma ponderata dei tassi di
crescita delle tre variabili, dove i pesi sono dati dal rapporto tra il
valore iniziale di una variabile ed il valore massimo del periodo. Nella
formula j rappresenta il paese e t il periodo di tempo. Il denominatore
resta immutato per tutti i periodi di tempo e per tutti i paesi poiché
il valore massimo viene stabilito in base al più alto raggiunto in un
dato arco di tempo da tutti i paesi ed il minimo in base al valore più
basso raggiunto da tutti i paesi nello stesso arco di tempo. Quindi l’ISU
modificato diventa:
3
ISUjt
= 1 / 3 ∑ Zijt
i = 1
Inoltre nel rapporto del 1991 è stato fatto un primo tentativo di
misurare la libertà (ILU), non inclusa nell’ISU, e di correggere l’ISU
secondo la distribuzione del reddito e le differenze di genere,
scontrandosi però contro la mancanza di dati (si avevano dati parziali
solo per 30 paesi). L’ILU (Indice di Libertà Umana) venne elaborato
partendo dall’indice di Humana. Esso analizza 88 nazioni in materia di
diritti umani in funzione di 40 indicatori basati sui documenti
internazionali dei diritti umani, a causa della mancanza dei dati a
livello nazionale.
Nel rapporto n° 5 del 1994 si stabilirono valori normativi della
speranza di vita, della scolarizzazione e del reddito, sulla base dei
valori più estremi registrati su un lungo periodo, ad esempio 60 anni (i
min sono quelli osservati storicamente retrocedendo di 30 anni, i max
sono quelli previsti 30 anni nel futuro). Inoltre il calcolo del PIL pro
capite non venne più eseguito sui dati della Penn World Tables ma sulle
stime della Banca Mondiale, ciò comportò alcuni cambiamenti nel valore
dell’ISU.
I nuovi limiti normativi da allora sono:
v
Speranza di vita
à
25 – 85 anni.
v
Alfabetizzazione degli adulti
à
0% - 100%.
Media degli anni di scolarizzazione
à
0 - 15 anni.
v
Reddito
à
200 – 40.000 $ppa (il valore della soglia di povertà è di 5.120
$ppa).
Nel rapporto n° 6, dedicato alle donne, finalmente si chiarificano gli
aspetti metodologici dell’Indice di Sviluppo di Genere (ISG). Il
messaggio del rapporto si condensa in una semplice frase “Lo sviluppo
umano, se non è correlato al genere, viene compromesso.” (UNDP, 1995).
Da ciò si è partiti per la costruzione dell’ISG, un indice di genere che
misura i livelli conseguiti dagli stati nelle stesse capacità di base
dell’ISU, tenendo conto delle disparità di risultati fra uomini e donne.
Le precedenti stime della differenza di genere, che vedevano la
correzione dell’ISU secondo la percentuale del valore femminile su
quello maschile per ognuna delle tre componenti dell’indice,
presentavano infatti due problemi. In primo luogo non rapportavano la
differenza di genere al livello dei risultati complessivi all’interno
della società. Una comunità può aver raggiunto un’alta uguaglianza fra i
sessi ma presentare un rapporto di alfabetizzazione sfavorevole alle
donne.
Inoltre per ogni società è quantificabile un valore di “avversione alla
disuguaglianza di genere” (Є) che dipende dal punto di partenza di una
società e a quali obiettivi si prefigge di arrivare nel campo
dell’uguaglianza di genere. Esso varia tra 0, per il quale non c’è
considerazione politica per i risultati conseguiti (o non conseguiti)
nell’ambito delle disuguaglianze di genere, e + ∞, il quale indica una
sensibilità talmente alta che si considerano sempre i risultati più
bassi raggiunti. Nelle precedenti pubblicazioni Є = 0, mentre in questo
rapporto i calcoli dell’ISG considerano Є = 2 (media armonica),
espressione di un grado moderato di avversione alla disuguaglianza.
Questo permette di dimostrare che anche con pesi modesti l’andamento
della discriminazione di genere nella maggior parte dei paesi è
abbastanza negativo.
Per quanto riguarda la speranza di vita
si tiene conto del margine biologico per il quale le donne, a parità di
alimentazione e di stili di vita, vivono di più degli uomini, ed i
margini sono:
v
Speranza di vita femminile
à
27,5 – 87,5.
v
Speranza di vita maschile
à
22,5 – 82,5.
Per quanto riguarda l’educazione
raggiunta il calcolo resta lo stesso dell’ISU.
Le lacune nei dati della variabile reddito sulla disuguaglianza di
genere sono tante nei 130 paesi per i quali è stato calcolato l’ISG. Si
quantificano le quote di reddito guadagnato da donne e uomini attraverso
il rapporto fra il salario di ciascun sesso e quello nazionale
moltiplicato per le rispettive quote di forza lavoro (% di popolazione
attiva al di sopra dei 15 anni). Il salario guadagnato viene quindi
scontato in proporzione alle popolazioni maschile e femminile. Se c’è
disparità di genere nelle quote di reddito guadagnato la media del PIL
reale viene ritoccata verso il basso in base al peso di Є.
Poiché la disuguaglianza di genere è presente in ogni paese l’ISG è
sempre inferiore all’ISU, ed inoltre è empiricamente verificabile il
fatto che l’uguaglianza di genere non dipende dal livello di reddito di
un paese.
Si può inoltre calcolare la disuguaglianza di genere di uno stato
mettendo a confronto ISG e ISU, mediante il calcolo della riduzione
relativa dell’ISG in rapporto all’ISU:
(ISU – ISG)/ISU
Con Є = 2 è come misurare 1 meno il
rapporto della media armonica con quella aritmetica (variazione della
misura di Atkinson della disuguaglianza).
Un’altra misura dell’attribuzione di
genere, presentata nel rapporto n° 6, è la MPG (Misura dell’attribuzione
di Potere legata al Genere), un indice calcolato sulla media aritmetica
di tre variabili che quantificano la partecipazione delle donne alle
decisioni politiche, il loro accesso alle opportunità professionali e la
loro capacità di guadagno. Le tre ampie classi di variabili sono:
v
Partecipazione delle donne
alle decisioni politiche
à
% di seggi in parlamento per uomini e donne (min 0% - max 50%).
v
Accesso alle opportunità
professionali à
% dei lavoratori classificati come professionali, tecnici,
amministrativi e manageriali (min 0% - max 50%).
v
Capacità di guadagno
à
reddito pro capite ppa$ non corretto (min 100$ - max 40.000$).
MPG (Misura dell’attribuzione di Potere legata al Genere) e ISG
(dell’Indice di Sviluppo di Genere) considerano il reddito in modo
differente. Nell’ISG il reddito è valutato come contributo allo sviluppo
umano basilare. Mentre nella MPG il reddito è una sorgente di potere
economico che rende libero il percettore di reddito di scegliere fra
capacità di livello superiore rispetto a quelle di base. Ecco perché il
reddito non viene corretto (sconto progressivo dei redditi oltre la
soglia di povertà), come invece avviene nell’ISU e nell’ISG. Anche qui
il parametro Є = 2.
In pratica mentre ISG misura l’espansione delle capacità, MPG riguarda
l’uso di tali capacità per trarre vantaggi dalle occasioni della vita.
Vi è inoltre nel rapporto n° 6 del 1995 un aggiustamento verso il basso
del minimo normativo del reddito per quanto riguarda l’ISU, portato da
200$ a 100$, per mantenere una coerenza di costruzione con l’ISG, dove
per tale indice 100ppa$ è il limite inferiore del reddito femminile.
L’altra grande novità comparve nel Rapporto n° 8 del 1997 nel quale
venne introdotto l’IPU-1, cioè la misura della povertà nei paesi in via
di sviluppo. Esso è l’espressione del grado di privazione nei tre
elementi essenziali della vita umana contenuti anche nell’ISU, e cioè
longevità, alfabetizzazione ed uno standard di vita dignitoso, calcolati
attraverso tre nuove variabili:
v
Longevità
à
% di persone con una speranza di vita inferiore a 40 anni (P1).
v
Alfabetizzazione
à
% di adulti analfabeti (P2).
v
Standard di vita dignitoso (P3)à
% di persone prive dell’accesso ai servizi sanitari (P31) e
all’acqua potabile (P32), e % di bambini sotto i 5 anni
sottopeso (P33).
Il passo successivo è il calcolo di P3
attraverso la media aritmetica delle tre variabili che lo
compongono:
P31 + P32 + P33
P3 =
3
Quindi la formula per il calcolo
dell’IPU-1 è:
IPU-1=
[1/3(P13 + P23 + P33)]1/3
Ad esso si è aggiunto nel rapporto n°9
del 1998 l’IPU-2, che misura la povertà nei paesi industrializzati
attraverso le seguenti variabili:
v
Longevità
à
% di popolazione con una speranza di vita inferiore a 60 anni (P21).
v
Alfabetizzazione
à
% di popolazione che non sa leggere e scrivere (P22).
v
Reddito
à
% di popolazione con un reddito disponibile inferiore al 50% del reddito
medio nazionale (P23).
v
Partecipazione o esclusione
à
tasso di disoccupazione di lungo periodo (12 mesi e più) (P24).
La formula per il calcolo dell’IPU-2 è
simile a quella dell’IPU-1 e cioè:
IPU-2 = [1/4(P213 + P223
+ P233 +P243 )]1/3
Indice di sviluppo umano… edizione del
20° Anniversario.
Dopo anni nei quali l’indice è rimasto
sostanzialmente invariato, nel 2010 venne pubblicata l’edizione del 20°
Anniversario.
In essa sono contenute le analisi dei
cambiamenti ventennali rilevati dall’ISU, sottolineandone così
l’utilissimo carattere descrittivo e di confronto della realtà dei
diversi paesi del mondo.
A vent’anni di distanza ormai si riconosce
come il successo di un paese o il suo benessere non posso essere
misurati solo attraverso il reddito. Pertanto il supporto che l’ISU ha
dato negli anni all’analisi delle dinamiche di sviluppo dei singoli
paesi censiti è indubbio.
La grande intuizione di Mahbub ul Haq,
ideatore dell’ISU, di utilizzare l’approccio dello sviluppo umano per
arricchire le misure economiche della crescita si è rivelata molto utile
a capire il mondo contemporaneo ed il suo veloce cambiamento, grazie
alla sua flessibilità nel valutare e misurare la situazione odierna e le
prospettive future del nostro pianeta.
L’ISU permette di affermare che il mondo di
oggi, nonostante tutto, è un posto migliore rispetto a 1970. L’ISU medio
mondiale è cresciuto del 18% rispetto al 1990 e del 41% rispetto al
1970.
Dei 135 paesi inclusi nel campione, il 92%
della popolazione mondiale, solo 3 hanno un ISU più basso rispetto al
1970: Repubblica democratica del Congo; Zambia; Zimbabwe. I paesi dove
la crescita è stata più lenta sono quelli dell’area sub-sahariana, che
hanno subito i contraccolpi dell’epidemia di HIV/AIDS, e le nuove
repubbliche nate dallo scioglimento dell’URSS, le quali hanno pagato un
innalzamento del tasso di mortalità degli adulti con un’aspettativa di
vita scesa sotto i livelli del 1970.
L’ISU permette di evidenziare anche come lo
sviluppo umano è diverso dalla crescita economica. Paesi come lo stato
indiano del Kerala, il Costa Rica, Cuba e Sri Lanka hanno conseguito
livelli di sviluppo umano maggiori rispetto a quello di altre nazioni
con reddito equivalente. Ciò dimostra che nel mondo contemporaneo la
crescita economica si è sganciata dai processi che determinano lo
sviluppo umano.
Altro risultato dell’ISU è stato quello di
evidenziare l’aumento delle diseguaglianze interne ai singoli stati. Si
è potuto certificare che, per esempio, nei paesi dell’ex Unione
Sovietica le differenze tra i diversi ceti sociali sono andate
inasprendosi.
Nell’edizione del 20° anniversario, oltre
all’analisi temporale dell’ISU, sono stati introdotti tre nuovi indici
oltre a quelli finora elencati e spiegati:
·
Indice dello Sviluppo Umano
corretto per la disuguaglianza = viene incorporata, in ognuna delle
dimensioni dell’ISU, la disuguaglianza (ISUD). Quindi in condizioni di
perfetta uguaglianza ISU e ISUD sono uguali. Con il crescere delle
disuguaglianze nel reddito, nell’istruzione e nella salute i due valori
divergono;
·
Nuova misura della
disuguaglianza di genere = utilizza il medesimo quadro di riferimento di
ISU e ISUD, evidenziando però le differenze di distribuzione dei
risultati delle tre dimensioni tra uomini e donne (IDG);
·
Nuova misura multidimensionale
della povertà = l’indice individua le privazioni nelle note tre
dimensioni analizzate dall’ISU, misurando il numero dei poveri e il
numero dei sacrifici che gravano sulle famiglie povere.
Queste misure innovative producono molti
altri risultati e spunti originali che si spera offrano al dibattito
politico ed istituzionale nuovi spunti e progetti di crescita.
L’indice ha dimostrato che il progresso è
possibile anche in assenza di grandi risorse finanziarie. La vita delle
persone può essere migliorata con i mezzi che la maggior parte dei paesi
già dispone. Il successo, o il fallimento, è quindi legato alla
lungimiranza, o alla miopia, delle classi politiche al comando e dei
poteri economici sovranazionali.
Bibliografia
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measurement of human development”, hdr.undp.org/reports/global/1990/en.
UNDP (1991), “Rapporto sullo Sviluppo Umano 2 – per una riforma della
spesa sociale”, Rosenberg&Sellier, Torino.
UNDP (1992), “Rapporto sullo Sviluppo Umano 3 – come ridurre le
disuguaglianze mondiali”, Rosenberg&Sellier, Torino.
UNDP (1993), “Rapporto sullo Sviluppo Umano 4 – decretare per
partecipare”, Rosenberg&Sellier, Torino.
UNDP (1994), “Rapporto sullo Sviluppo Umano 5 – nuove sicurezze”,
Rosenberg&Sellier, Torino.
UNDP (1995), “Rapporto sullo Sviluppo Umano 6 – la parte delle donne”,
Rosenberg&Sellier, Torino.
UNDP (1996), “Rapporto sullo Sviluppo Umano 7 – il ruolo della crescita
economica”, Rosenberg&Sellier, Torino.
UNDP (1997), “Human Development Report – human
development to eradicate poverty ”, hdr.undp.org/reports/global/1997/en.
UNDP (1998), “Rapporto sullo Sviluppo Umano 9 – i consumi ineguali”,
Rosenberg&Sellier, Torino.
UNDP (2000), “Rapporto sullo Sviluppo Umano 11 – i diritti umani”,
Rosenberg&Sellier, Torino.
UNDP (2003), “Human Development Report – millennium
development goals: a compact among nations to end human poverty”,
hdr.undp.org/reports/global/2003/.
UNDP (2004), “Human Development Report – cultural
liberty in today’s diverse world”, hdr.undp.org/reports/global/2004/.
UNDP (2010), “Sommario Rapporto sullo Sviluppo Umano 2010 – edizione del
20° Anniversario – la vera ricchezza delle nazioni: Vie dello sviluppo”,
http://hdr.undp.org/sites/default/files/hdr2010-italian-summary.pdf.
[1/(P1 + P2 + P3)]1/
nelle note statistiche del
rapporto del 1997 si dimostra che il miglior modo per dare il
giusto peso a tutti gli indici di privazione è per = 3.
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