LA SCRITTURA
di Federica Aceti
Ogni
giorno, ciascuno di noi compie azioni incondizionate, abituali come
mangiare, bere, dormire e scrivere.
Scriviamo per il piacere che ci provoca l’imprimere sulla carta le
nostre esperienze, le nostre emozioni, per far conoscere il nostro
pensiero, per tenere i conti, per raccontare delle storie o per
ricordare cosa dobbiamo fare domani.
La
scrittura è una delle conquiste più importanti dell’umanità, ma la gente
ignora quanto lungo e complesso sia stato questo percorso. Partendo
dalla scuola, nessuno ci ha mai spiegato come sia nata, ma ce l’hanno
sempre presentata come qualcosa che è sempre esistita.
È per
questo motivo che ho deciso di elaborare la mia tesina su questo
argomento.
Nonostante esistano varie scuole di pensiero, io concordo con quelle che
sostengono che la scrittura sia nata nel Paleolitico, quando l’uomo ha
cominciato a tracciare graffiti e pitture sulle rocce e sulle pareti
delle caverne. Che siano stati realizzati a scopi magici e propiziatori
o per raccontare scene di caccia, senza di essi molte cose che
conosciamo oggi su quest’Era rimarrebbero ignote.
La
prima forma di scrittura, come la intendiamo oggi, fu inventata dai
Sumeri, in Mesopotamia nel 3300 a.C., per soddisfare le esigenze dei
sacerdoti, ovvero registrare i tributi. Inizialmente la scrittura era
realizzata con disegni schematici (pittogrammi) tracciati su tavolette
d’argilla fresca, sulle quali lo scriba imprimeva la punta triangolare
di uno stilo di canna affilato, per raffigurare i prodotti che
arrivavano nel tempio/magazzino.
Questi disegni rappresentavano un oggetto, non un nome o una parola; è
per questo motivo che, con il passare del tempo, i Sumeri scomposero le
parole della loro lingua in sillabe e attribuirono a ognuna di queste un
segno convenzionale; da questo la nascita della scrittura sillabica o,
più comunemente conosciuta, cuneiforme (in quanto ogni sillaba ricordava
la forma di un cuneo/chiodo).
Fino
alla prima metà del II millennio, l’andamento della scrittura cuneiforme
era verticale, e da destra a sinistra; dopo si diffonde un andamento
orizzontale da sinistra a destra.
Contemporaneamente ai Sumeri, anche gli Egiziani inventarono la
scrittura; essa era costituita dai così detti geroglifici, ovvero segni
sacri, in quanto venivano considerati dotati di poteri magici; per
questo motivo gli scribi tracciavano con grande cura ogni segno, fino a
farne una piccola opera d’arte. Inoltre, ogni segno veniva considerato
“vivente” e chi scriveva doveva badare a questo aspetto (per esempio, se
si tracciava il geroglifico di un leone, gli scribi ne mutilavano una
gamba per impedirgli di balzare fuori dal testo e ferire il lettore).
I
geroglifici erano in parte:
-
Pittogrammi: un segno rappresentava un oggetto
-
Ideogrammi: un segno indicava un’idea astratta, un
concetto
-
Fonetici: un segno stava per il suono della parola che
rappresentava.
I
segni erano disposti da destra a sinistra o da sinistra a destra, in
verticale o in orizzontale; l’inizio della riga di scrittura dipendeva
da dove gli esseri animati guardavano.
Il
supporto utilizzato per questa scrittura era il papiro, costituito da
fogli simili alla carta, ottenuti macerando, intrecciando e battendo
sottili listarelle ricavate dai gambi della pianta, appunto chiamata,
papiro, che cresceva nelle paludi e con cui gli Egiziani fabbricavano
anche barche, sandali e ceste. I fogli di papiro, una volta scritti,
venivano arrotolati e conservati negli archivi dei templi.
Il
più antico alfabeto conosciuto è quello fenicio, puramente consonantico
(ovvero senza vocali), nato nel 1500 a.C.. Esso si basava sul principio
che ad ogni suono del linguaggio corrisponde un segno. Molti alfabeti
nati dopo quello fenicio, prendono spunto da questo per evolversi e
migliorarlo; come l’alfabeto greco, nel quale vengono integrate
all’interno anche le vocali. La scrittura diventa uno strumento per
scrivere miti, annali e cronache.
Verso
la fine dell’VIII sec. A.C., nel golfo di Napoli (zona molto aperta e
favorevole agli scambi), gli Etruschi vengono a contatto con i Greci.
Uno dei risultati più significativi di questo contatto è l’adozione
della scrittura. L’alfabeto inizia a diffondersi tra i popoli
dell’Italia antica.
Nell’uso testuale gli Etruschi adottarono l’alfabeto greco compiendo
alcune modifiche e abbandonando alcuni segni sentiti inutili per la loro
lingua.
Tutte
le manifestazioni a noi note in lingue italiche sono scritte in alfabeti
di derivazione greca, etrusca e, in misura minore, latina.
L’alfabeto latino nasce nel VII secolo a.C. da quello etrusco. In
origine era composto da 20 caratteri e solo da lettere maiuscole; fu
solo nel Medioevo che entrarono nell’uso anche le lettere minuscole. Il
maiuscolo fu mantenuto per scritture formali; da qui l’uso dell’iniziale
maiuscola per aprire una frase o per indicare nomi propri. Oggi è
l’alfabeto più diffuso nel mondo. La sua espansione nell’Europa
settentrionale e centrale avvenne attraverso la diffusione del
Cristianesimo.
Tra
gli altri alfabeti noti ricordiamo quello:
-
Ebraico: scrittura consonantica; le vocali possono essere
aggiunte sotto le consonanti per favorire la comprensione. Si legge da
destra a sinistra.
-
Arabo: si compone di 28 lettere, tutte consonanti, mentre
le vocali sono segnalate mediante segni che di solito vengono omessi. Si
legge da destra a sinistra e nei libri la prima pagina è quella che per
noi è l’ultima.
-
Runico: ne esistono due tipi; quello a 24 segni e quello
di 16 segni adottato dai Vichinghi. I popoli germanici e scandinavi
ritenevano che questi segni avessero poteri magici e credevano che non
venissero scolpiti dagli incisori, ma si creassero autonomamente.
-
Cirillico: usato per le lingue dei russi, ucraini,
bulgari e serbi. Il nome deriva dal suo inventore, San Cirillo. Si
compone di 31 segni.
La
scrittura era una pratica riservata a pochi eletti, anche perché
imparare a scrivere richiedeva anni di studio; come gli scribi, nel
Medioevo i monaci svolgevano il lavoro di copisti, ovvero riscrivevano a
mano le grandi opere dell’antichità classica, greca e latina. Era un
lavoro molto prezioso, ma lungo, faticoso e soggetto ad errori. I monaci
scrivevano sulla pergamena (inventata da Eumene II di Pergamo nel 200
a.C.), materiale ricavato dalla pelle di pecora trattata.
Con
l’arrivo della stampa a caratteri mobili (invenzione di Gutenberg del
1452) la scrittura diventa accessibile a tutti. Nasce così il libro
grazie alla possibile riproduzione in serie di qualsiasi opera.
I
caratteri mobili, per poter essere usati nella composizione del testo,
venivano riposti in un apposito contenitore chiamato “cassa
tipografica”. Esso era suddiviso in “cassa alta” (disponeva di 98
scomparti, e conteneva nella parte destra le piccole maiuscole disposte
in ordine alfabetico, segni commerciali e qualche segno di
punteggiatura; la parte sinistra conteneva le maiuscole, le lettere
accentate e le doppie) e “cassa bassa” (conteneva 54 scomparti con le
minuscole, i numeri e gli spazi). Il compositore prelevava i singoli
caratteri e li affiancava rovesciati, da sinistra verso destra, su uno
strumento chiamato compositoio. Dopo di che si procedeva alla stampa del
foglio, mediante l’utilizzo del torchio. Esso, nel corso degli anni,
subì numerosi perfezionamenti, volti a semplificarne il funzionamento e
ad incrementare la produttività.
Nel
1855 Giuseppe Ravizza brevettò il primo “cembalo scrivano”, alias la
macchina da scrivere, uno strumento rivoluzionario di scrittura, dotato
di una piccola tastiera sulla quale erano dipinte le lettere
dell’alfabeto e i segni di interpunzione.
Devono passare più di cento anni prima di arrivare agli albori della
tecnologia moderna. Nel 1983 nasce il primo personal computer, uno
strumento che ha avuto, nel giro di pochi anni, una rapida evoluzione.
La sua memoria e capacità di calcolo possono rendere più efficaci e
produttive le attività di tutti. Da esso nasce la videoscrittura, una
pratica che modifica profondamente la tradizionale attività di
scrittura.
Il
processo di scrivere a mano o al computer è radicalmente diverso. Nel
primo caso si tratta di un’attività motoria specializzata che comporta
l’uso di una sola mano scrivente, mentre l’altra offre solo un sostegno
sul foglio. Quando scriviamo a mano, c’è un rapporto diretto tra il
nostro atto di scrivere e il prodotto grafico ottenuto; per cui la
nostra esperienza coinvolge tutto il corpo e tutti i sensi. Da qui la
possibilità di personalizzare nel tempo la grafia in una maniera unica e
inimitabile.
Al
contrario, nella scrittura al computer si perde completamente questa
componente di contatto tra il processo e il prodotto grafico. Si usano
entrambi le mani per schiacciare i tasti, senza la consapevolezza del
movimento necessario per eseguire ogni lettera e sguardo sullo schermo
per controllare quanto si sta scrivendo. Si perde così completamente il
contatto con il corpo, la combinazione dei sensi correlati a precisi
movimenti di motricità, mentre la scrittura diventa impersonale.
Dopo
aver guardato, in modo sintetico, la storia della scrittura, scrivere
non è più un fatto banale ed anonimo come lo era prima, ma diventa
qualcosa di molto più interessante. Ci si rende conto che ogni lettera
ha una sua storia che spesso risale a migliaia di anni fa.
Platone criticava questa “nuova invenzione”, perché, a suo parere,
impediva il ricordo, che aiuta il risveglio della verità
nell’interiorità dell’anima e biasima l’eliminazione della parola viva
del maestro, sostituita dal libro che non può rispondere alle domande
dell’allievo.
“Le
immagini dipinte ti stanno davanti come se fossero vive, ma se chiedi
loro qualcosa, tacciono solennemente. Lo stesso vale anche per i
discorsi: potresti avere l’impressione che essi parlino, quasi abbiano
la capacità di pensare, ma se chiedi loro qualcuno dei concetti che
hanno espresso, con l’intenzione di comprenderlo, essi danno una sola
risposta e sempre la stessa”
A
difesa della scrittura e della pittura Ricoeur (filosofo francese),
invece, non le considera uno smorto doppione della realtà, ma occasione
e strumento di un incremento di senso. Inoltre sottolinea come l’assenza
del dialogo tra maestro e allievo viene colmata dal lettore, che prende
il posto dell’interlocutore assente e, con la sua interpretazione del
messaggio dell’opera, favorisce l’incremento del senso dell’opera
stessa.
Vorrei concludere dicendo che noi possiamo conoscere più profondamente
noi stessi, trovare la nostra identità se narrativizziamo le nostre
esperienze, la nostra vita come in un racconto. Dall’oceano dei pensieri
e delle azioni possiamo risalire alla sorgente se cogliamo noi stessi
come in un racconto.
Quando scrivi qualcosa non hai il controllo su quello che gli altri
capiranno; l’importante è che esprimi il tuo pensiero in modo conciso
perché sia letto, in modo chiaro perché sia capito, in modo pittoresco
perché sia ricordato e, soprattutto, in modo esatto perché chi lo legga
sia guidato dalla sua luce.
(Tesina
finale Master Editoria on-line)
Federica Aceti |