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Anno XVII num. 3
Mag./Giu. 2018

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LE BIOTECNOLOGIE AMBIENTALI

di Manrica Cresci

BIORISANAMENTO

Con il termine biotecnologie si intende l'insieme di tecniche che utilizzano organismi viventi, o parti di essi, per la realizzazione e lo sviluppo di processi o prodotti utili. Gli organismi geneticamente modificati (OGM) sono organismi il cui assetto genetico è stato modificato attraverso l'ingegneria genetica (un insieme di tecniche che permette di ottenere e manipolare il DNA ricombinante che è il DNA in cui è presente un'informazione genetica proveniente da due o più organismi differenti). Le biotecnologie trovano un vasto campo in tanti settori tra cui quello ambientale. Le biotecnologie ambientali trovano un ampio riscontro nel settore della tutela dell'ambiente, soprattutto nel settore del recupero di terreni e bacini idrici inquinati dagli sversamenti di natura industriale e civile.

Il primo caso di utilizzo di metodi innovativi basati sulle biotecnologie in campo ambientale si è avuto nel 1989, il 24 marzo, quando la petroliera Exxon Valdez in seguito ad incidente in prossimità delle coste dell'Alaska riversò in mare 270.000 barili (oltre 40.000 metri cubi di petrolio), contaminando l'area costiera per 1500 km. In quella occasione vennero utilizzati microrganismi presenti naturalmente nell'ambiente al fine di rimuovere sostanze inquinanti.

Per facilitare la proliferazione di queste specie di batteri naturali che hanno la caratteristica particolare di degradare le sostanze organiche (con liberazione di acqua e anidride carbonica), vennero immesse nell'area di interesse fertilizzanti, con il risultato che in soli tre anni l'area totale venne bonificata a dispetto delle tecniche tradizionali che avrebbero impiegato un tempo dieci volte maggiore. Questa tecnica, che è stata chiamata biorisanamento, da allora è stata utilizzata e perfezionata.

Vengono utilizzati i batteri perché sono il gruppo di organismi viventi più adattabile e versatile che esista (riescono a vivere in qualsiasi ambiente per quanto inospitale); infatti i batteri hanno trovato il modo di colonizzare gli ambienti rendendoli compatibili con la loro esistenza; ci sono batteri che vivono nelle sorgenti calde dei geyser, nelle sorgenti termali a notevoli profondità, nei mari e nei laghi più salati come il Mar Morto o nelle miniere ricche di minerali potenzialmente tossici. Utilizzare soltanto i microrganismi naturali ha però i suoi limiti, infatti queste sono le soluzioni che la selezione naturale ha favorito in determinati ambienti; ed è per questo che le biotecnologie in questo settore lavorano per aumentare la capacità di adattamento e flessibilità di questi batteri.

 

BIOFILTRI E BIOSENSORI

Una tecnica similare viene utilizzata anche per il trattamento delle acque reflue delle industrie o degli scarichi fognari. I metalli pesanti come mercurio, piombo o cadmio, rilasciati dagli scarichi industriali, sono tra gli inquinanti più pericolosi e difficili da smaltire e spesso inquinano le falde acquifere. Il mercurio provoca sintomi a carico del sistema nervoso centrale e, in seguito a esposizioni maggiori, quadri clinici di flogosi acuta della bocca, dello stomaco, dell'intestino e insufficienza renale.

L'attività tossica del piombo avviene a carico dell'emopoiesi e delle funzioni nervose superiori; nel caso di esposizioni severe si manifestano i sintomi della classica intossicazione saturnina: anemia, encefalopatia, paralisi periferiche, coliche intestinali. L'intossicazione cronica di cadmio ha come primo segno l'eliminazione urinaria di proteine di basso peso molecolare, segno di danno tubulare, poi di proteine di peso molecolare elevato per danno glomerulare. Per livelli maggiori di intossicazione il danno renale determina squilibri nel bilancio proteico e elettrolitico soprattutto a livello del calcio e del fosforo, determinando demineralizzazione, osteomalacia e pseudofratture.

Per poter contrastare questa tipologia di inquinamento da metalli pesanti sono sotto studio batteri modificati geneticamente in grado di eliminare tali sostanze. Sono stati inseriti in alcuni batteri (come Escherichia coli) sia geni che codificano per un sistema di trasporto per il mercurio attraverso la membrana della cellula batterica, sia il gene per la metionina di lievito che codifica per una proteina capace di legare il mercurio e quindi impedire a questo di uscire dalla cellula. Questa tipologia di batteri può essere fissata su un supporto solido e creare così i biofiltri in grado di assorbire il mercurio presente. Inoltre inserendo nei batteri un gene per la proteina fluorescente, ottenuta dalle meduse, è possibile creare dei biosensori batterici in grado di indicare la presenza di contaminanti nell'acqua o nel suolo. Quando è presente un certo inquinante l'espressione del gene si attiva e la produzione della proteina determina la bioluminescenza del batterio e quindi l'evidenza della presenza del contaminante.

 

BIOPILE

Attraverso il flusso di elettroni che avviene nelle reazioni redox (reazioni che sono alla base del metabolismo degli esseri viventi) è possibile produrre energia elettrica nelle biopile batteriche (costituite da due scomparti:nel primo troviamo l'anodo in cui si trovano i batteri anaerobi e nel secondo il catodo). Introducendo nel primo scomparto un combustibile organico i batteri lo ossidano e si crea un flusso di elettroni che viene utilizzato per produrre corrente elettrica che può poi essere sfruttata. Una biopila è in grado di generare 1kWh di energia elettrica a partire da una sostanza organica di scarto.

 

Il COMPOSTAGGIO

Una delle applicazioni più utilizzate è la trasformazione della frazione umida dei rifiuti solidi urbani e degli scarti della produzione agricola in terriccio, chiamato compost, da utilizzare come fertilizzante. Questa tecnica si chiama compostaggio e avviene in bioreattori grazie all'opera di batteri mesofili prima e batteri termofili dopo; al termine di questo processo, infine, soprattutto grazie ai funghi, viene prodotto il compost (il prodotto finale).

 

I BIOCARBURANTI

Un'alternativa ai combustibili fossili (carbone e petrolio), che sono fonti non rinnovabili e considerati responsabili dell'immissione di anidride carbonica nell'atmosfera con i relativi effetti negativi di surriscaldamento del pianeta, sono i biocombustibili (bioetanolo e il biodiesel). Quest'ultimi sono prodotti attraverso i processi fermentativi a partire da masse vegetali. I biocombustibili hanno il merito di avere un impatto sul livello di anidride carbonica nullo in quanto liberano solo l'anidride fissata durante la vita della pianta. Il bioetanolo viene sintetizzato dal processo di fermentazione degli zuccheri a partire da mais, sorgo o canna da zucchero, mentre il biodiesel viene sintetizzato dalla raffinazione di oli vegetali come ad esempio l'olio di palma.

Una fonte utilizzata per la produzione di biocarburanti è data dalle biomasse di rifiuto rappresentate dai prodotti di scarto come ad esempio quelli derivati dalla lavorazione del legno, raccolta di mais, buccia dei frutti. Queste biomasse sono ricche di carboidrati ma anche di cellulosa e emicellulosa: sono stati generati speciali batteri geneticamente modificati che operano sia la degradazione della cellulosa delle masse vegetali di scarto sia la fermentazione, producendo biocombustibile.

 

CONCLUSIONI

Se la società utilizzasse i principi che sono alla base dei processi naturali come guida per la produzione e sviluppo di nuovi materiali e processi di lavorazione, si arriverebbe a diversi vantaggi che vanno dalla protezione delle risorse naturali, alla riduzione del degrado ambientale, tutto ciò attraverso la drastica diminuzione della quantità dei rifiuti e la rimozione delle sostanze tossiche rischiose.

(Giu.2018)

 

Manrica Cresci


 

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