Lo scrittore
Lo scrittore! Senza
questa figura affascinante, emblematica, a tratti controversa non
potrebbe esistere l’editoria. È senza dubbio la parte principale di
quest’industria del piacere, così come mi piace definirla. Perché
per me è così, è un piacere sedermi e leggere un libro, il
quotidiano, una rivista: farlo mi fa sentire bene, mi permette di
vivere meglio, come se avessi in quel momento liberato le mie
angosce, abbattuto il muro che mi divide dal mondo, per poter
iniziare al meglio la mia giornata.
E se leggere mi fa
stare bene, scrivere... mi rende buono con me stesso, mi fa stare in
pace con quella parte di me che non trova ascolto e si trova per
questo in imbarazzo, non a proprio agio nel mondo, e così cerca
disperatamente che qualcuno gli permetta di gridare il suo dolore.
Ecco cos’è per me
scrivere: donare al mondo un pezzo della propria anima, attraverso
le parole e le emozioni che celano come se stessero proteggendo
qualcosa di sacro. Scrivere ti rende libero di osare, di fare ciò
che magari non saresti in grado di compiere con facilità. Adoro la
frase di Primo Levi impressa nel suo crudo capolavoro “Se
questo è un uomo”, citarla è per me d’obbligo: “Scrivo quello che
non saprei dire a nessuno”. Penso sia riuscito in una brevissima
frase telegrafica a esprimere cosa significhi realmente essere uno
scrittore.
A qualsiasi
categoria appartenga, qualsiasi siano i suoi orientamenti letterari,
qualunque sia la sua vita fino a quel fatidico momento, ciò che fa
uno scrittore è raccontare una storia che altrimenti non avrebbe
voce, non esisterebbe. Io non sarei in grado di dire ti amo ma
saprei o meglio proverei a farlo in mille modi davanti a un
computer, su un taccuino, un foglio di carta mezzo stropicciato e
macchiato di caffè, con qualunque mezzo a disposizione. Perché è ciò
che sono, uno scrittore. All’interno di un manoscritto descriverei
minuziosamente ciò che provo quando guardo la donna che amo, al
contrario non sarei in grado di aprire bocca se dovessi dirlo a voce
mentre le scruto gli occhi, le tengo la mano.
E così anche se
dovessi parlare di sesso, di politica, della morte. Scrivere mi
permette di compiere qualcosa che altrimenti non riuscirei mai a
fare. E per fare ciò abbiamo la possibilità di usare personaggi
inventati di sana pianta, nostri alter ego, camuffamenti che
esprimono in realtà bisogni reali, il più delle volte molto vicini a
noi stessi, anzi parte di noi.
Molti sono soliti
dire che gli scrittori sono dei grandi affabulatori, brillanti
oratori, io non credo sia così o meglio non penso si avvicini al mio
modo di intendere colui che scrive. Non credo abbia bisogno di un
microfono per esprimersi ma solo di un foglio bianco, è quella la
sua terra di conquista.
Non ha bisogno di
altro. È pur vero anche
che oggigiorno c’è bisogno di fare marketing, parola cara a chi poi
si trova a dover vendere il tuo libro e allora ecco che si spinge a
rendere lo scrittore quasi come un attore teatrale che porta
fisicamente in scena la sua opera evitando di restare nell’ombra.
Non più solo figure astratte capaci di arrivare ovunque con la
propria voce senza averla mai sentita realmente, ma vere e proprie
macchine che spingono attraverso presentazioni, apparizioni un po’
qua e un po’ la, a rendere visibile la propria creatura.
L’evoluzione fa parte della vita, entra
in ogni settore, in questo caso forse oltre a portare scompiglio
riformulando il presente ruba quella sana magia che da sempre ha
accompagnato questa icona del mondo editoriale, spogliandola del suo
misticismo fantasioso per plasmarla in carne e ossa e visibile a
tutti. Un po’ come fece Victor Frankenstein con il suo Prometeo,
dimenticando un aspetto determinante: qual era il suo posto nel
mondo.