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Anno XVII num. 5
Set./Ott. 2018

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NAVE CONCORDIA, DAL DISASTRO AL SUCCESSO TECNOLOGICO AL GRANDE SILENZIO AMBIENTALE

di Salvatore Pecorella

 

Del naufragio della Costa Concordia del 13 gennaio 2012 ne hanno parlato in tutto il mondo sia i telegiornali che le testate giornalistiche. È ancora vivo il ricordo delle persone che hanno perso la vita, n. 34 per l’esattezza,  e del successo tecnologico legato alle operazioni di raddrizzamento della nave prima e del suo trasferimento a Genova dopo.

Non risulta, almeno non è molto chiaro, il danno ambientale legato alle fasi che hanno condotto la nave al naufragio.

Un articolo di Panorama successivo al naufragio, di Carlo Piano, riporta “la catastrofe ecologica, temuta dalle associazioni ambientaliste, è stata evitata”. Sono un subacqueo ormai datato e, tra le mie innumerevoli siti di immersioni esplorati, mi sono immerso nel tratto di costa del Giglio dove la Concordia ha urtato l’isola, non lo scoglio di cui si parla, è l’isola del Giglio.

Parlare dopo sei anni può apparire retorico ma, osservando con retrospezione, posso affermare che il disastro ambientale è stato soffocato dalla tragedia umana.

Non condanno ne assolvo nessuno ma vorrei conoscere chi ha preso in considerazione l’ambiente, la fauna e la flora dello specchio d’acqua del naufragio prima e del Mar Tirreno dopo.

In pochi hanno parlato di quello che abbiamo perso, di quello che ha perso l’isola del Giglio e di quanto ha guadagnato l’isola dal turismo macabro, dei selfie e di quanti turisti hanno raggiunto l’isola, non per le sue peculiarità, ma per la “nave” e per i souvenir da acquistare.

Cosa ha lasciato la nave in mare? A detta dei telegiornali e giornali, niente e, tanto per dare un’idea, delle 2400 tonnellate di olio combustibile (Bunker/IFO-380) e 200 tonnellate di gasolio leggero, a questo punto, sono state tutte travasate in recipienti per essere trasportati a terra. Diciamo che, di queste tonnellate di combustibile, almeno il 5-10% si è riversato in mare e l'impatto ambientale, a mio avviso, è stato enorme e giustificabile dall’orientamento mediatico.

Che cosa può essere ancora fuoriuscito dalla nave? Dalle cucine dei 5 ristoranti non è uscito niente? Cosa davano da mangiare alle 4229 persone a bordo? Nel momento in cui si è piegata si sono sversati prima sul pavimento e dopo in mare tutto quello che era contenuto in frighi, magazzini, i detersivi per la pulizia delle cucine, gli oli ed altro che, hanno invaso istantaneamente, meglio inquinato, tutto il bacino di acqua antistante il porto del Giglio.

Dalle ricerche su internet, ho ricavato i dati riguardanti i danni, visibili, subiti dallo scafo dall’impatto con l’isola, consistenti in uno squarcio di 72 metri di lunghezza e 7,3 metri di altezza (circa il 20% della lunghezza della nave). Se il calcolo matematico è esatto, stiamo parlando di uno squarcio di 525,6 metri quadri. Che cosa ha allagato? Cosa contenevano i locali sottoposti ad una massiccia ondata di acqua marina?

Lo squarcio, ha posto fuori uso i motori elettrici principali e i generatori a gasolio, in breve tempo sono stati completamente allagati i compartimenti 4, 5, 6 e 7 sino all'altezza del ponte 0 (venendo così sommersi il quadro elettrico principale, i motori elettrici principali e tutti i generatori diesel); in questi locali, è impensabile, l’assenza di combustibili di vario genere, oli, acqua sporca ed altro che si sono riversati in mare e ancora molto lontano dall’ingresso del porto del Giglio.

Conoscendo le acque dell’isola del Giglio, Giannutri e dello spazio d’acqua compreso tra le isole e la Toscana è inverosimile pensare che non ha avuto effetti collaterali devastanti, le praterie di posidonia oceanica che circondavano il Giglio che fine hanno fatto? Forse a distanza di sei anni qualcosa è ricresciuto come è probabile che l’ossigenazione di quel tratto di mare è in sofferenza a causa della posidonia. La fauna locale ha, senza dubbio, risentito di questa variazione e la conseguenza inevitabile è stata la morte oppure, per chi può, il trasferimento in altre zone vivibili.

Solitamente quando parliamo di inquinamento da idrocarburi si prende in considerazione quello superficiale, quello visibile sulla superficie del mare, non considerando quello che, più pesante dell’acqua, si deposita sul fondale marino e stratifica provocando la totale distruzione di tutti gli organismi viventi dell’area invasa (bentonica).

La marea nera che la Concordia ha cominciato a sversare in mare dopo l’impatto con l’isola da quei 72 metri di falla non è stata registrata, si è preso in considerazione il relitto solamente dopo che si è adagiato sul fianco, dopo la conta dei superstiti e la ricerca dei dispersi, il giorno dopo, si è parlato di disastro ambientale da parte di alcune associazioni ambientaliste e successivamente tranquillizzate da una dichiarazione dell’ARPAT e dal Ministro Clini, a seguito di analisi, di un disastro ambientale evitato.

A quasi sette anni dalla tragedia tutto tace, non si parla più del disastro, è stato trasferito il relitto, quindi, non sussistono problematiche ambientali. Non sono convinto che tutto sia risolto, purtroppo gli idrocarburi contaminano tanto e, nel giro di poco tempo entrano a far parte del ciclo alimentare.

L’area della tragedia si trova nelle vicinanze del santuario dei cetacei che deve essere tutelato e considerato patrimonio dell’umanità. Nella stessa area di mare, a largo di Genova, è inabissata nel 1991 Amoco Milford Haven provocando, tuttora, un continuo sversamento di petrolio da una profondità di 80 metri circa.

Al solo scopo di manifestare la gravità della situazione e confermare quanto ho precedentemente scritto sul disastro della Concordia:

“da LA STAMPA ECONOMIA del 2015” di Luigi Grassia

C’è nel mondo una specie di Triangolo delle Bermuda diffuso su tutti i mari e tutti gli oceani che ogni anno fa sparire un centinaio di navi, senza contare i barchini. Nel 2015 le grandi navi (con stazza lorda superiore alle 100 tonnellate) che sono affondate sono state addirittura 85. Giornali e tv non ne parlano spesso, all’attenzione del pubblico arrivano solo pochi casi eclatanti, ma l’ecatombe è permanente.

L’articolo continua con altri dettagli, purtroppo la situazione non cambia e, se dovessimo fare una media, potremmo affermare che, ogni 4 giorni nei mari o laghi affonda una nave di stazza superiore alle 100.000 tonnellate. Questo riferimento è circoscritto al tonnellaggio della nave non al carico e alla sua potenzialità nociva, solo alla una notevole quantità di idrocarburi di vario genere che trasporta.

Informazioni scientifiche di settore, affermano, che centimetro cubo di carburante inquina un tratto di mare di un chilometro quadrato. Quanto avrebbe inquinato 2.400 tonnellate di olio combustibile della Concordia?

Ultima in ordine di tempo è la collisione tra il traghetto tunisino Ro-Ro di nome Ulysse e la nave, in rada, porta container cipriota Cls Virginia. Dalla seconda, una stima riportata sui giornali, si suppone che la fuoriuscita di “fuel oil” (olio combustibile) sia di 600 metri cubi e la chiazza, visibile in mare, abbia raggiunto i 20 chilometri quadrati. I 600 metri cubi non rendono chiara l’idea, alla comunità, di quanto è l’equivalente in litri di combustibile sversato. 1 metro cubo è, espresso in litri, l’equivalente di 1000 litri che, moltiplicato per 600 danno un risultato do 600.000 litri di olio combustibile.

Volendo fornire ulteriori dati, ho effettuato una ricerca di dettaglio sulla tipologia di “fuel oil” impiegato per la trazione delle navi. L’IFO-380 è il combustibile utilizzato e, sempre per deformazione professionale, ho scaricato da internet la “scheda di sicurezza”, aggiornata al 2012, nella quale sono riportate alcune indicazioni di sicurezza, alla sezione 3, ed è distribuita dalla Kuwait Petroleum Corporation:

Classificazione secondo il regolamento (CE) n. 1272/2008 [CLP/GHS]

avvertenze

pericoloso

dichiarazione di pericolo

H332 Nocivo se è inalato

H350 Può provocare il cancro

H361fd Sospettato di nuocere alla fertilità. Sospettato di danneggiare

              il nascituro

H373 Può provocare danni agli organi in caso di esposizione

          prolungata o ripetuta

H410 Molto tossico per la vita acquatica con effetti di lunga durata

*Liberamente tradotto dall’inglese dallo scrivente

Naturalmente considero superfluo continuare con altre informazioni sulla SDS ma, al culmine del mio discorso, ritengo necessario formulare alcune domande fondamentali per chiarire la strada da intraprendere se vogliamo conservare l’ecosistema che abbiamo che, per quanto già fortemente deteriorato, resta l’unico disponibile:

·         È possibile che nel 2018 accadano, con tanta superficialità, tragedie del genere?

·         È possibile continuare ad inquinare deliberatamente senza responsabilità soggettiva?

·         Il mediterraneo è un mare fondamentalmente chiuso, ogni litro di sostanza inquinante non sarà dispersa rapidamente, come negli oceani, quindi, per quanto in ritardo, perché non proteggiamo il nostro Mediterraneo e tutto l’ambiente incondizionatamente?

·         Proteggere l’ambiente, il pianeta, la natura è un dovere morale di ogni essere umano e non di pochi, quindi, è ora di indicare la giusta via ai governi e all’ONU se vogliamo dare un futuro, vivibile, alle prossime generazioni.

Grazie. (Martellago (VE), 25.10.2018)

Salvatore Pecorella    

 


 

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