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LA PERSONALITA' DI LISBETH SALANDER NELLA TRILOGIA MILLENNIUM DI STIEG LARSSON

di Salvatore Viggiano

 

Sarebbe bastato anticipare di meno di un anno, a Stieg Larsson, la pubblicazione di Uomini che odiano le donne, per poter assistere quantomeno ad una presentazione editoriale; avrebbe avuto onore e onere di defaticarsi dal lungo impegno di stesura attraverso sedute di autografi e proclamazioni di successo dinanzi al pubblico svedese, ancor prima che estero. Il maestro Larsson ha chiuso le proprie vicende umane in anticipo, in disarmante anticipo, subendo un attacco cardiaco mortale nel novembre del 2004; tutto quanto creato e rilegato nelle migliaia di pagine che compongono gli episodi della Trilogia Millennium restava sulla scrivania, non in cerca d'autore ma di debutto in stampa. Una manciata di mesi più tardi, nell'agosto 2005, in libreria usciva il primo capitolo di Millennium, Uomini che odiano le donne, poliziesco a tutto tondo che avvita attorno alle vicende della facoltosa famiglia Vanger quelle dei veri protagonisti del romanzo: il giornalista Michael Blomkvist e la pseudo-ricercatrice Lisbeth Salander.

Non competerà a questo intervento ripercorrere i contenuti narrativi del giallo svedese più celebrato degli ultimi dieci anni, grazie alle proprie doti di aver travalicato o rimescolato la genetica del poliziesco nordico. Scavalcando anche l'onda di successo e di vendite che la saga svedese ha conosciuto in tutto il mondo, in Italia attraverso l'editore Marsilio, si punteranno maggiori accenti su alcuni punti di forza della scrittura di Larsson, in particolare nella caratterizzazione dell'avvincente personaggio di Lisbeth Salander.

 

Donne che dai propri creatori vengono gettate nei più violenti turbini esistenziali ne si annoverano tante nella letteratura mondiale, con una naturale maggiore concentrazione nell'epoca contemporanea, a partire dalla seconda metà dell'Ottocento.

È ricco il casellario di protagoniste al femminile che, nella propria grazia e fragilità, sono state trasfigurate dagli avvenimenti in icone di devastante tragicità e modernità. Da Anna Karenina a Jane Eyre, a Hester Prynne de La lettera scarlatta, fino alle futuribili trame di Hunger Games e di Katniss Everdeen: contesti eterogenei ad ampio spettro, ma con la costante infusa nei pilastri della narrazione di donne sottomesse soltanto ad un'unica forza, quella della scelta titanica, di ribellione sfociante talvolta nell'autoannullamento. Così la Anna di Tolstoj, che sacrifica se stessa piuttosto che inchiodarsi ad una vita di atroce ed ipocrita convenzionalità.

E, se non proprio per il gesto estremo, gli altri esempi confermano il fenomeno femminile votato a scagliarsi nella storia narrata e a lasciare impresso il proprio passaggio. Suzanne Collins crea, in Hunger Games, una Katniss già segnata in adolescenza dalla morte del padre minatore e da una madre messa fuori causa dalla depressione ed assente per i figli. Katniss diverrà nell'opera la cacciatrice letale, in chiave fantasy, marchiata da fatti personali che la plasmano e la pervadono sotto forma di azioni istintive. Verrebbe da dire che, sul filo del tempo, la “ricercatrice” Lisbeth Salander sia stata la mentore più prossima di Katniss, questa vivente in un'America sci-fi, l'altra cittadina svedese dei primi anni 2000.

Larsson, in Uomini che odiano le donne, parte dalla scomparsa di Harriet Vanger, nipote del magnate Henrik, per svolgere il gomitolo ed apparecchiare la vera centralità di ruolo per Lisbeth e per il giornalista Blomkvist.

Sorvolando sulle interminabili e complesse azioni della trilogia, si può dire che la penna di Larsson abbia inventato un personaggio innovativo, vuoi per la personalità connaturata in Lisbeth, vuoi per la sua complessità, vuoi ancora per la coincidenza di avvenimenti che esaltano le sue azioni travolgenti. In Lisbeth le lunghe escursioni di silenzio vengono soppresse in un attimo dal fragore dei gesti più violenti ed inattesi, fomentati dalle circostanze in cui lei incorre di volta in volta.

Asociale, geniale, glaciale ma degna e capace di sentimenti, vittima di un passato di ricoveri e perizie psichiatrici, di abusi perpetrati da garanti della salute mentale, bisessuale, si interessa di matematica pura, ma alla Milton Security è relegata ad occuparsi di fotocopie; lavora con gente in doppio petto o tailleur, ma gira per gli uffici e per la città in tipico stile goth-punk; la si ritrova a camminare assorta lungo un corridoio della metro di Stoccolma, ma al tentativo di alcuni ragazzotti di darle noia lei spacca una birra e in un attimo minaccia di tagliargli la pancia.

L'esplosione di rabbia che la spingerà a tatuare sul busto del suo tutore – stupratore Bjurman la famosa frase “IO SONO UN SADICO PORCO, UN VERME E UNO STUPRATORE” pare essere la punta dell'iceberg di “Tutto il male” che talvolta riaffiora sulle sue labbra, quel male patito anni addietro e che si è andato ad infiggere dentro di lei, affilandola senza raderle al suolo – non del tutto – la prospettiva di un ritrovamento di se stessa. Nelle ultime pagine di Uomini che odiano le donne, Lisbeth viene colpita a fuoco e, testimone scomoda di segreti di Stato, sepolta viva in una fossa.

Riuscirà a venirne fuori con le sue mani, soccorsa da Blomkvist e lanciata nei successivi due capitoli della saga. Il potere di un personaggio così costruito resiste al di là delle critiche degli scettici: sullo stereotipo che parrebbe aleggiare sulla persona di Lisbeth, nerd dentro e dunque punk fuori, dal passato difficile e dunqueimpulsiva e psichicamente pericolosa, stuprata e di conseguenza vendicativa. Critiche addensatesi anche sul problema della reale paternità totale dell'opera da parte di Stieg Larsson, secondo le quali sua moglie Eva Gabrielsson avrebbe rappresentato ben più che un affiancamento incoraggiante alle fatiche di Millennium, stanti le confabulate storie sulle difficoltà stilistiche ed addirittura grammaticali di Larsson.

Oltre questo orizzonte pseudo-filologico, al netto della paternità artistica, la hacker di Stoccolma con piercing, tatuaggi ed abiti borchiati rivendica un'identità originale, soprattutto perché la sua vita informa il romanzo, i suoi tormenti sono sempre lì presenti, ma la sua maturazione come donna e come infiltrata di rete è piegata – non si dimentichi – alle  diverse frontiere della trama, alla risoluzione del caso Vanger, e non solo alla lotta contro una costellazione di spie, agenti segreti, tutor, psichiatri e criminali, solo per limitarsi al primo libro di Millennium. Lisbeth probabilmente soffre anche di Sindrome di Asperger, che inciderebbe come collettore definitivo alla sua complessa personalità.

E, per concludere, la complessità perseguita dalla penna di Larsson va a fondersi con un eclettismo e una genialità del personaggio che entra nel cuore. Come se lo sbando esistenziale e le perturbazioni interiori di Lisbeth ritrovassero un puntuale riscontro di  stabilizzazione vitale nelle sue incursioni punitive, nel suo preferire l'agire dopo tanto aver subito, catarsi per affrontare le tracce del male passato, quel “Tutto il male” che – si scoprirà nel secondo capitolo, La ragazza che giocava con il fuoco - includeva in clinica l'isolamento nella stanza della “Sensory privation”. Un contrappunto che Larsson alimenta anche con la descrizione della sessualità di Lisbeth, la quale si barcamena tra il proprio rapporto con Miriam Wu e il traguardo ben più ostacolato di stringersi e dormire accanto a Michael.

 

Dal punto di vista prettamente editoriale, il successo dei primi tre libri scritti da Stieg Larsson, con date di pubblicazione che risalgono rispettivamente al 2005, 2006 e 2007, ha suscitato un vero sciame editoriale e cinematografico, un affare ammontante a cifre palesemente astronomiche. Nel 2015, nel decennale, è uscito Quello che non uccide, sequel della trilogia, affidato a David Lagercrantz (in Italia sempre per i tipi di Marsilio). In prima battuta si credette plausibile che a continuare Millennium si adoperasse Eva Gabrielsson, poi la decisione di ricorrere a Lagercrantz. Sul grande schermo, l'intera trilogia è giunta nel 2009, diretta da Niels A. Oplev per il primo atto e da Daniel Alfredson per gli ultimi due. Ottima l'interpretazione di Noomi Rapace, che si è conquistata una luminosissima ribalta, affiancata da Michael Nyqvist nei panni di Blomkvist. David Fincher nel 2011 ha realizzato un remake di Uomini che odiano le donne, con Rooney Mara e Daniel Craig, ma la bontà della versione originale sembra svilire, nel complesso, questa successiva.

A coronare la natura vincente dell'opera di Larsson, nell'ottobre 2013 è stata pubblicata la versione a fumetto di Uomini che odiano le donne, da parte di Rizzoli/Lizard. A disegnarla, il francese Sylvain Runberg e lo sceneggiatore spagnolo José Homs, già collaboratore per la Marvel Comics. Con l'approdo nella Nona Arte, le tavole illustrate di Millennium hanno ritrovato in forma visiva la potenza descrittiva di Larsson e tutto quello che di gotico, oscuro, nordico, glaciale, egli era riuscito a rendere nel testo, oltre a tutto il male e a tutta l'audacia della giovane Lisbeth, creatura semi-cibernetica ma per fortuna ancora tanto, tanto umana, di sicuro già amata dal suo creatore, ancor prima che dai milioni di lettori.

 

Salvatore Viggiano

 


 

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