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BREVE PROFILO DELL'EDITORIA
ITALIANA DEL NOVECENTO
di Maria Chiara Morighi
La storia dell’editoria è strettamente
connessa alla storia della cultura e risente fortemente della situazione
sociale e politica di un determinato periodo storico. È noto infatti che
«ogni società letteraria individua una serie di canoni e un thesaurus
testuale. Sulla base di questi «apre» o «chiude» la produzione – e
quindi anche la circolazione – dei testi»:
per questo può essere interessante tracciare un breve profilo
dell’editoria italiana del Novecento, che non ha la pretesa di essere
una rappresentazione esaustiva ma solo quella di illustrare, nelle loro
linee principali, alcuni degli approcci editoriali che sono stati
protagonisti del XX secolo.
Sebbene sul trascolorare del XIX secolo si
fossero registrati notevoli sviluppi nel mondo editoriale in Italia
(basti pensare alla tutela dei vari diritti – d’autore, di stampa, di
traduzione – a quest’altezza cronologica ormai pienamente riconosciuti)
il Novecento si apre all’insegna di un fervore culturale che rende la
situazione italiana molto eterogenea. Almeno fino al 1905 si registra
infatti una stagnazione nella produzione libraria anche se, nello stesso
momento, il ruolo delle riviste diviene sempre più centrale all’interno
del dibattito intellettuale. Città come Firenze e Milano sono, a
quest’altezza cronologica, centri fondamentali di propagazione della
cultura: la prima accoglie nel suo seno le redazioni delle più grandi
riviste del secolo («La Voce», «Lacerba», la «Ronda» e «Solaria» per
citarne solo alcune) sulle cui pagine prendono corpo i più vivi
dibattiti culturali del momento, nonché si esprimono i primi vagiti
della grande avanguardia italiana, il Futurismo;
la seconda in quanto sede delle maggiori case editrici, da Treves a
Mondadori, da Rizzoli a Sonzogno e Vallardi, l’attività delle quali ha
ritmi talmente sostenuti che da sole sono responsabili del 40% dei
titoli in commercio. Nonostante già a partire dalla fine dell’Ottocento
si fosse verificata una sostanziale crescita dei lettori in Italia
(seppur ancora trascurabile rispetto a quelli degli altri paesi europei)
con una conseguente massificazione del pubblico, nella penisola si
mantenne ancora forte la distinzione (antico vizio tipico della nostra
cultura) tra una produzione d’élite ed una di consumo.
Conseguenza di tale iato sarebbe stata una produzione fortemente
differenziata che avrebbe visto, per stare all’analisi di Renato Serra,
editori perlopiù stanziati nell’Italia settentrionale come Treves,
Puccini e Castoldi dedicarsi al grande romanzo mentre piccole case
(spesso sorte in zone del Meridione) come Laterza e Bocca rivolgersi
prevalentemente ad un pubblico “esperto”, proponendo collane dal
carattere più specificamente erudito o saggistico (da I classici
della filosofia moderna a Gli scrittori d’Italia), nonché
avvalendosi della collaborazione di intellettuali allora molto attivi e
fecondi (si pensi a quella di Papini con Carabba) o proponendo linee
editoriali di un certo livello e prestigio (come Sommaruga). Ragone, ad
esempio, ricorda come la politica dell’editore triestino Treves fosse
concepita per un
«consumo di massa», obiettivo della quale era individuare la «formula
adatta per un largo pubblico medio [...] predisposto al consumo».
Da qui la scelta di stampare opere particolarmente “appetibili” come
Cuore di De Amicis (che raggiunse nell’arco di un ventennio le
330.000 copie) oppure Il piacere dannunziano, che in brevissimo
tempo superò le 50.000 copie vendute. Approccio molto simile quello di
Sonzogno, interessato ai generi «più
bassi e “popolari” (storie di omicidi, manuali “pratici”, almanacchi
popolari)»
nonché alla stampa periodica, che andò via via configurandosi come
un’estensione del circuito editoriale tradizionale (si pensi a tale
proposito ad iniziative come «Il romanziere illustrato», destinato ai
romanzi a puntate). L’editoria ante guerra fu protagonista di una
crescita e di uno sviluppo che si concretizzarono anche nell’attenzione
ai mezzi di comunicazione e ai nuovi strumenti di stampa, nonché nella
nascita, nel 1913, delle Messaggerie italiane, espressione di un modello
distributivo su larga scala promosso dalle maggiori case editrici.
Con la prima Guerra
Mondiale si assiste ad un momento di forte crisi produttiva, dovuta
anche a fattori contingenti come l’aumento del prezzo della carta, a
causa del quale si dimezzò la produzione libraria nella penisola. Ragone
illustra la situazione italiana di questi anni con una riflessione molto
affine a quella realizzata da Serra nel 1913 all’interno de Le
lettere, individuando quattro settori principali su cui l’editoria
si sarebbe espressa: una prima tipologia di produzione, ascrivibile ad
alcune regioni dell’Italia settentrionale, interessata prevalentemente
alla diffusione di testi a carattere scientifico e didattico (con
editori quali Paravia, Chiantore-Loescher, Zanichelli, Cappelli,
Hoepli); una seconda più specificamente erudita (Vallecchi, Laterza,
Formiggini); una terza sostanzialmente orientata alla diffusione di
prodotti di larga fruibilità e tipicamente “borghesi” (Bemporad, Treves,
Mondadori) ed infine tutta quella produzione espressione di un interesse
avulso da qualsiasi intento letterario, tipica del romanzo scandalistico
diffuso da case editrici quali Bietti e Sonzogno.
Se da un lato il regime
promosse una produzione libraria interessata a sviluppare il lato
didattico-educativo e pedagogico del Paese, non lesinando interventi
fiscali volti ad incentivare determinate attività editoriali, dall’altro
esercitò un notevole controllo su queste, concretizzato nelle forme
della censura, dell’“ostentata presenza” (si pensi all’indicazione
dell’anno fascista apposta ai testi stampati a partire dal 1926), del
sequestro (sia preventivo che non) ed avvalendosi di personalità vicine
al fascismo per la propria politica culturale (emblematico il ruolo di
Gentile, Ministro dell’Istruzione, fondatore dell’Istituto
dell’Enciclopedia Italiana e coproprietario di quote di alcune case
editrici quali Zanichelli, Bemporad e Treves).
La Mondadori non
soltanto riuscì a sopravvivere ma rafforzò ulteriormente la propria
egemonia nel mondo dell’editoria, grazie anche ad oculate strategie di
marketing (pubblicitarie ed autopromozionali) e fruttuose
compromissioni finanziarie ed economiche. Puntando su un lettore che non
fosse né specializzato né indirizzato verso un determinato ed esclusivo
prodotto, la casa editrice milanese dilatò la propria produzione a tutti
i settori (narrativa, intrattenimento, fumetti, gialli, saggistica,
periodici etc.), diminuendo così la probabilità di insuccesso tipica di
chi scelse al contrario di puntare esclusivamente in una determinata
direzione. L’espansione di cui fu protagonista la Mondadori portò
l’azienda (ormai raggiunto a tutti gli effetti un livello industriale)
all’acquisizione di alcuni quotidiani quali il «Secolo» e alla
realizzazione (tra gli anni Venti e Trenta) di felici strategie
editoriali, come la pubblicazione dell’Opera Omnia di d’Annunzio,
la collana dei Libri gialli, la Medusa (prima collana
tascabile) e l’acquisto dei diritti relativi alla produzione di autori
come Ada Negri, Panzini, Pirandello, Moretti, Tozzi, Marinetti ed altri.
Non bisogna dimenticare il ruolo svolto dal
cinema a partire dagli anni Trenta e di alcune scelte editoriali sempre
volte ad accattivarsi un pubblico più ampio possibile, che trova
riscontro nel grande successo registrato dalla pubblicazione di
rotocalchi quali «Topolino», «Il corriere dei piccoli» e di riviste di
esclusiva fruizione femminile, come «Gioia» o «Grazia». Tuttavia le
iniziative editoriali non possono dirsi completamente uniformi perché,
nonostante le direttive del regime e la promozione di una produzione
orientata verso un determinato senso, alcuni editori decisero di
adottare linee alternative, come Dall’Oglio, Treves, Bompiani e Gobetti,
interessati alla diffusione del romanzo europeo in Italia (incoraggiando
in tal modo la pubblicazione di scrittori come Thomas Mann), o Einaudi e
Laterza, le cui scelte politiche ed editoriali (posizioni antifasciste,
collaborazione con autori di origine ebrea) compromisero fortemente la
loro presenza sul panorama culturale italiano, per vederla poi
rafforzata negli anni della Resistenza
Negli anni Quaranta il
panorama culturale fu sostanzialmente gestito dai grandi colossi
editoriali: Mondadori rafforzò ulteriormente la propria posizione
attraverso fruttuose iniziative, quali la fondazione della collana I
classici contemporanei italiani e de I classici contemporanei
stranieri (1946), che vide la pubblicazione di autori internazionali
quali Dos Passos e Mann; Garzanti acquisì Treves; Rizzoli puntò sui
romanzi rosa e promosse la diffusione di classici tascabili tramite la
collana BUR (1949); Bompiani si focalizzò sulla produzione narrativa e
su quella saggistica; Einaudi, grazie alla pubblicazione di autori come
Vittorini, Pavese, Sciascia, Fenoglio, Rigoni Stern, divenne
protagonista di una politica culturale “di sinistra” e, nel decennio
successivo, creò a sua volta una nuova collana, I gettoni.
Alla fine degli anni
Cinquanta fu fondato il Club degli Editori (1959) e si delinearono in
maniera sempre più netta i ruoli delle varie case editrici nel panorama
italiano: da un lato le già citate macro-case (Mondadori, Einaudi,
Garzanti, Rizzoli, UTET, Bompiani, Sansoni); dall’altro quelle di medie
dimensioni (Feltrinelli, Longanesi e Mursia) ed infine le piccole ma
raffinate Morcelliana e Nostri-Lischi; Le Monnier, Paravia, Zanichelli e
La Scuola, si specializzarono ulteriormente nella diffusione di testi a
carattere scolastico-didattico e Laterza si interessò alla saggistica.
A cavallo tra gli anni
Cinquanta e Sessanta l’editoria visse la sua epoca d’oro godendo delle
ripercussioni del boom, individuabili non solo nel miglioramento
delle condizioni economiche ma anche di una più diffusa
alfabetizzazione. Ciononostante il divario tra un pubblico colto (si
pensi anche al ruolo ricoperto in questo momento dall’istruzione
universitaria, veicolata da case editrici quali Marsilio, Laterza,
Editori Riuniti e Einaudi) e un pubblico medio (quest’ultimo facilmente
manipolabile quanto a gusto e inclinazioni) andò ulteriormente
definendosi come una caratteristica peculiare della situazione culturale
italiana, nonostante scelte editoriali “di compromesso” come gli
Oscar Mondadori, oppure l’individuazione di “casi letterari” (Il
Gattopardo, i romanzi di Buzzati, Calvino e Moravia) o ancora la
promozione di un ritorno alla narrativa con testi come La storia
di Elsa Morante negli anni Settanta. Se da una parte alcune piccole case
editrici non sopravvissero, dall’altra ne sorsero di nuove (Adelphi,
Bibliopolis, La Coccinella, Ubulibri solo per citarne alcune).
Gli anni Ottanta videro la scomparsa dei
fondatori delle grande case editrici che avevano dominato l’intero
panorama culturale dei decenni precedenti: Giulio Einaudi, Arnoldo
Mondadori, Valentino Bompiani ed Angelo Rizzoli lasciarono la loro
eredità a gruppi amministrativi coinvolti in dinamiche economiche di
larga scala, che si concentrarono progressivamente intorno ai due poli
principali IFIL-FIAT e Fininvest. Il ritmo di produzione divenne sempre
più sostenuto, favorendo la pubblicazione di articoli caratterizzati da
un’intrinseca volatilità come il bestseller,
destinato a sopravvivere il tempo di una “moda”, per poi essere
velocemente sostituito da un altro prodotto.
Contemporaneamente si rafforzano grandi
marchi editoriali in franchising come Feltrinelli, mentre la
diffusione libraria tramite il canale delle edicole sopravvisse per lo
più attraverso i testi dati in omaggio assieme ad alcune riviste come
«L’Unità» o «L’Espresso», che acquisirono sempre maggiore importanza
come mezzi di diffusione culturale. Nonostante alcuni scrittori del
periodo registrarono un grande successo, come Enzo Biagi, Susanna
Tamaro, Aldo Busi, Alessandro Baricco per citarne alcuni, tra gli anni
Ottanta e Novanta si verifica un calo del numero dei lettori, vuoi per
la progressiva diffusione dei prodotti multimediali, vuoi per un
sostanziale scarso interesse per la lettura, al quale le grandi case
editrici tentarono di rispondere incoraggiando una produzione tascabile
(scelta abbracciata, tra gli altri, dalla Newton-Compton). Anche i
circuiti di distribuzione cambiarono notevolmente, affiancandosi in
maniera sempre più massiccia a quelli tradizionali.
L’avvento di internet ha oggi mutato
radicalmente la diffusione del testo scritto, ma anche la presenza di
nuovi contesti di vendita come il supermercato o il mercatino di seconda
mano hanno ampliato le modalità di contatto con il libro da parte di un
fruitore che ha in tal modo maggiore possibilità di accedere ad un
articolo attraverso canali vari ed eterogenei. Non soltanto: la sempre
progressiva osmosi tra editoria, pubblicità, marketing ha reso il
lettore un semplice consumatore, un utente da sedurre e indirizzare
nelle scelte del mercato. Si inizia, tra gli anni Ottanta e Novanta, a
parlare di Editoria Multimediale quando alcune case editrici come De
Agostini, Utet e Giuffré
cominciano ad avvalersi di supporti informatici (CD rom, computer),
proponendo una fruizione volta a far dialogare il testo con l’ipertesto
e promuovendo un approccio interattivo che sarà tipico degli anni a
venire.
Attualmente l’informatizzazione ha investito
tutti gli ambiti del mondo editoriale ed è ormai un aspetto
imprescindibile di questo (dai servizi di editng online
all’e-commerce). Essa ha portato novità positive ma ha anche in
parte depauperato ruoli e funzioni tradizionali, spersonalizzando alcuni
processi che tendono ormai a scomparire. Se è vero che ci si sta
avviando verso un’organizzazione di print on demand
con tutto quello che di positivo tale approccio determina – ad iniziare
da una più controllata gestione delle risorse primarie (prima fra tutte
la carta) nonché all’accessibilità di materiali potenzialmente
illimitati (che spesso rischiano di sfuggire al controllo),
democraticizzando la fruizione e il consumo – è anche evidente che il
mondo editoriale è sempre più compromesso con quello manageriale tout
court, meno attento, rispetto ad un tempo, alla qualità del proprio
prodotto (si pensi al self-publishing) e più alla commerciabilità
dello stesso, tanto che Schiffrin ha parlato di «editoria senza editori».
Da una parte infatti si
rende possibile il reperimento di testi ed opere che altrimenti
sarebbero scarsamente fruibili (aspetto che ha interessanti
ripercussioni anche a livello di mantenimento materiale di documenti
antichi che, una volta digitalizzati, sono sottratti al rischio di non
essere più facilmente consultabili o di scomparire in seguito al
naturale deterioramento che si registra nel corso del tempo), dall’altra
viene meno l’approccio tradizionale al testo, il suo intrinseco valore
di prodotto con una storia editoriale che può essere stata lunga e
travagliata. La virtualità ha dunque dei pregi e dei difetti e forse,
dalla nostra prospettiva, non siamo ancora in grado di valutarli
adeguatamente.
Bibliografia
GUGLIELMINO S. - GROSSER H., Il sistema letterario. Ottocento e
Novecento, Principato, Milano, 2000.
MAIORINO G., Sviluppi storici dell’editoria italiana. Dal XV secolo
al “print on demand” (reperito online).
PANETTA M., Panorama storico-critico dell’editoria italiana del
Novecento (reperito online).
RAK
M., Lecito e proibito. Di alcune regole degli immaginari e delle
società letterarie in La società letteraria: scrittori e librai,
stampatori e pubblico nell’Italia dell’industrialismo, Marsilio
Editori, Venezia, 1990.
Maria Chiara Morighi |