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RIFIUTI...AMOCI DI PERSEVERARE!
di Federica Delvescovo
Secondo la definizione normativa italiana,
dettata dal decreto legislativo 3 Aprile 2006 n. 152 e modificata dal
decreto legislativo 3 Dicembre 2010 n. 205, per rifiuto si intende
“qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia
l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”. Una panoramica sulla
produzione di rifiuti solidi urbani rivela che nel nostro Paese vengono
prodotti circa 1,4 chilogrammi di RSU per abitante al giorno, per un
totale di circa 30 milioni di tonnellate all’anno; per quanto riguarda i
rifiuti speciali, provenienti per esempio da attività industriali, la
cifra ammonta a 130 milioni di tonnellate annue.
Come vengono trattati tutti questi rifiuti?
Secondo i dati ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale) il 15 per cento dei RSU prodotti (la frazione organica
putrescibile) è destinato al compostaggio, il 20 per cento
all’incenerimento, il 25 per cento al riciclaggio, mentre il restante 40
per cento è avviato in discarica. Questa dovrebbe costituire la scelta
ultima per lo smaltimento di un rifiuto, in quanto comporta sia
un’ingente dispersione di gas inquinanti in atmosfera (come CO2
E CH4, due dei principali gas serra) e la produzione di
materiali di scarto liquidi e solidi, sia perché in essa viene meno la
valorizzazione della materia e dell’energia contenute nel rifiuto
stesso. Si pensi che nel sacchetto medio di spazzatura prodotto
giornalmente sono contenute indicativamente 2200 chilocalorie, circa un
terzo dell’energia contenuta in un litro di benzina. In Italia esistono
circa 50 impianti di termovalorizzazione i quali permettono di produrre
energia elettrica grazie ai fumi provenienti dalla combustione dei
rifiuti e numerosi impianti di captazione del biogas, emesso dalla
decomposizione organica dei materiali ed utilizzato come combustibile,
sempre ai fini della cogenerazione. Va però sottolineato che, nonostante
il recupero energetico reso possibile, gli impianti di
termovalorizzazione incidono non poco sulle emissioni inquinanti
nell’ambiente circostante, nonostante le moderne tecnologie di
attuazione.
Effettuare la raccolta differenziata
significa permettere ad un numero sempre maggiore di rifiuti di essere
destinato ai siti di trattamento più idonei, al riciclo di materia (per
esempio carta, plastica, etc), al riutilizzo (di prodotti come bottiglie
di vetro), al compostaggio (frazione organica).
Ma non è sufficiente. In Italia la raccolta
differenziata riguarda ancora una quantità di rifiuti inferiore al 50
per cento della produzione totale.
E’ necessario soffermarsi a riflettere sul
modello di consumo della nostra società e quindi sulla QUANTITA’ di
rifiuti che siamo soliti produrre abitualmente.
Il singolo prodotto di mercato non comporta
un consumo in termini energetici e una produzione di emissioni
inquinanti, solamente nel momento in cui diventa un rifiuto da smaltire,
ma anche durante il suo ciclo di produzione e durante le fai di
trasporto dello stesso ai siti di vendita/consumo/smaltimento.
Come diretta conseguenza, per esempio, se
sostituiamo piatti e posate di plastica con materiale di origine
organica biodegradabile, stiamo sì “aiutando” l’ambiente (non abbiamo
infatti più a che fare con materiali plastici bensì con rifiuti organici
destinabili al compostaggio), ma, in fin dei conti, la quantità di
rifiuti prodotta nel primo caso è uguale alla quantità di rifiuti
generata nel secondo. Questo implica comunque una pressione
sull’ambiente in termini di inquinamento e di consumo energetico.
Come comportarsi rispetto a ciò? Potrebbero
essere centinaia le azioni quotidiane alternative alle abituali, che
potremmo effettuare, per ridurre notevolmente la quantità di sprechi:
dall’utilizzare fazzoletti di stoffa, al riempire il flaccone del
detersivo senza acquistarne uno nuovo (con conseguente risparmio
economico), al chiudere il rubinetto quando ci laviamo i denti (il
risparmio in Italia ammonterebbe a milioni di litri d’acqua al giorno),
fino ad usufruire di piatti e posate riutilizzabili e non “usa e getta”.
Siamo figli di generazioni che hanno avuto
un rapporto con il rifiuto ben diverso dal nostro, essenzialmente perché
il loro rifiuto era qualitativamente ben differente dal nostro! La
maggior parte delle risorse sfruttate in passato erano biodegradabili,
“prese in prestito” direttamente dalla terra e alla terra restituite
senza particolari accorgimenti, poichè il tutto rientrava in un ciclo
chiuso di rigenerazione. La plastica utilizzata era ben poca, i metalli
difficilmente venivano scartati poiché preziosi, la carta e il legno
sfruttati come combustibili per generare calore nelle abitazioni. In
pochi decenni la qualità (e anche la quantità) di rifiuti è radicalmente
mutata, ma in che direzione è evoluto il nostro comportamento?
Evidentemente verso un modello non sostenibile a livello ambientale.
Non possiamo così permetterci di
perseverare, ma è necessario che l’individuo contemporaneo si adatti
alle nuove realtà di fronte alle quali è stato posto. Risulta spesso più
semplice intervenire “a valle” della problematica, attraverso
riciclaggio, recupero, riutilizzo, valorizzazione energetica dei
rifiuti, ma è anche e soprattutto indispensabile modificare “a monte” il
comportamento dei consumatori. E’ nostra responsabilità, di ciascuno di
noi, muovere verso un consapevole approccio all’uso delle risorse,
impegnandosi a formare (e non solo informare) in particolare le nuove
generazioni, per abbracciare un modello di consumo più sostenibile a
livello globale.
Federica Delvescovo |