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Anno XV num.1
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UBI MAIOR, MINOR CESSAT

 di Ferdinando Garau

"Dove vi è il maggiore, il minore decade", così si potrebbe tradurre il titolo, ma non solo. Diverse sono infatti le traduzioni che si possono accostare alla nostra, tuttavia il risultato ideologico non cambia: in presenza di quel che possiede più importanza, ciò che ne tiene meno perde la propria rilevanza. Introducendo il discorso, si può inizialmente affermare che il territorio nazionale viene suddiviso e controllato in una maniera perfetta nella quale prevale il principio gerarchico del Ubi Maior, Minor Cessat. Basti pensare al principio di sussidiarietà, secondo il quale se un ente inferiore è capace di svolgere i compiti che gli vengono assegnati allora nessun superiore dovrà intervenire, ma nel caso in cui esso non adempia in maniera idonea, o nel caso in cui sia impossibilitato ad adempiere ai suoi doveri, vedrà che un ente territoriale superiore si farà carico dei suoi doveri e li porterà a termine. Questo è un esempio prettamente tecnico che si rifà al piano giuridico-amministrativo degli Enti Pubblici territoriali, ma si potrebbero fare moltissimi altri esempi.

Partendo da una visione logica differente, comprensibile a fine lettura, si cita il caso della Regione Sardegna: per essere più precisi, nell’incapacità amministrativa regionale sul piano organizzativo per quanto concerne la gestione dei rifiuti solidi urbani. Pur essendo una delle regioni italiane che ha raggiunto dei risultati di rilevante importanza dal 2008 ad oggi, ovvero da quando ha presentato e attuato il nuovo Piano di Gestione dei Rifiuti, i più influenti politici hanno deciso che le azioni virtuose andavano ridimensionate, evitando di lasciare ampia libertà di manovra alle unità territoriali minori: i Comuni. Questi ultimi, infatti, devono rispettare in primis la legge nazionale, dalla quale scaturisce in secundis un’organizzazione regionale che infine delinea e pone ulteriori paletti, diretti o indiretti che siano, alle stesse amministrazioni comunali.

Ma cosa ci si può aspettare da una Regione che nel 2015 decide di attuare un revamping del termovalorizzatore di Macchiareddu (CA), vuole potenziare l’inceneritore di Tossilo (NU) e che   richiede, dulcis in fundo, l’ampliamento di diverse discariche sparse sul territorio regionale? Niente di buono sicuramente, visto che le statistiche dimostrano una continua diminuzione negli anni dei rifiuti totali prodotti. A cosa dovrebbero servire discariche, inceneritori o termovalorizzatori più grandi e potenti se la materia da lavorare diminuisce? Le criticità sul territorio sardo non potrebbero essere affrontate in maniera diversa? Perché non seguire la "retta via” tracciata dall’Unione Europea (la quale si basa sul passaggio da un'economia lineare a una circolare per cercare di uscire da questo periodo di crisi)? Se anche l'UE ha deciso di non finanziare più l'operazione di revamping del termovalorizzatore di Macchiareddu, affermando che l'operazione non è conforme alle proprie direttive, qualche domanda dovrebbe sorgere spontanea alla classe politica attuale.

L'organizzazione regionale odierna si basa, come già detto, su una Pianificazione per la Gestione dei Rifiuti creata nel 2008. Si può dire che al periodo della sua creazione questo progetto vantava diversi aspetti positivi, uno dei quali risultava essere il Principio della Premialità o Penalità dovuta all'amministrazione in base alla totalità dei rifiuti differenziati, o meno, all'interno della sfera comunale in proporzione agli scarti totali prodotti. Ovviamente la premialità, equivalente ad un risparmio percentuale sulla tariffa totale dovuta dalla città, sarebbe spettata ai Comuni che, in base ad un calcolo matematico per misurare la virtuosità dello stesso, si sarebbero mostrati più rispettosi verso l'ambiente educando i propri cittadini al culto della differenziazione e del riciclaggio (contrariamente a quanto sarebbe accaduto ovviamente per coloro che non raggiungevano, invece, una determinata soglia percentuale e che sarebbero caduti in penalità, aggravando così la tariffa totale con una ulteriore percentuale di pagamento).

In linea teorica questo principio fila liscio nel momento in cui tutti i Comuni della Regione Sardegna decidono di rispettare questo accordo, ricevendo (ovviamente) e pagando le rispettive premialità o penalità: un fondo regionale equilibrato, una sorta di bilancia economica destinata a rimanere stabile tra i pagamenti dei meno virtuosi e gli incassi dei più "green". Sempre in linea teorica inoltre, partendo da un prezzo specifico per il conferimento della percentuale indifferenziata, si potevano calcolare i futuri risparmi sulla tariffa comunale grazie alla diminuzione di conferimento del secco residuo. Un'idea geniale, utile per spronare e al tempo stesso istruire i cittadini. Ma si sa, le idee non bastano, ci vuole un'implementazione progettuale seria, seguita passo dopo passo, aggiornata nel tempo e sempre tesa ad un futuro miglioramento, tutto ciò che venne a mancare invece dal 2010 in poi.

La prima falla del sistema deriva da una logica di mercato semplice: la Regione Sardegna nel passato ha diviso i suoi territori in maniera bilanciata, creando tutti gli impianti ad oggi esistenti in maniera proporzionale alla popolazione e alla produzione di rifiuti, la quale si stimava in continua crescita. I calcoli errati del passato si stanno presentando sempre più forti nel presente: ad oggi, infatti, gli impianti risultano essere sovradimensionati per la reale quantità di rifiuti prodotta dalla popolazione, per di più i prezzi sono risultati in continua crescita negli anni per sopperire la mancanza di materiale da lavorare. Meno rifiuti da gestire comportano un minore guadagno, semplice. Per poter rientrare nelle spese, nonché nei costi di gestione dovuti anche ai grandi responsabili che vedevano aumentato il loro stipendio di anno in anno pur essendo in una situazione di crisi, occorreva aumentare sempre di più le tariffe per lo smaltimento della frazione indifferenziata: questo costo si rifletteva ovviamente sulla popolazione, comportando così un aumento della tariffa annuale per la gestione dei rifiuti. Oltre al danno la beffa: i cittadini si sono impegnati per attuare una migliore differenziazione e sono stati ripagati con una tariffa uguale o maggiore alle precedenti. Che bel premio!

Come se non bastasse, la Regione Sardegna negli anni ha pilotato il Piano di Gestione dei Rifiuti allo stesso modo di Capitan Schettino con la famosa Costa Concordia. Si è parlato di un equilibrio tra premialità e penalità, cosi che il fondo comune dal quale attingere o nel quale inserire i pagamenti dovuti potesse restare stabile. Nessuno ha fatto i conti col futuro purtroppo, tanto meno si sono degnati di modificare il Piano Regionale dal 2008 ad oggi, continuando invece a confermare sempre lo stesso documento e sempre gli stessi errori, evitando così di aggiornare una pianificazione che risultava troppo vecchia viste le nuove best practices esistenti e viste le problematiche presenti già dal 2011.

I Comuni sardi sono prevalentemente di piccole dimensioni e i cittadini si sono adeguati fin da subito alla raccolta differenziata porta a porta, ottenendo degli ottimi risultati e percependo la premialità spettante già dagli anni 2009 e 2010. Solamente i centri maggiori e con ampia densità demografica, identificati prevalentemente nei capoluoghi regionali, hanno avuto diversi problemi con l'approccio alla differenziazione dei rifiuti e sono rimasti diversi anni in penalità. Tra tutti e quattro, però, solamente Cagliari dimostra di essere l'unica città non virtuosa della Regione Sardegna, basti pensare che ad oggi nella città ancora non viene svolta l'attività di raccolta porta a porta, passo cruciale per uno studio degli errori dei cittadini e per un controllo specifico degli stessi. Si può dire che il termovalorizzatore di Macchiareddu (CA) venga tenuto in piedi da queste tonnellate di rifiuti indifferenziati assicurati, senza dimenticare le frazioni convogliate allo stesso dai centri abitati provinciali.

Cosa è accaduto negli anni seguenti? I Comuni, entrando per la maggior parte nei livelli idonei per acquisire la premialità, non hanno più alimentato la cassa comune in maniera equilibrata, dalla quale mancano dunque i fondi necessari per sopperire i pagamenti verso le amministrazioni virtuose. L'Assessore, infatti, nella Deliberazione n° 53/29 del 20/12/2013, afferma che "i predetti fondi si sono autoalimentati con le penalità pagate dai Comuni meno virtuosi; pertanto, il fatto che la maggior parte dei Comuni sia in premialità ha comportato l'inversione del flusso di cassa con conseguente esaurimento delle disponibilità finanziarie". A questa problematica, si aggiunga il fatto che molte amministrazioni comunali, risultanti in penalità da diversi anni, non hanno ancora pagato quello che spetta per rimpinguare la cassa comune, lasciando così dei "buchi economici" nel sistema ideato dalla Regione Sardegna. Come si può tenere in vita questo sistema se i soldi non bastano?

Nella stessa deliberazione citata poco sopra "l'assessore evidenzia inoltre che per sopperire alle carenze di fondi prima evidenziate, con la legge regionale n° 13 del 23/05/2013 il Consiglio Regionale ha stanziato 3.000.000€ [...] per consentire il mantenimento del meccanismo di premialità/penalità nel 2013". Nel 2014 accade la stessa identica cosa, con uno stanziamento regionale pari a 2.000.000€ per poter permettere che questo sistema continui ad aver seguito. Un circolo vizioso che vede come perdente sempre lo stesso soggetto: il cittadino. Questi calcoli e queste problematiche, senza effettuare nessun cambiamento al Piano organizzativo regionale, vengono poi confermate dalla Deliberazione n° 49/27 del 9/12/2014, nella quale si può leggere che "in primo luogo risulta agli atti dell'Assessorato della Difesa dell'Ambiente che il Comune di Cagliari finora non ha pagato gran parte delle penalità applicate, conseguendo un debito di circa 5 milioni di euro, importo che consentirebbe di prolungare la vigenza del meccanismo in argomento per un ulteriore annualità". Si sa qual è il problema, si conoscono i rischi, sono note le perdite, ma nessuno pensa ad una modificazione del Piano di Gestione dei Rifiuti. Perché?

Una risposta la si potrebbe ottenere menzionando l’ultima delle tante criticità presenti nell’organizzazione sarda in fase di gestione degli RSU. In breve, si è già detto che gli impianti presenti in Sardegna sono divisi su tutto il territorio e sono il risultato di un investimento regionale passato (investimento errato, lo si può certamente confermare a posteriori). Questi sono prevalentemente di due tipi: termovalorizzatori (inceneritori con un nome più sofisticato) e impianti per il compostaggio. Questi ultimi sono necessari per il trattamento della frazione organica in quanto, per evitare che vadano ad aggiungersi alle migliaia di tonnellate di rifiuti indifferenziati, quest’ultima essendo trattata a dovere comporta la creazione di una sostanza naturale, il compost, utilissima per i terreni coltivati e coltivabili degli agricoltori (in Sardegna risulta essere una risorsa fondamentale se prodotta di qualità).

 

Non potendo entrare nel dettaglio, onde evitare inutili distensioni del testo, si può affermare che l’organizzazione regionale sarda obbliga le amministrazioni al conferimento della frazione indifferenziata in uno specifico termovalorizzatore (per poterne gestire il lavoro durante tutto l’anno, soprattutto quando mancano i rifiuti da lavorare e occorre recuperarli su tutto il territorio), mentre per quanto concerne la percentuale organica è lo stesso Comune che, in base a criteri di convenienza ed economicità, può scegliere la piattaforma che più gli aggrada per la lavorazione dei suoi scarti e per la produzione del compost. Negli ultimi anni sono state studiate e adottate nuove pratiche per il trattamento in sede comunale dei propri scarti organici (si vedano gli esempi di Ponte nelle Alpi e Capannori o tutti i Comuni aderenti all’Associazione dei Comuni Virtuosi), soprattutto per le realtà più piccole e meno densamente popolate, al fine di poter diventare indipendenti e non gravare sul bilancio regionale di gestione dei rifiuti (ed evitando così inutili costi al cittadino sul quale, si vuole ricordare ogni qualvolta sia possibile, si scaricano tutti i costi per il servizio ricevuto).

Sembra un sogno! Delle best practices esistenti e già testate altrove, con ottimi risultati sia in campo ambientale sia su quello economico, adattabili perfettamente alle nostre amministrazioni comunali. Peccato che rimanga tutto un sogno grazie al Piano Regionale dei Rifiuti organizzato dalla Regione Sardegna. Con il principio della premialità o penalità descritto precedentemente, infatti, le amministrazioni comunali sono obbligate al conferimento di determinate percentuali di rifiuti (sia indifferenziati che differenziati in base ad un calcolo sulla totalità degli scarti conferiti) negli impianti riconosciuti e certificati dalla Regione stessa, ovvero quelli derivanti dai vecchi investimenti (errati) fatti in passato.

In breve, ci si trova di fronte a questo scenario tipo: un’amministrazione comunale potrebbe dimostrarsi più virtuosa delle altre creando un impianto per il compostaggio di comunità, rendendosi così indipendente e trattando tutta la frazione organica prodotta da sé (risparmiando dunque migliaia di euro spesi per spostare i rifiuti verso gli impianti regionali, i quali vengono inoltre pagati per la lavorazione della materia conferita). Ma la Regione Sardegna obbliga il Comune a conferire una percentuale dei suoi rifiuti organici agli impianti regionali, frazione utile questa per il raggiungimento della soglia di premialità, non dando così alla popolazione la possibilità di lavorare tutti i propri scarti all’interno del territorio. Questa possibilità viene meno perché la creazione di un impianto per il compostaggio di comunità ha bisogno di flussi di rifiuti organici costanti per poter ripagare un futuro investimento negli anni. Così l’amministrazione comunale è costretta a seguire la strada impostagli dalla Regione, il livello di virtuosità non tenderà mai ad un futuro miglioramento e i cittadini continueranno a pagare una tariffa sempre più alta (visti i continui aumenti per il trattamento o per lo smaltimento dei rifiuti).

Ecco perché non viene modificato il Piano di Gestione dei Rifiuti ed ecco perché non si vuole eliminare l’organizzazione basata sulla premialità o penalità: sono delle armi troppo forti e utili per la Regione Sardegna. Con queste, infatti, può dirottare in maniera diretta o indiretta il flusso dei rifiuti a proprio piacimento o convenienza. Per confermare quest’affermazione, lasciando al lettore tutti gli strumenti per poter giudicare quanto detto, si ricordi inoltre che l’amministrazione della Regione Sardegna in ambito ambientale ha deciso di seguire la strada opposta a quella Europea (secondo la quale lo smaltimento di rifiuti tramite inceneritore o termovalorizzatore è l’ultima strada da seguire). Infatti qui di seguito, grazie alla Deliberazione n° 53/29 del 20/12/2013, si può leggere uno dei controsensi ideologici più grandi del nostro periodo: l'assessore propone alla Giunta regionale di mantenere in vigore per il 2013 il meccanismo basato sul principio della premialità e penalità, ad esclusione "dell'entità della premialità per i conferimenti diretti ai termovalorizzatori, che viene quantificata nel 40% della tariffa di riferimento, al fine di premiare i territori che si sono dotati di adeguato impianto di termovalorizzazione". Si vogliono dunque premiare i territori che si sono dotati di impianti dai quali derivano le principali cause inquinanti post incenerimento di materiali (quali le diossine), inoltre si costringono le amministrazioni comunali al conferimento forzato di flussi indifferenziati di scarti verso determinate piattaforme regionali di smaltimento.

Dal piano nazionale, con le proposte indecenti dello Sblocca Italia nel suo articolo 35, non poteva che discendere una politica regionale vecchia, marcia e in controtendenza con la visione europea per la creazione di un’economia circolare. I Comuni rimangono bloccati, costretti all’esercizio delle loro funzioni in spazi ristretti, senza avere la benché minima possibilità di migliorare il contesto ambientale del loro territorio. Tutto questo sarebbe invece possibile partendo da una conversione ecologica nell’ambito della gestione dei rifiuti solidi urbani, passando finalmente all’attuazione delle best practices conosciute grazie alla Strategia Rifiuti Zero. Ma il servo deve far sostare il cavallo dove decide il padrone: non ci sarà nessun cambiamento per le realtà amministrative inferiori se non si attua una iniziale conversione ideologica di quelle maggiori. Ubi Maior, Minor Cessat.

Ferdinando Garau

 

 


 

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