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Internet e le rivolte in Tunisia, Egitto e Libia. Contributo dei network Twitter e Facebook. La tecnologia cambia la geopolitiCA

di Carlo Screti

 

Mentre leggevo una rivista, ho appreso che molti bambini nati in Egitto nel mese di febbraio hanno avuto come nome “facebook” o Twitter. Notizia alquanto  curiosa quindi continuo la lettura e comincio a capirne il significato.

Credo che da grande il neonato farà fatica a capire questo nome quantomeno bizzarro. Quando sentirà chiamarsi  ad esempio facebook Abdullah,oppure Twitter Muammahr.

Insomma i piccoli nati a febbraio 2011, nell'Egitto appena liberato dal regime del rais Hosni Mubarak hanno ricevuto questo nome dai loro genitori per rendere omaggio al social network che ha contribuito alla cacciata del tiranno.

È una pratica comune, dopo eventi storici,dopo circostanze singolari, quella di accomunare i festeggiamenti con la nascita di un figlio. Trovo un analogia con quanto è accaduto anche in Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando molti bambini furono battezzati col nome di "Firmato", perché sui manifesti affissi ovunque per celebrare la vittoria sugli austriaci c'era scritto "Firmato Cadorna" il quale però si chiamava Luigi.

 

Affrontando ora  il discorso  sull’importanza che ha INTERNET nell’ informazione e nella comunicazione si riesce a capire la portata tecnologica di questo strumento capace di modificare la politica, l’economia, la cultura, la storia, la geopolitica e le relazioni internazionali e il senso di cittadinanza.
Certamente  nel 2011 non è stato il web, da solo, a fare la rivoluzione anche se senza di esso la strada sarebbe stata sicuramente più tortuosa.

Molti s'interrogano in questi giorni sul ruolo che sta giocando Internet nelle rivolte del mondo arabo.
Twitter ha avuto scarso peso nella recente sommossa della Moldova,  paese dove esistono pochissimi account su quel social network. Così come nel caso iraniano dell'"Onda verde", durante il quale i tweet, a ben guardare, arrivavano dai blogger dell'Occidente.

L'attivismo legato ai social media è fondato su legami deboli, che raramente arrivano a sostenere azioni ad alto rischio come una rivoluzione. Diverso, ad esempio, fu il movimento d'opposizione nella Germania dell'Est, composto di diverse centinaia di piccoli gruppi in contatto limitato gli uni con gli altri.

 "Tutto quello che si sapeva era che nelle notti del lunedì, fuori dalla chiesa di San Nicola nel centro di Lipsia, ci si riuniva per esprimere rabbia verso lo Stato". A quel tempo solo il 13 per cento dei tedeschi dell'Est aveva un telefono, ma la loro motivazione era fortissima  e alla fine quel Muro è caduto.

L'altra fondamentale distinzione tra l'attivismo digitale e la sua variante tradizionale è questa: i social media non hanno un'organizzazione gerarchica. Facebook e simili sono strumenti per la creazione di reti, di fatto l'opposto delle gerarchie.

A differenza di queste ultime, regolate da norme e procedure precise da rispettare, i network non sono controllati da un'autorità centrale, perdendo così forza d'azione.
Mentre ci sono altri  invece pronti a sostenere che i social media hanno reinventato l'attivismo sociale. Grazie a  Facebook e Twitter il tradizionale rapporto tra l'autorità politica e la volontà popolare si è radicalmente capovolto: ora è più facile per i deboli collaborare, coordinarsi, dare voce al malcontento.

Non è sicuramente un caso che durante le rivoluzioni del Nord Africa e del Medio Oriente i regimi hanno spento (o tentato di spegnere) le connessioni. Altra constatazione, anche questa difficile da smentire: i social media sono diventati una fonte (spesso primaria) d'informazione verso l'esterno, cosa fino a poco tempo fa impensabile, contribuendo così a smuovere l'opinione pubblica internazionale.

Google ha addirittura messo a disposizione numeri di telefono internazionali con i quali arrivare a Twitter, per consentire a chiunque di comunicare in presenza di blocchi e censure del web. E altri siti hanno iniziato subito a tradurre quei messaggi dall'arabo all'inglese, per renderli comprensibili al resto del mondo.

Sembra ragionevole partire dalla convinzione, diffusa nella sociologia della comunicazione, secondo cui il sistema dei media (tutti, comprese radio e tv) vive e si nutre in un rapporto di interdipendenza con la società in un meccanismo di influenza reciproca. L'uno usa l'altro e viceversa.

 

Carlo Screti

 


 

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