Anno XIV num.4 |
Lug./Ago. 2015 |
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Internet e le rivolte in
Tunisia, Egitto e Libia. Contributo dei network Twitter e Facebook. La
tecnologia cambia la geopolitiCA
di Carlo Screti
Mentre leggevo una rivista,
ho appreso che molti bambini nati in Egitto nel mese di febbraio hanno
avuto come nome “facebook” o Twitter. Notizia alquanto curiosa quindi
continuo la lettura e comincio a capirne il significato.
Credo che da grande il
neonato farà fatica a capire questo nome quantomeno bizzarro. Quando
sentirà chiamarsi ad esempio facebook Abdullah,oppure Twitter Muammahr.
Insomma i piccoli nati a
febbraio 2011, nell'Egitto appena liberato dal regime del rais Hosni
Mubarak hanno ricevuto questo nome dai loro genitori per rendere omaggio
al social network che ha contribuito alla cacciata del tiranno.
È una pratica comune, dopo
eventi storici,dopo circostanze singolari, quella di accomunare i
festeggiamenti con la nascita di un figlio. Trovo un analogia con quanto
è accaduto anche in Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando
molti bambini furono battezzati col nome di "Firmato", perché sui
manifesti affissi ovunque per celebrare la vittoria sugli austriaci
c'era scritto "Firmato Cadorna" il quale però si chiamava Luigi.
Affrontando ora il
discorso sull’importanza che ha INTERNET nell’ informazione e nella
comunicazione si riesce a capire la portata tecnologica di questo
strumento capace di modificare la politica, l’economia, la cultura, la
storia, la geopolitica e le relazioni internazionali e il senso di
cittadinanza.
Certamente nel 2011 non è stato il web, da solo, a fare la rivoluzione
anche se senza di esso la strada sarebbe stata sicuramente più tortuosa.
Molti s'interrogano in
questi giorni sul ruolo che sta giocando Internet nelle rivolte del
mondo arabo.
Twitter ha avuto scarso peso nella recente sommossa della Moldova,
paese dove esistono pochissimi account su quel social network. Così come
nel caso iraniano dell'"Onda verde", durante il quale i tweet, a ben
guardare, arrivavano dai blogger dell'Occidente.
L'attivismo legato ai social
media è fondato su legami deboli, che raramente arrivano a sostenere
azioni ad alto rischio come una rivoluzione. Diverso, ad esempio, fu il
movimento d'opposizione nella Germania dell'Est, composto di diverse
centinaia di piccoli gruppi in contatto limitato gli uni con gli altri.
"Tutto quello che si sapeva
era che nelle notti del lunedì, fuori dalla chiesa di San Nicola nel
centro di Lipsia, ci si riuniva per esprimere rabbia verso lo Stato". A
quel tempo solo il 13 per cento dei tedeschi dell'Est aveva un telefono,
ma la loro motivazione era fortissima e alla fine quel Muro è caduto.
L'altra fondamentale
distinzione tra l'attivismo digitale e la sua variante tradizionale è
questa: i social media non hanno un'organizzazione gerarchica. Facebook
e simili sono strumenti per la creazione di reti, di fatto l'opposto
delle gerarchie.
A differenza di queste
ultime, regolate da norme e procedure precise da rispettare, i network
non sono controllati da un'autorità centrale, perdendo così forza
d'azione.
Mentre ci sono altri invece pronti a sostenere che i social media hanno
reinventato l'attivismo sociale. Grazie a Facebook e Twitter il
tradizionale rapporto tra l'autorità politica e la volontà popolare si è
radicalmente capovolto: ora è più facile per i deboli collaborare,
coordinarsi, dare voce al malcontento.
Non è sicuramente un caso
che durante le rivoluzioni del Nord Africa e del Medio Oriente i regimi
hanno spento (o tentato di spegnere) le connessioni. Altra
constatazione, anche questa difficile da smentire: i social media sono
diventati una fonte (spesso primaria) d'informazione verso l'esterno,
cosa fino a poco tempo fa impensabile, contribuendo così a smuovere
l'opinione pubblica internazionale.
Google ha addirittura messo
a disposizione numeri di telefono internazionali con i quali arrivare a
Twitter, per consentire a chiunque di comunicare in presenza di blocchi
e censure del web. E altri siti hanno iniziato subito a tradurre quei
messaggi dall'arabo all'inglese, per renderli comprensibili al resto del
mondo.
Sembra ragionevole partire
dalla convinzione, diffusa nella sociologia della comunicazione, secondo
cui il sistema dei media (tutti, comprese radio e tv) vive e si nutre in
un rapporto di interdipendenza con la società in un meccanismo di
influenza reciproca. L'uno usa l'altro e viceversa.
Carlo Screti |
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