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Lug./Ago. 2015

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Mancato accorpamento del P.R.A. e della M.C.T.C.

di Giovanni Minieri

 

Il 30 aprile scorso, il Presidente Renzi, illustrando la legge sulla semplificazione della Pubblica Amministrazione, aveva anticipato la ferma volontà di mettere finalmente fine a quella che è un’anomalia del tutto italiana: l’obbligo per l’automobilista che voglia circolare con un veicolo a motore, di dotarsi del Certificato di Proprietà (gestito dal P.R.A.) e del Libretto di Circolazione (rilasciato dalla M.C.T.C.). Due documenti che, a leggerli bene, riportano dati che potrebbero tranquillamente trovare posto su un unico certificato. Nelle intenzioni del governo c’era la volontà di dare metaforicamente fuoco ai due pezzi di carta e, dalle ceneri dei due documenti, dar vita alla Carta Unica del Veicolo. Con la conseguenza che, venuto meno uno dei due documenti, il corrispondente ente emittente venisse assorbito da quello rimanente. Ma nella legge varata il 13 giugno, quella volontà si è dimostrata tutt’altro che ferma ed il cerino è passato di mano in mano senza che nessuno abbia avuto il coraggio di accenderlo.

Per capire quali potrebbero essere stati i motivi che non hanno consentito la fusione tra i due istituti, vediamo cosa sono e di cosa si occupano.

Il P.R.A. (Pubblico Registro Automobilistico), gestito dall’ACI, conta 3.000 dipendenti impiegati in 106 uffici provinciali e 400 sportelli distribuiti sul territorio nazionale. Nell’ultimo anno, ha gestito 12 milioni di operazioni pari ad un totale di 1,1 miliardi di euro, di cui 190 milioni legati al Certificato di Proprietà. Ed è proprio quest’ultimo che legittima l’esistenza del P.R.A. Resta infatti nelle sue competenze l’annotazione sul C. di P. di tutte quelle variazioni della posizione giuridica dei veicoli circolanti in Italia come i passaggi di proprietà, i fermi amministrativi,  le ipoteche, le demolizioni, la perdita di possesso.

I costi di esercizio del P.R.A. non gravano sulle spese dello Stato, ma vengono assorbiti dall’emolumento pari a 27 euro, fissato per legge, e corrispondente a quanto dovuto dal privato cittadino per una singola trascrizione automobilistica. Ma il P.R.A. può comunque contare sulla copertura finanziaria derivante dalla quota associativa versata da circa un milione di iscritti all’Aci.

La M.C.T.C. è una direzione generale alle dipendenze del Ministero dei Trasporti, ha alle dipendenze 3.500 persone dislocate su 88 uffici provinciali che, ogni anno, gestiscono circa 56 mila operazioni. Resta nelle sue competenze il rilascio della Carta Circolazione, documento contenente i dati tecnici del veicolo ed eventuali modifiche ad esso apportate come l’installazione del gancio traino o di un impianto g.p.l.,ma vengono annotate anche le revisioni, così come la variazione dell’intestatario.

Essendo un ente alle dipendenze di un ministero, tutte le spese di gestione risultano addebitate sul conto statale, ma alla M.C.T.C. vengono riconosciuti anche 9 euro di diritti per tutte le pratiche automobilistiche, si sappia però che tali diritti finiscono pari pari nelle casse dello Stato.

Ora passiamo alle probabili criticità che non hanno permesso l’accorpamento dei due enti.

Il primo ostacolo che ci si è trovato dinanzi è la diversa natura giuridica dei due enti: il P.R.A., un ente pubblico non economico finanziato in parte dalle quote dei soci ACI, la M.C.T.C. è sostanzialmente un ente ministeriale. Un altro problema è il tipo di formazione del personale dipendente dal P.R.A. che di certo non ha la preparazione per assolvere ai compiti propri dei dipendenti della Motorizzazione. Sono persino differenti le piattaforme informatiche su cui girano i software di gestione dei due enti ed ovviamente, come nella migliore tradizione campanilistica italiana, ogni ente reputa il proprio software migliore dell’altro. Resta poi da chiarire come sarebbe stato possibile per esempio revisionare i mezzi pesanti presso gli uffici dei P.R.A. sprovvisti di piazzali adatti. In ultimo e non meno importante, non si dimentichi che ad una accorpamento del genere e la contestuale istituzione del Documento Unico del Veicolo avrebbe dovuto far seguito un decreto che modificasse anche il Codice della Strada.

 

Giovanni Minieri

 


 

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