LA MASSIMA ASPIRAZIONE
DELL’UOMO IN FATTO DI AUTOMOBILI
L’Alfa Romeo Montreal: un mito ucciso nella
culla
di Roberto Maurelli
Nel 1967, in occasione dei festeggiamenti
per il centenario del Canada, venne organizzato un grande salone
motoristico internazionale, l'Esposizione Universale di Montreal.
Costruttori da ogni d'arte del mondo ebbero l'occasione di presentare il
meglio della loro produzione e la gente d'oltreoceano poté avere un
primo contatto anche con i marchi meno conosciuti nel continente
americano. L'Italia, durante quell'evento, era rappresentata dalla sola
Alfa Romeo, dal momento che la casa di Arese riscuoteva in quegli anni
un notevole successo nel mercato nordamericano.
Per celebrare questo importante momento di
gloria, gli ingegneri italiani decisero di esporre un prototipo
sportivo, una dream car ribattezzata Montreal, motorizzata con la
potente unità ad otto cilindri che spingeva anche la 33 Stradale da
corsa. Nelle intenzioni originarie l'operazione doveva risolversi solo
in una sfilata, una semplice strategia di marketing senza alcun riflesso
sulla produzione.
La vettura, vestita da una carrozzeria
originale e moderna, progettata dal mai troppo lodato Marcello Gandini
della Carrozzeria Bertone, riscosse però un successo di pubblico
inatteso, testimoniato dalle numerosissime richieste che subissarono i
concessionari canadesi e statunitensi nei mesi successivi alla
manifestazione. Come si vede chiaramente dalle foto, le linee filanti e
decise riprendevano alcuni stilemi proposti sulla Lamborghini Miura, non
a caso disegnata dalla stessa geniale matita…
Una volta decisa l’entrata in produzione
purtroppo, però, i ritardi nell'adattamento stradale del propulsore ne
tardarono la commercializzazione fino al 1970.
A quel punto, una buona parte dei clienti
interessati all'acquisto si era ritirata per la lunga attesa mentre
un'altra buona fetta di mercato aveva deciso di cambiare target a
seguito della crisi petrolifera del 1973.
La versione definitiva era equipaggiata con
il mitico otto cilindri a V di 2593 cc progettato da Carlo Chiti che
erogava 200 cavalli a 6500 giri, sufficienti a spingere la vettura oltre
i 220 chilometri orari (circa 235 km/h).
A dir la verità l’architettura era stata
profondamente rivista per superare la brutalità nell’erogazione di un
progetto destinato alle competizioni: l'albero motore presentava la
disposizione delle manovelle a 90 gradi anziché a 180 e i pistoni
perdevano il cielo convesso tipico della vettura sport, funzionale ad
ottimizzare il rapporto di compressione. Nonostante queste modifiche il
motore era davvero il cuore del progetto. Elastico fin dai 2000 giri e
rabbioso oltre i 5000, emetteva un sound davvero entusiasmante, degno di
una supercar italiana. Peccato solo che necessitasse di una manutenzione
fine ed assidua per garantire nel tempo le sue prestazioni.
Il telaio derivava in gran parte da quello
della Giulia, con l'asse anteriore indipendente e il ponte posteriore
rigido, ma era dotato di un cambio più sportivo (il raffinato ZF!), di
quattro freni a disco autoventilanti servoassistiti prodotti dalla
Girling (a quei tempi quanto di meglio fosse disponibile) e un
differenziale autobloccante al 40%. Gli appassionati della guida
sportiva criticarono la scelta di un telaio con così poca rigidità
torsionale, non certo votato a soddisfare le richieste del ben più
prestante motore di derivazione agonistica; tuttavia non bisogna mai
dimenticare che si trattava pur sempre di una vettura nata solo per
essere ammirata dal pubblico e inizialmente destinata a finire nel museo
dell'Alfa Romeo insieme a tanti altri prototipi mai messi in produzione.
E d’altra parte, nonostante l’accentuato
rollio in curva, la vettura era comunque in grado di tenere fedelmente
la traiettoria impostata restituendo al pilota un buon feedback
relativamente ai limiti di tenuta di strada.
Forse è più difficile trovare una
spiegazione plausibile per il design degli interni, troppo simile a
quello delle Alfa dei grandi numeri. A parte la strumentazione dedicata,
con gli indicatori sussidiari distribuiti intorno ai due quadranti
principali, c’era poca originalità e coesione negli altri elementi; una
pecca difficile da digerire per chi aveva sborsato la cifra
considerevole di 5.409.000 £ (lo stesso prezzo di una Porsche 911 S
dell’epoca…).
Oggi la Montreal, uscita
di produzione nel 1977, è un pezzo molto apprezzato dai collezionisti.
Se volete, potreste cercarne una in buone condizioni e mettervela in
garage per una cifra prossima ai ventimila euro; tuttavia l'impresa più
difficile sarà proprio rintracciare uno dei pochissimi esemplari venduti
(solo 3925!). Un vero peccato per un modello per il quale era stato
coniato lo slogan “La massima aspirazione dell'uomo in fatto di
automobili".
Roberto Maurelli |