ALTERAZIONE DEI SISTEMI DI
ALLEVAMENTO
La sindrome della "mucca pazza" ne è una delle
conseguenze
di Simona Borsari
L’alterazione dei sistemi di allevamento è alla base non solo della
sindrome della mucca pazza, ma la si può giustamente chiamare in causa
per una forma patologica che ha suscitato un notevole interesse negli
ultimi tempi, lo sviluppo di muffe che producono tossine conosciute come
aflatossine.
La loro presenza negli alimenti è sempre più frequente al punto di
essere diventata oggetto di specifica legislazione (Regolamento CE
1525/98) prodotta a tutela della salute umana.
Le aflatossine fanno parte della grande famiglia delle micotossine.
Il termine micotossine
comprende numerosi metaboliti secondari con attività tossica prodotti in
opportune condizioni microclimatiche da funghi microscopici e
filamentosi, meglio noti come "muffe", solo un ridotto sotto insieme
conducono alla sintesi di micotossine.
Le micotossine, oltre ad essere molto
diverse tra loro dal punto di vista chimico, mostrano una notevole gamma
di effetti biologici dovuti alla loro capacità di interagire con diversi
organi e/o sistemi bersaglio.
Per tale ragione, esse sono classificate in:
Ø immunotossine,
Ø dermatossine,
Ø epatotossine,
Ø nefrotossine,
Ø neurotossine
oppure sulla base del loro effetto cronico in:
Ø mutagene,
Ø cancerogene,
Ø teratogene.
Gli effetti tossici osservati consentono di classificare le patologie
in micotossicosi acute primarie, croniche primarie e croniche
secondarie.
Il primo gruppo comprende patologie, talvolta mortali, dovute
all'introduzione di micotossine in quantità molto elevate in un periodo
di tempo limitato.
Al contrario, le micotossicosi croniche primarie sono fenomeni meno
pericolosi sul breve termine, difficilmente diagnosticabili e di
conseguenza comportano notevoli danni economici negli allevamenti e
negli impianti zootecnici dovuti ad un calo nella fasi produttive e
riproduttive.
Le micotossine sono state scientificamente oggetto di studio solo a
partire del 1850, quando si è dimostrata l'associazione tra l'ingestione
di segale contaminata con sclerozi di C. purpurea e la comparsa
di casi di ergotismo.
Uno degli esempi meglio documentati di micotossicosi umana risale
agli anni '40 quando, in Russia, fu descritta l'insorgenza di una
tossicosi alimentare correlata all'ingestione di cereali colonizzati da
F. sporotrichioides e da F. poae.
L'inizio della moderna micotossicologia è databile al 1960, quando
vennero identificati le aflatossine responsabili della "malattia X" del
tacchino.
La formazione delle micotossine è strettamente connessa alla crescita
fungina; senza di essa, la produzione di tossine non avviene.
Tuttavia, la presenza di funghi tossigeni in un alimento non indica
automaticamente la presenza di micotossine e viceversa.
D'altra parte, le tossine possono persistere per lungo tempo dopo la
crescita vegetativa e la morte e/o l'eliminazione del fungo.
I miceti producono le tossine in particolari condizioni di difficile
crescita della pianta (stress idrico, presenza di parassiti, ecc.) ed in
situazioni di avversità meteorologiche come nei climi caldo-umido. La
contaminazione inizia in campo e può interessare successivamente le fasi
di raccolta, essiccazione, conservazione, trasformazione, manipolazione
e trasporto.
I trattamenti tecnologici sono spesso in grado di inattivare gran
parte delle micotossine presenti nell'alimento. Di seguito i diversi
metodi di detossificazione:
-
detossificazione fisica:
Ø calore secco e
umido (cottura in forno, autoclave, arrostimento, torrefazione,
friggitura);
Ø irragiamento
solare e con microonde.
2. detossificazione chimica:
Ø acqua ossigenata;
Ø ammoniaca;
Ø idrossido di
calcio;
Ø aldeide formica;
Ø etere metilico.
Attualmente, sono note più di 300
micotossine, ma solo il 7% si ritrovano negli alimenti a livelli tali da
costituire un pericolo per la salute umana.
Negli animali, le micotossine possono provocare danni al fegato,
diminuzione della produzione di latte e di uova e carenza immunitaria
anche con l'assunzione di basse quantità di alimento contaminato.
Tutte le età possono essere colpite.
Altri effetti delle micotossine sono la morte embrionale,
l'inibizione dello sviluppo ormonale ed aborti spontanei associati ad
ergotismo.
Tra le micotossine meglio conosciute e studiate che creano maggiori
preoccupazioni per la salute umana si riportano le famiglie:
Ø delle aflatossine
(prodotte dall'Aspergillus),
Ø delle ocratossine
e patulina,
Ø degli zearalenoni,
Ø fumonisine,
Ø tricoteceni.
Delle 18 aflatossine note, le più frequenti ritrovate come
contaminanti naturali sono: la B1, B2, G1, G2, M1 e M2.
La nomenclatura delle prime 4 (che si trovano nei prodotti di origine
vegetale) si basa sulle proprietà di fluorescenza blu (B= blu) o verde
(G= green) emanata quando tali sostanze vengono sottoposte agli UV.
Le aflatossine M1 e M2 (M= milk) sono invece i metaboliti idrossilati
delle aflatossine B1 e B2 riscontrabili nel latte di animali alimentati
con derrate contaminate.
Nell’uomo le aflatossine sono in
grado di provocare il cancro al fegato e al rene.
Tali patologie sono più frequenti nei
paesi a clima tropicale per una maggiore esposizione delle popolazioni
all’aflatossina B1.
Nei paesi europei e nord americani
tale relazione non è stata evidenziata in quanto le popolazioni sono
meno esposte.
L’alimentazione di questi ultimi,
ricca di latte e derivati, li espone invece maggiormente all’aflatossina
M1 che si è osservato avere un potere patogeno inferiore di un ordine di
grandezza rispetto alla B1.
I paesi industrializzati hanno
stabilito livelli massimi di aflatossine al di sotto di quelli stabiliti
dalla FAO e dall’OMS.
La Comunità Europea con il
Regolamento CE 466 dell’8/3/2001, ha fissato il tenore massimo
ammissibile di taluni contaminanti nelle derrate alimentari compresa
l’aflatossina M1 nel latte (50 ppt).
La legislazione italiana ha inoltre
emanato il decreto n°241 in recepimento delle direttive CEE 92/88, CE
94/16 e CE 96/6 che fissa i contenuti massimi di sostanze indesiderabili
per i prodotti destinati agli animali.
Lo IARC (Agenzia Internazionale Ricerca sul Cancro) ha classificato
numerose sostanze in base alla cancerogenicità.
La classificazione è la seguente:
Ø 1 = cancerogena
per l'uomo
Ø 2A = probabilmente
cancerogena per l'uomo
Ø 2B = possibilmente
cancerogena per l'uomo
Ø 3 = non
classificabile come cancerogena per l'uomo
L’aflatossina B1 ha come classificazione 1, l’aflatossina M1 come 2B.
Dal 01/01/99 nella UE è entrato in vigore un limite di 0,05
microgrammi/kg per l'aflatossina M1 (Reg. 1525/98).
Il limite viene riportato come 50 nanogrammi/kg o ppt.
In questa trasformazione si aggiunge una cifra significativa che il
valore originale legale non prevede.
Occorre quindi fare attenzione quando si deve stabilire se una
partita di latte rispetta o meno tale limite (valori fino a 55 ng/kg
sono accettabili in quanto per arrotondamento corrispondono a 0,05
mg/kg).
Se viene prodotto latte con un livello di M1 che eccede 0,05 mg/kg, è
proibita la diluizione con altro latte.
Per limitare il livello di aflatossina M1, è stato fissato un limite
di 5 mg/kg (ppb) di aflatossina B1 per i mangimi destinati alle bovine
in lattazione, ma vi è un limite anche sulle materie prime (20 ppb).
Rispettando questo
limite non si è sicuri di rientrare nei 0,05 mg/kg di M1 nel latte.
Simona Borsari |