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Un esempio di arte ambientale: la LAND ART

di Maria Teresa Lembo 

 

Come le opere che designa, LAND ART è un termine variabile, complesso e denso. Sotto molti aspetti è una forma darte essenzialmente americana, le cui manifestazioni si ebbero nellambito della cerchia newyorkese nella seconda metà degli anni 60. Ma poi coinvolse artisti di tutto il mondo, che espressero punti di vista e posizioni differenti...(Jeffrey Kastner - Brian Wallis, Land and Environment Art, Phaidon, Londra 1998, pag.12)

La LAND ART, o EARTH ART, si afferma negli Stati Uniti tra gli anni ’60 e ’70. Il termine “Land Art”  fu utilizzato per la prima volta nel 1969, in California, da Gerry Schum, autore di un famoso video che documentava i lavori di Michael Heizer, Walter De Maria, Robert Smithson, Dennis Oppenheim e degli europei Richard Long, Barry Flanagan, Christo Javacheff, Marinus Boezem. Gli influssi del Minimalismo e dellarte concettuale caratterizzarono questo movimento nei confronti del quale i protagonisti manifestarono personalità ed atteggiamenti diversi.

 “Da quel momento vennero definite con questa etichetta tutte quelle esperienze artistiche che, a partire dal 1967, si verificarono in spazi non deputati all’arte, come musei o gallerie, ma che si svilupparono direttamente nel territorio naturale. Lo sviluppo maggiore, ma anche le realizzazioni più spettacolari e monumentali, furono realizzate negli Stati Uniti, dove gli artisti lavoravano in spazi immensi e incontaminati, come deserti o laghi salati…I  land artists  realizzavano quindi direttamente nella natura forme geometriche primarie, scavate, tracciate, costruite, con mezzi che permettevano lo spostamento di enormi quantitativi di terra. Erano segni artificiali effimeri, in quanto destinati ad essere riassorbiti dai processi di erosione e trasformazione degli elementi naturali. Di queste opere, volte a testimoniare l’utopica volontà di potenza dell’uomo creatore, non rimane che la memoria in documentazioni fotografiche o nei progetti degli artisti”. (Francesca Eleuteri, Land Art: tracce di natura, Volume edizioni s.r.l.)

Una delle opere più famose della Land Art fu la "Spiral Jetty" di Robert Smithson, una spirale che si sviluppava per quattrocentocinquanta metri sulla superficie del lago Great Salt nello stato americano dello Utah, realizzata nel 1970 con terra e sassi, oggi parzialmente sommersa a causa dell’innalzamento del livello dell’acqua.

La scelta di tale sito fu confermata dalle stesse parole di Smithson: “Mentre lo contemplavo, il luogo riverberò sull’orizzonte come un ciclone immobile e l’intero paesaggio sembrò vacillare nella vibrazione della luce. Un terremoto latente si scatenò in un’immensa curva. Da questo spazio vorticoso emerse la possibilità dello Spiral Jetty, del molo a spirale. Nessuna idea, nessun concetto, nessun sistema, nessuna struttura, nessuna astrazione poteva far fronte alla realtà di questa evidenza fenomenologica”

Smithson fu anche autore di numerosi scritti, attraverso cui espresse alcuni concetti fondamentali della sua ricerca. L’artista decise di opporsi al significato tradizionale di opera d’arte attraverso la negazione della visione dell’oggetto. Da qui nacque il concetto di site-non-site, secondo cui un’opera possiede una dimensione propria, legata al luogo in cui si trova, spesso inaccessibile ed impervio, ed un’altra, prettamente concettuale, complementare a quella all'aperto, fatta di un lavoro di documentazione e monitoraggio destinato a trovare poi forma nel museo.

 In un articolo pubblicato nel 1966 ed intitolato “Entropy and the New Monuments”, l’artista introdusse il concetto di entropia nei processi di modificazione della realtà. L’idea di progresso lasciava spazio alla consapevolezza della presenza di una misura del caos interno alla materia che dominava il mondo reale attraverso leggi proprie. Seguendo  un principio della fisica nucleare, Smithson sostenne che la materia tendeva ad una crescente disorganizzazione e disintegrazione della propria struttura. Considerò le periferie, le discariche industriali, le miniere abbandonate dei luoghi "degradati" e al tempo stesso "entropici" dove leggere una nuova geologia del deterioramento ed un nuovo tipo di rovina contenuta potenzialmente in ogni processo di mutazione dell'ambiente.

Un’altra importante opera, appartenente alla LAND ART, fu quella portata a termine nel 1970 nella Virgin River Mesa in Nevada da Michael Heizer ed intitolata “Double Negative”. L'idea di imprimere dei segni nel paesaggio portò ad una nuova considerazione dell'importanza dell’ambiente come ricettore dell'arte. Il suo “Double Negative”, fu considerata una scultura al contrario, generata per sottrazione e riposizionamento del terreno, attraverso una gigantesca incisione sul ciglio di una vallata deserta. Per la realizzazione dell’opera fu necessario scavare e rimuovere circa 240.000 tonnellate di terra e roccia.  Concepita come doppia negazione, “Double Negative” fu documentata dall’autore da numerose fotografie perché talmente enorme da non poter essere ammirata da terra nella sua interezza. Il senso di piccolezza e la mancanza di tempo che si percepisce inducono lo spettatore a prendere coscienza della propria natura effimera.

 Interessante è anche il “The Lightning Field” (1977) di Walter De Maria, monumentale opera situata  nel deserto del New Mexico,  consistente nell’installazione  di 400 pali metallici appuntiti su un’area di circa 3 chilometri quadrati, capace di raccogliere e moltiplicare la potenza dei fulmini durante i temporali. L’opera, destinata a svanire, fu documentata mediante fotografie e video. I pali, posizionati per riflettere la luce dell’alba e del tramonto e attirare fulmini, mettevano in risalto la forza e la bellezza della natura.

Dennis Oppenheim, uno dei maggiori esponenti della LAND ART, pose invece l’accento sugli aspetti etici dell’ambiente, usando il paesaggio come tela su cui scrivere e dipingere e lasciando poi la sua arte alla natura e a tutti coloro con i quali poteva condividere, non solo l’emozione dell’opera d’arte, ma anche il contesto ambientale e naturale. Oppenheim fece uso di tutte le forme più comuni della civiltà, utilizzando e reinventando codici e linguaggi. Dal 1967, anno in cui realizzò il suo primo “Earthwork” (buco nel terreno), fino ai primi anni Settanta, eseguì una serie d’interventi sul paesaggio naturale senza alterarlo, ma conferendogli un evidente carattere di transitorietà anche attraverso l’uso di materiali naturali facilmente degradabili. Negli anni Ottanta realizzò enormi installazioni che rappresentavano oggetti immaginari e distorti, macchine dotate di luci e di suoni. Di particolare suggestione fu, nel 2006, al Central Park di New York, “The Alternative Landscape”, una grande installazione caratterizzata da un universo paesaggistico e fantastico (alberi fluorescenti con rami in acciaio, strani fiori, geneticamente modificati, in plastica) capace di instaurare un dialogo tra forme artificiali e naturali.

In Inghilterra si distinsero Richard Long ed Hamish Fulton attraverso la realizzazione di interventi artistici molto semplici come: raccolte di sassi, percorsi scanditi da linee e cerchi, documentati da fotografie. In particolare, l’intento di Long fu quello di approfondire la relazione tra l’uomo e l’ambiente come “fatto” creativo per eccellenza.

Richard Long ideò nel 1967 l’opera che lo rese noto: “A Line Made by Walking”, una linea tracciata camminando avanti e indietro su un prato fiorito. L’azione stessa del camminare coincideva con l’opera d’arte: un “muoversi attraverso la vita”. Dal ’67 percorse quasi tutto il mondo, dall’Himalaya alle Ande, all’Africa. Preferiva quasi sempre percorrere zone disabitate, limitandosi a fissare il suo passaggio attraverso fotografie o lasciando il proprio segno spostando pietre, disponendo piume o disegnando cerchi sull’acqua. L’uso di materiali semplici e naturali, che definivano forme elementari, presupponevano un tipo di “intervento dolce”, principio di sottomissione alla natura, di integrazione con essa.

I land artists, da quanto affermato, non si sono posti dei confini, né uno spazio stabilito dove poter operare. Le loro  opere hanno dimostrato una grande attenzione ecologica nei confronti della natura con la quale si trovavano ad interagire.

In un periodo di crisi ecologica, infatti, si avverte sempre di più la necessità di ritornare a sperimentare un rapporto, un legame molto intimo con l’ambiente. Per questo, sarebbe necessario risvegliare in noi il senso dei nostri legami con la terra, sottoporre alla nostra attenzione e meraviglia gli aspetti sempre nuovi della natura, riflettere sui ritmi della vita, sorprenderci con improvvise rivelazioni sul mondo che crediamo di conoscere.

 

Maria Teresa Lembo

 


 

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