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De Autovelox  Nobilitatis

di Thomas Graziani

 

Il cosiddetto autovelox, macchina subdola e infernale, sconsiderato parto di qualche ingegnere in vena di esperimenti luciferini, è ormai l’incubo fisso di ogni guidatore dal piede pesante. Infallibile, millimetrico, implacabile come gli uragani, dove risiede l’autovelox non cresce più l’erba dell’infrazione: nelle sue molteplici reincarnazioni – sempre più sofisticate, sempre più precise – la tecnologia ha provveduto ad assottigliare i margini di errore degli apparecchi, rendendo attuale e visibile un concetto lontano dall’uomo come quello di perfezione.

Al giorno d’oggi, ricevere a casa la busta bianco-verde che contraddistingue la sanzione amministrativa corrisponde quasi sempre ad una necessaria resa. Di più: già mentre si apre la busta, e ci si rende conto della natura del contenuto, nel portafoglio si verificano movimenti strani e quei fogli da cento, prelevati freschi freschi dal bancomat sotto casa, si mettono a tremare, si raggrinziscono, e poi scompaiono, per depositarsi nei mantici capienti dei forzieri comunali.

Detto senza volteggi letterari, incappare nelle moderne macchine di misurazione della velocità è una situazione per la quale non esiste quasi più via d’uscita.

La contestazione, per iniziare. Come abbiamo già avuto modo di dire, i moderni modelli di autovelox permettono di funzionare in modalità stand-alone, ovvero senza la necessaria presenza della pattuglia. L’apparecchio registra l’infrazione e gli estremi del veicolo e provvedere all’emissione della multa; la contestazione, se gli agenti sono presenti, può avvenire all’istante oppure, più probabile, nei 150 giorni successivi al fatto. Entro questa data è previsto che la semplice ricezione della raccomandata di pagamento implichi la contestazione dei reati accertati.

Potersi immaginare delle ipotesi di ricorso all’interno di questo sistema è praticamente impossibile. Una volta ricevuta la multa – dopo essersi rassegnati al pagamento – si può al massimo controllare l’eventuale presenza di errori contenuti nel verbale: difetti nella scrittura dei dati anagrafici, errori nell’identificazione del veicolo, assenza della data dell’infrazione, mancanza degli articoli del codice che si sarebbero violati, vaghezza informativa sugli organi cui fare ricorso. Questi pochi elementi possono essere appigli sufficienti per impostare una procedura di respingimento; ma va detto che – essendo i moduli di contestazione quasi sempre formulari pre-stampati – è molto difficile che si verifichino mancanze in questo senso.

Decisamente più probabile è invece la possibilità di ricorrere adducendo come scusante la mancanza o l’inadeguatezza della segnalazione stradale. Armati di macchina fotografica è sempre consigliabile recarsi sul punto dell’infrazione e prendere visione della segnaletica specifica. In questo caso va controllata non soltanto l’esatta posizione del cartello, ma anche la corrispondenza tra segnale e infrazione e – più di tutti – la corretta omologazione dello stesso. Dietro i cartelli, infatti, sono riportate tutta una serie di certificazioni e timbri che rendono effettivo ed operante il segnale; senza, la validità del medesimo decade.

Ma questa è quella che si dice l’ultima spiaggia. Terza via, come dice l’adagio, non è data: l’unica soluzione per evitare spiacevoli battibecchi con autorità e apparecchiature è quella di alleggerire la pressione sul pedale accelerante, così da indurre l’autovettura a più miti regimi. O sperare – magro bottino – di incappare in quel 5% di tolleranza che le magnanime forze dell’ordine concedono a chi, automobilista, ancora non sa dosare velocità e rispetto delle leggi.

 

Thomas Graziani


 


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