Biocarburanti, prodotti chimici dal naturale all’ogm si,
ma con cautela:
crisi alimentare globale ed effetto serra all’orizzonte
di Davide Murgano
(Mag.2009)
I repentini cambiamenti climatici a cui è stato sottoposto il
nostro pianeta da una anno a questa parte ha avuto ripercussioni sull’
agricoltura. Alluvioni, siccità, inverni gelidi sono solo alcuni dei
fenomeni naturali che hanno inciso sui risultati dei raccolti
determinando un nuove fronte di crisi.
I raccolti scarsi fa
lievitare i prezzi dei generi di prima necessità.
Le proteste di piazza
ormai dilagano in oltre 30 Paesi e i leader politici paventano che gli
ulteriori aumenti dei prezzi dei generi alimentari e l'escalation della
rabbia e della disperazione dell'opinione pubblica possano esautorare i
governi di buona parte del mondo in via di sviluppo e condurre a
preoccupanti quanto difficili conseguenze per l'umanità. Inopinatamente,
la crisi alimentare è stata trasformata da sfida umanitaria in una
questione di sicurezza planetaria. Nelle scorse settimane sono stati
organizzati in tutta fretta vari vertici internazionali sulla crisi
alimentare globale per analizzare in particolare il rapporto di
causa-effetto tra l'aumento dei prezzi energetici, l'impennata dei
generi alimentari e le ripercussioni del cambiamento del clima sulla
produzione agricola.
Al vertice della Fao di
giugno si sono dati appuntamento oltre quattromila rappresentanti di
oltre 180 paesi, tra i quali capi di stato, uomini d'affari, esponenti
delle più importanti organizzazioni della società civile, con l'intento
di discutere della crisi alimentare, del cambiamento del clima e dei
problemi energetici.
Alla fine della
conferenza, tuttavia, nemmeno uno tra i rappresentanti politici ha detto
alcunché sulle cause sottaciute della crisi e su come le politiche
agricole abbiano un impatto profondo sul cambiamento del clima. Ciò che
tutti hanno sotto gli occhi e nessuno pare essere disposto ad ammettere
e tanto meno a segnalare all' attenzione altrui è una mucca. L'industria
mondiale delle carni si è divorata fino al 40 per cento delle terre
coltivabili del pianeta e ha trangugiato ingenti quantità di riserve di
carburanti fossili affinché un'esigua percentuale della popolazione
terrestre possa banchettare con gli alimenti più in alto nella catena
alimentare globale mentre centinaia di milioni di altri esseri umani si
trovano a dover far fronte a malnutrizione, carestia e morte. Lo
strabiliante aumento del prezzo del petrolio sui mercati internazionali
ha avuto l'anno scorso un ruolo eloquente nell'escalation dei prezzi dei
cereali. L'agricoltura moderna dipende in ogni sua fase di produzione
dei generi alimentari dal petrolio e dai derivati dei combustibili
fossili.
Nei fertilizzanti, nei
pesticidi, negli imballaggi si usano sostanze petrolchimiche, e per far
funzionare i macchinari agricoli e Trasportare i prodotti in mercati
anche molto lontani serve naturalmente la benzina. Jacques Diouf,
direttore generale della Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite per
l'alimentazione e l'agricoltura, afferma che attualmente sono circa 862
milioni gli esseri umani privi di adeguato accesso al cibo.
Molti esperti imputano
l'aumento dei prezzi degli alimenti alla conversione dei terreni
agricoli, passati a produrre biocarburanti. L'idea di fondo di questa
teoria è che aumentando le terre coltivabili destinate ai biocarburanti
si faccia decollare il costo dei cereali destinati all'uomo. In altre
parole, la questione si riassume in un interrogativo: è meglio
alimentare le automobili o sfamare gli esseri umani?
La risposta a questa
domanda diventa ancora più inquietante se si considera che i cereali
destinati agli esseri viventi sulla terra devono essere ripartiti tra
uomini e bestie.
La Fao delle Nazioni
Unire ha affrontato questo tema in uno studio pubblicato nel 2006 e
intitolato "Livestock's Long Sha-dow: Environmenral Issues and Options".
Da tale rapporto risulta che nel solo 2002 sono diventati mangimi per il
bestiame 670 milioni di tonnellate di cereali, pari più o meno a un
terzo della produzione globale di cereali. Il punto è che sempre più
terra coltivabile del pianeta è adibita alla coltivazione di mangimi per
gli animali, il che significa che di conseguenza sempre meno terra è
riservata alla produzione di cereali per l'alimentazione umana e tutto
ciò influisce negativamente sul prezzo degli alimenti accessibili ai più
poveri del pianeta.
A peggiorare le cose,
la Fao ha stimato che la produzione di carne raddoppierà entro il 2030,
a discapito dei terreni coltivabili che in futuro produrranno mangimi
per animali in percentuale sempre crescente.
Ma la crisi nata dalla
contrapposizione di cereali per l'alimentazione umana e mangimi per
animali ("food versus feed") non si ferma alle centinaia di milioni dì
persone affamate. Altrettanto importante, infatti, è il rapporto di
causa-effetto tra mangimi, aumento della produzione di carne, consumi e
riscaldamento globale, anche se a quanto pare nessuno al summit mondiale
si è sentito di parlarne apertamente. In verità la carne (ottenuta da
bovini cresciuti a mangimi) che portiamo in tavola è la seconda causa
per importanza di riscaldamento globale dopo gli impianti di
riscaldamento delle case.
Da uno studio Fao delle
Nazioni Unite pubblicato nel 2006 risulta che il bestiame produce il 18
per cento delle emissioni di gas serra, ovvero complessivamente più di
tutti i mezzi di trasporto. Il bestiame, soprattutto i bovini, è
responsabile del 9 per cento dell'anidride carbonica prodotta dalle
attività umane, ed responsabile altresì di una percentuale nettamente
superiore dì gas serra ancora più dannosi. Al bestiame si deve infatti
il 65 per cento delle emissioni di protossido d'azoto rilasciato dalle
attività umane: il protossido d'azoto ha un effetto sul riscaldamento
terrestre pari a 300 volte quello dell'anidride carbonica.
La maggior parte delle
emissioni di protossido d'azoto è dovuta al letame. Inoltre il bestiame
emette il 37 per cento di tutto il metano riconducibile alle attività
umane, gas che rispetto all'anidride carbonica incide nella misura di
23 volte sul riscaldamento del pianeta.
Mentre deploriamo
l'inefficienza energetica e lo spreco dovuto alla scelta di automobili
che consumano molta benzina, l'inefficienza energetica e lo spreco
legati allo spostamento verso un regime alimentare a base di carne è
infinitamente peggiore. Si consideri infatti che un ettaro coltivato a
cereali produce il quintuplo delle proteine di un ettaro utilizzato per
la produzione di carne. I legumi producono dieci volte quelle proteine,
e i vegetali a foglia 15 volte le proteine per ettaro di terreni di
pari dimensioni destinato alla produzione di carne. Per produrre mezzo
chilo di carne cresciuta negli Stati Uniti a base di mangimi,
l'industria del bestiame utilizza l'equivalente di quattro litri di
benzina. Per sostenere le esigenze annuali in termini di consumo di
carne di una famiglia media di quattro persone - più o meno 118 chili,
sono necessari oltre mille litri di combustibile fossile. Allorché si
brucia questa quantità di carburante, si rilasciano nell'atmosfera altre
2,5 tonnellate di anidride carbonica, quasi quanto un'automobile di
media cilindrata rilascia in sei mesi di utilizzo normale. Le
implicazioni del rapporto della Fao sono palesi: è giunta l'ora di porre
un drastico limite e fissare una soglia per le emissioni di metano e di
protossido d'azoto nel settore agricolo, per incoraggiare l'industria
dell' allevamento del bestiame a introdurre nuove modalità atte a
tagliare le emissioni.
Dovremmo altresì
prendere in considerazione l'idea di approvare una tassa sui mangimi e
sulle carni per incentivare una forte riduzione dei consumi, proprio
come oggi si applica un prelievo fiscale sulla benzina per perseguire il
medesimo scopo.
Una tassa sui mangimi e
le carni determinerebbe quasi sicuramente un ritorno alla produzione di
cereali destinati all'alimentazione umana e affrancherebbe buona parte
delle vaste terre agricole attualmente usate per produrre cereali
destinati al bestiame e ad altri animali come mangimi. Dovremmo altresì
incoraggiare gli sforzi miranti a disincentivare le pratiche agricole
che ricorrono a combustibili fossili e a prodotti chimici pesanti, ivi
compresa la tecnologia di produzione degli Ogm, indirizzando di
preferenza al ricorso a pratiche più biologiche e agro-ecologiche: a
quel punto i
costi legati alla coltivazione di cereali destinati
all'alimentazione umana scenderebbero ulteriormente.
La nostra determinazione a ridurre sensibilmente
lo spreco di energia e il nostro impatto sul riscaldamento globale,
dovuto al riscaldamento degli edifici e all'alimentazione dei mezzi di
trasporto, dovrebbe essere eguagliata dall'altrettanto aggressivo
impegno a seguire lo stesso l'esempio nelle nostre pratiche agricole. In
definitiva il passaggio dalla produzione di mangimi alla produzione di
alimenti destinati all'uomo e il passaggio da un'agricoltura sostenuta
da sostanze chimiche a un'agricoltura biologica sostenibile sono gli
unici mezzi ai quali possiamo ricorrere a lungo termine per affrontare
la duplice sfida della crisi alimentare globale e del cambiamento del
clima.
Davide Murgano |