L’EUROPA SI SPACCA SUL TEMA “CAMBIAMENTO CLIMATICO
E RESPONSABILITA’ ANTROPICHE”
di Sara Bonati
Il primo
aprile del 2009, quasi fosse un pesce di aprile, è stata approvata al
Senato in Italia una mozione che nega l’impatto umano sui cambiamenti
climatici. Si segna così una rottura a livello europeo in tema di
cambiamento climatico già evidenziata durante i “lavori europei” che nel
novembre 2008 avevano portato al “pacchetto 20-20–20”, piano sul clima
che prevede il raggiungimento del 20 % della produzione energetica da
fonti rinnovabili, il miglioramento del 20 % dell’efficienza, e un
taglio del 20 % nelle emissioni di anidride carbonica entro il 2020. In
quella occasione l’Italia avanzò una mozione che richiedeva una clausola
di revisione nel 2009, poi inclusa nell’accordo. Di fatto si sperava
così di ridurre il target delle riduzioni delle emissioni previsto per
il 2020. Con l’inclusione della clausola nell’accordo europeo si sono
aperte le porte alla nuova “politica italiana” in tema ambientale.
La
mozione del primo aprile ha chiesto al Senato di negare clamorosamente
qualunque segnale di responsabilità umana nelle emergenze territoriali
originate dal cambiamento climatico, ogni anno, di fatto, sempre più
crescenti. Il sottosegretario Bertolaso non ha negato, in sé, il
cambiamento climatico, riportando come, soprattutto a livello marittimo,
si notino mutamenti nella fauna e nella flora sottomarina dati
dall’innalzamento della temperatura dell’acqua. Tuttavia, ha negato il
possibile collegamento tra questi eventi e l’uomo. Di preciso è stato
dichiarato: «si tratta di situazioni che noi riconduciamo ai cambiamenti
climatici e all’aumento delle temperature derivante da una serie di
fenomeni naturali e probabilmente anche antropici». Dunque, esiste la
probabilità ma non la certezza. La conseguenza è la decisione di non
prendere precauzioni, o meglio, forme di mitigazione per ridurre le
emissioni gassose nell’atmosfera. Niente attuazione ai piani di bacino e
ai piani di costa.
Gli
scienziati ONU hanno dichiarato che l’attuale cambiamento climatico è
causato per il 90 % dall’attività umana. Il Senato italiano ha
discordato accettando una mozione che nega le valenze scientifiche delle
ricerche appena citate. Un articolo reperibile sul sito del WWF Italia (www.wwf.it) dice: « è come se la maggioranza del
Senato ritenesse che la terra è piatta, cosa che certamente non modifica
le convinzioni della comunità scientifica e dei decisori politici
internazionali. Una decisione che nasconde, invece, la volontà di
condizionare le scelte economiche e le priorità degli investimenti».
Primo
firmatario della mozione il presidente della Commissione ambiente,
Antonio D’Alì. I senatori che hanno presentato la mozione chiedono di
dare ragione a «una parte consistente e sempre più crescente di
scienziati studiosi del clima (i quali non crederebbero) che la causa
principale del peraltro modesto riscaldamento dell’atmosfera terrestre
al suolo finora osservato sia da attribuire prioritariamente ed
esclusivamente all’anidride carbonica di emissione antropica», e ancora
«se pure vi fosse a seguito dell’aumento della concentrazione
dell’anidride carbonica nell’atmosfera un aumento della temperatura
terrestre al suolo, i conseguenti danni all’ambiente, all’economia e
all’incolumità degli abitanti del pianeta sarebbero molto inferiori a
quelli previsti nel citato Rapporto Stern e addirittura al contrario
maggiori potrebbero essere i benefici (…)
Gli obiettivi intermedi e le
relative sanzioni introdotte dal cosiddetto Protocollo di Kyoto e dal
cosiddetto Accordo 20-20-20 si muovono in antitesi alla dinamica degli
investimenti in ricerca» (cit. testo mozione 1.apr.2009). La mozione
chiede poi di proseguire sulla strada del risparmio energetico e dello
sviluppo delle tecnologie cosiddette “pulite” ma non con l’urgenza
richiesta dal Protocollo di Kyoto.
Il
risultato della votazione ha visto 122 voti favorevoli, 5 contrari, e
ben 92 astenuti.
Tutto ciò
ha lo scopo di mettere in discussione, come si è potuto leggere nel
testo, quelle che erano state definite “verità scientifiche” nel
Protocollo di Kyoto, realtà oggi invece discusse e, possiamo dire,
addirittura negate. Il libro “Che tempo farà” di Cascioli e
Gaspari, in linea con la posizione attuale del Governo, “documenta” di
falsi allarmismi che sarebbero stati lanciati sul clima e propone una
visione da catastrofismo costruito per ragioni culturali e politiche e,
dunque, non reale.
La prima
che fece scalpore combattendo il Protocollo di Kyoto fu la compagnia
petrolifera ExxonMobile. Essa contestò le teorie sui cambiamenti
climatici avvalendosi di équipe di scienziati secondo cui il cambiamento
climatico era una definizione azzardata e senza fondamento.
Sul sito
della compagnia (www.exxonmobil.com) si
legge: «it is prudent to develop and implement strategies that address
the risks, keeping in mind the central importance of energy to the
economies of the world».
L’Italia
di fatto si differenzia da questa posizione perché non nega l’evidenza
del cambiamento climatico ma ugualmente ne nega il collegamento con
l’attività umana, dunque, nega quella che fino ad oggi era stata
considerata la principale causa di questo fenomeno.
Togliendo
questa spiegazione ci si trova di fronte al riconoscimento di un
fenomeno senza causa né responsabile, dunque non risolvibile. La
necessità di proseguire sulla strada della ricerca delle energie
alternative non avrebbe di conseguenza alcun collegamento con la
necessità di combattere il cambiamento climatico.
Mentre
Londra nel novembre del 2008 ha garantito la riduzione delle emissioni
britanniche di CO2 del 80 % entro il 2050 (Climate Change Bill approvato
nel novembre del 2008 che ha previsto un innalzamento della percentuale
delle emissioni da ridurre all’80% entro il 2050 con una tappa del 50%
nel 2030), la scelta dell'Italia si colloca in controtendenza.
Hilary
Benn, ministro dell’Ambiente ha dichiarato nel 2007: «La legge (Climate
change bill) mostra al mondo che le nostre intenzioni in fatto di
riduzione della CO2 sono serie e che non chiediamo agli altri Paesi, in
particolare a quelli poveri, di fare ciò che noi non siamo intenzionati
a fare». Lo Scottish Bill (così chiamato perché presentato da una
delegazione scozzese) prevede anche una serie di misure finalizzate a
combattere le emissioni del trasporto aereo e marittimo e considera le
emissioni gassose nella loro interezza, non limitandosi alla sola
anidride carbonica. La legge prevede, inoltre, una voce di spesa
apposita nel bilancio britannico. Il Regno Unito è il primo paese al
mondo a prevedere una legge sulla riduzione delle emissioni gassose di
queste dimensioni. La proposta di legge inizialmente prevedeva una
riduzione del 60 %, ma questa è stata modificata in seguito alle
pressioni del Comitato governativo sul riscaldamento globale che ha
sottolineato come i cambiamenti climatici siano più rapidi del previsto.
Posizione che di certo contrasta con le recenti considerazioni addotte
dal Governo italiano.
Sara Bonati |