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I cambiamenti climatici
I
prodromi della catastrofe
di Riccardo D'Apruzzo
L’impatto
dell’uomo sull’ambiente naturale, si è rivelato nei secoli
sconvolgente; in particolare con l’avvento della rivoluzione industriale
l’uomo ha ampliato a dismisura il cosiddetto ecumene, ovvero
quell’ambiente “umanizzato” che è diventato spazio a sua disposizione.
Con la seconda metà del XVIII secolo i mezzi
tecnici a disposizione per intervenire e addomesticare ambienti
“ostili”, diventano più sofisticati e l’urbanizzazione comincia a
crescere con ritmi rapidissimi, segnando l’inizio del processo di
inquinamento, processo che si protrarrà a lungo.
Queste osservazioni potrebbero condurre, ad
un frettoloso giudizio, fortemente negativo, sull’impatto ambientale
della rivoluzione industriale ed alla criminalizzazione dell’industria
nei suoi rapporti con l’ambiente; in realtà, benché sia difficile
contestare che il rapporto tra impresa ed ambiente sia stato sempre
complicato, bisognerebbe sottolineare che nel comportamento
sostanzialmente inquinante dell’industria non vi è nulla di
ineluttabile, immanente ed inevitabile. Piuttosto è più corretto
affermare che non è l’industria ad essere necessariamente inquinante,
bensì modi di produzione suggeriti dal desiderio di realizzare il
massimo profitto nel minor tempo possibile.
Già nel secolo scorso lo strapotere
dell’industria veniva osservato con attenzione e preoccupazione da molti
scrittori, poeti ed artisti europei i quali, “di fronte alla incalzante
industrializzazione dei maggiori paesi dell’Europa occidentale,
all’arricchimento di una borghesia avida e speculatrice,
all’inquinamento ed al degrado civile di città e di periferie
industrializzate, reagirono con inquietudine e rabbia” (Lucio Villari,
1989).
Oggi tutti questi aspetti vengono in parte
trascurati per dare maggiore risalto alle “magnifiche e progressive
sorti” che certamente ha portato la rivoluzione industriale. Se questo è
vero, è altrettanto sicuro che essa ha provocato un impatto brusco ed
evidente sull’ambiente in termini di occupazione del suolo, di
inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo e dell’udito, di
produzione di rifiuti, spesso anche tossici e nocivi. In pratica agli
effetti positivi se ne aggiungono altri, decisamente negativi.
Pertanto il problema non risiede tanto
nell’industria come entità astratta o nella rivoluzione industriale che
l’ha prodotta, ma va più correttamente ricercato nei metodi di
produzione i quali, pur potendo essere, specialmente oggi, più “puliti”
e rispettosi dell’ambiente, continuano ad avere su quest’ultimo un
impatto negativo perché produrre “sporco” costa meno e fa realizzare
maggiori profitti.
Molti infatti sono stati i cambiamenti,
talvolta irreversibili, indotti dalle attività industriali che hanno
determinato danni ed impoverimento dell’ecosistema; ad esempio, il
mancato controllo delle emissioni industriali ha determinato gravi
perturbazioni nell’atmosfera, nella stratosfera e nei bacini idrici. In
particolare, per quanto riguarda l’atmosfera, la crescita della
concentrazione di anidride carbonica, è ritenuta la principale
responsabile dell’effetto serra , ossia il riscaldamento della
stessa (global warming ); basti pensare che dal 1950 ad oggi, le
emissioni di CO2 si sono quasi quadruplicate ; d’altro canto la
produzione di ingenti quantità di ossidi di zolfo e di azoto (che in
presenza di vapore d’acqua e per effetto della radiazione solare si
trasformano in acido solforico ed acido nitrico) ha prodotto il fenomeno
delle cosiddette piogge acide che ricadono al suolo producendo
enormi danni a quest’ultimo ed alla vegetazione.
L’effetto
serra
L’effetto serra è una di quelle cose di cui
tutti parlano ma non sempre con cognizione di causa. Cominciamo dunque
col dire che l’effetto serra è un fenomeno del tutto benefico per la
vita sulla terra - almeno per il tipo di vita che conosciamo - nella
misura in cui permette che sulla superficie del nostro pianeta vi sia
una temperatura media (sulle quattro stagioni e alle varie latitudini)
di circa +15°C piuttosto che di -17°C, temperatura prevista in assenza
di effetto serra. C’è da immaginarsi cosa sarebbe un mondo
permanentemente sotto gli 0°C, con mari ghiacciati, fiumi ghiacciati …
Ma a cosa dobbiamo questo surplus di ben 32°C di temperatura?
All’effetto serra, ovvero al fatto che mentre la luce del sole
attraversa gli strati bassi dell’aria senza essere assorbita (il sole
non riscalda l’aria!), la radiazione che emana dalla terra (così come da
qualunque altro corpo celeste), essendo costituita essenzialmente di
radiazioni infrarosse, viene intercettata e assorbita abbondantemente da
alcune componenti dell’aria come l’anidride carbonica, il vapor d’acqua,
il metano ed altri composti di sintesi come i CFC (clorofluorocarburi).
Ciò fa sì che il bilancio termico della
terra usufruisca di questo calore trattenuto dagli strati bassi
dell’atmosfera incrementando la temperatura della propria superficie del
valore citato. Il problema dunque non sta nell’effetto serra in quanto
tale, quanto nel fatto che, con lo sviluppo della società industriale,
sono state immesse in atmosfera molte sostanze “ad effetto serra”
facendone aumentare sensibilmente la concentrazione e incrementando di
conseguenza lo stesso effetto serra.
Ad esempio è stato dimostrato, attraverso
studi condotti sull’aria intrappolata in carote di ghiaccio estratte
dalle calotte polari e risalenti fino a 650.000 anni fa, che la
concentrazione di anidride carbonica attuale, di 380 parti per milione
(ppm), è la più elevata in tutto questo periodo e forse addirittura
degli ultimi 20 milioni di anni. Ancora che le temperature registrate
durante il 20° secolo risultano essere le più elevate degli ultimi
20.000 anni. Il ricorso forsennato ai combustibili fossili come fonte di
energia e la crescente deforestazione della superficie terrestre hanno
compromesso, a partire dall’era industriale, l’equilibrio naturale
dell’anidride carbonica dell’atmosfera, che si basa da un lato sulla sua
liberazione in atmosfera attraverso la combustione e la degradazione di
materiali organici, dall’altro sulla cattura dall’atmosfera della stessa
anidride carbonica attraverso il processo di fotosintesi per
trasformarla in zucchero e dunque in materiali organici complessi. Lo
squilibrio tra liberazione (combustione) e cattura (fotosintesi) della
CO2 è alla base dell’attuale effetto serra.
Di problemi ambientali ormai si parla sempre
più frequentemente, non fosse altro per il fatto che sono nati
addirittura dei partiti nei vari paesi del mondo che hanno fatto della
questione ambientale la loro bandiera. Addirittura, per sottolineare
la non più derogabilità del problema ambientale si è insignito del
premio Nobel per la Pace l'ex vice presidente Usa, Al Gore, Il
riconoscimento gli è stato assegnato per gli sforzi nel «creare e
diffondere una maggiore consapevolezza sugli effetti dell'azione umana
sui cambiamenti climatici e per aver gettato le fondamenta delle misure
necessarie per contrastare tali cambiamenti». Al Gore ha girato il
film-documentario "Una scomoda verità" sul riscaldamento terrestre. I
rapporti periodici diffusi dal Comitato intergovernativo sono alla base
di accordi mondiali quali la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici e il protocollo di Kyoto che la attua.
L'ex vice-presidente Usa, Al Gore, tra
l'altro, sarà ricordato come il primo (e finora unico) Premio Nobel che
ha vinto anche un Oscar. Il suo film è stato premiato nel 2006 come
migliore documentario dell'anno. «Il suo forte impegno - recita la
motivazione del premio - testimoniato dall'attività politica, le
conferenze, i film e i libri, ha rafforzato la lotta ai cambiamenti
climatici; è probabilmente il singolo individuo che più ha fatto per
creare una maggiore comprensione in tutto il mondo delle iniziative che
devono essere adottate».
Al Gore: il cambiamento climatico è un
problema morale, non politico. «Siamo di fronte a un'emergenza davvero
planetaria: la crisi climatica non è una questione politica, è una sfida
morale e spirituale per tutta l'umanità».
Si potrebbero riempire interi volumi di
catastrofi provocate dalla stupidità e dall’avidità umana prendo a
esempio quello che accadde nel 1953 nella baia di Minamata, in Giappone,
dove viveva una povera comunità di pescatori che si alimentavano
essenzialmente del pesce da loro stessi pescato.
Nelle prossimità di quella baia esisteva un
insediamento industriale che produceva acetaldeide, un composto chimico
di sintesi per la cui preparazione era necessario l’uso di un derivato
del mercurio. Gli scarichi a mare di questa industria comportavano anche
una leggera contaminazione da mercurio, che però era dell’ordine di
grandezza di 0,1 microgrammi per litro di acqua marina, ovvero una
concentrazione che, con le strumentazioni ben più sofisticate oggi
disponibili, si prova ancora difficoltà a determinare. Quale fu la
conseguenza di questa contaminazione apparentemente appena percettibile?
48 persone morirono in pochi giorni, 156 rimasero intossicati con gravi
conseguenze, i gatti dei pescatori, che si erano essi stessi cibati a
lungo degli avanzi di pesce, finirono “suicidi” a mare, assumendo un
comportamento del tutto inusuale per un felino.
Cosa era successo? Il mercurio presente
nelle acque del mare era stato assorbito e organicato dal fitoplancton,
poi successivamente si era trasferito da questo allo zooplancton, poi
ancora ai piccoli molluschi, successivamente ai pesci di taglia piccola
e media, seguendo sempre le linee di sviluppo della rete trofica in cui
lo stesso materiale contaminante, chimicamente indistruttibile, si
trasmetteva nel nuovo organismo ospite ad una concentrazione crescente
ed inversamente proporzionale al rapporto tra la taglia del predatore e
la massa di alimento predato nella propria vita.
Così si scoprì che nei pesci questo metallo
era arrivato alla concentrazione di 50 milligrammi per ogni kilogrammo,
cioè si era concentrato di ben 500.000 volte, ed ancora che in alcuni
pescatori colti dalla “sindrome di Minamata”, nei cui organismi si era
prodotto un ulteriore incremento di concentrazione, era stata
riscontrata una concentrazione che superava il mezzo grammo di mercurio
per ogni chilo di capelli.
Di fronte a questi eventi c’è da chiedersi
se progresso e sviluppo si debbano coniugare necessariamente con
inquinamento e sconvolgimento dell’ecosistema Terra. C’è da chiedersi se
tali disastri siano da attribuire alla cattiva educazione degli uomini o
se siano da attribuire ad altro.
Riccardo D'Apruzzo |
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