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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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I cambiamenti climatici

 I prodromi della catastrofe

 

di Riccardo D'Apruzzo

L’impatto dell’uomo sull’ambiente naturale,  si è rivelato nei secoli sconvolgente; in particolare con l’avvento della rivoluzione industriale l’uomo ha ampliato a dismisura il cosiddetto ecumene, ovvero quell’ambiente “umanizzato” che è diventato spazio a sua disposizione.

Con la seconda metà del XVIII secolo i mezzi tecnici a disposizione per intervenire e addomesticare ambienti “ostili”, diventano più sofisticati e l’urbanizzazione comincia a crescere con ritmi rapidissimi, segnando l’inizio del processo di inquinamento, processo che si protrarrà a lungo.

Queste osservazioni potrebbero condurre, ad un frettoloso giudizio, fortemente negativo, sull’impatto ambientale della rivoluzione industriale ed alla criminalizzazione dell’industria nei suoi rapporti con l’ambiente; in realtà, benché sia difficile contestare che il rapporto tra impresa ed ambiente sia stato sempre complicato, bisognerebbe sottolineare che nel comportamento sostanzialmente inquinante dell’industria non vi è nulla di ineluttabile, immanente ed inevitabile. Piuttosto è più corretto affermare che non è l’industria ad essere necessariamente inquinante, bensì modi di produzione suggeriti dal desiderio di realizzare il massimo profitto nel minor tempo possibile.

Già nel secolo scorso lo strapotere dell’industria veniva osservato con attenzione e preoccupazione da molti scrittori, poeti ed artisti europei i quali, “di fronte alla incalzante industrializzazione dei maggiori paesi dell’Europa occidentale, all’arricchimento di una borghesia avida e speculatrice, all’inquinamento ed al degrado civile di città e di periferie industrializzate, reagirono con inquietudine e rabbia” (Lucio Villari, 1989).

Oggi tutti questi aspetti vengono in parte trascurati per dare maggiore risalto alle “magnifiche e progressive sorti” che certamente ha portato la rivoluzione industriale. Se questo è vero, è altrettanto sicuro che essa ha provocato un impatto brusco ed evidente sull’ambiente in termini di occupazione del suolo, di inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo e dell’udito, di produzione di rifiuti, spesso anche tossici e nocivi. In pratica agli effetti positivi se ne aggiungono altri, decisamente negativi.

Pertanto il problema non risiede tanto nell’industria come entità astratta o nella rivoluzione industriale che l’ha prodotta, ma va più correttamente ricercato nei metodi di produzione i quali, pur potendo essere, specialmente oggi, più “puliti” e rispettosi dell’ambiente, continuano ad avere su quest’ultimo un impatto negativo perché produrre “sporco” costa meno e fa realizzare maggiori profitti.

Molti infatti sono stati i cambiamenti, talvolta irreversibili, indotti dalle attività industriali che hanno determinato danni ed impoverimento dell’ecosistema; ad esempio, il mancato controllo delle emissioni industriali ha determinato gravi perturbazioni nell’atmosfera, nella stratosfera e nei bacini idrici. In particolare, per quanto riguarda l’atmosfera, la crescita della concentrazione di anidride carbonica, è ritenuta la principale responsabile dell’effetto serra , ossia il riscaldamento della stessa (global warming  ); basti pensare che dal 1950 ad oggi, le emissioni di CO2 si sono quasi quadruplicate ; d’altro canto la produzione di ingenti quantità di ossidi di zolfo e di azoto (che in presenza di vapore d’acqua e per effetto della radiazione solare si trasformano in acido solforico ed acido nitrico) ha prodotto il fenomeno delle cosiddette piogge acide che ricadono al suolo producendo enormi danni a quest’ultimo ed alla vegetazione.

 

L’effetto serra

L’effetto serra è una di quelle cose di cui tutti parlano ma non sempre con cognizione di causa. Cominciamo dunque col dire che l’effetto serra è un fenomeno del tutto benefico per la vita sulla terra - almeno per il tipo di vita che conosciamo - nella misura in cui permette che sulla superficie del nostro pianeta vi sia una temperatura media (sulle quattro stagioni e alle varie latitudini) di circa +15°C piuttosto che di -17°C, temperatura prevista in assenza di effetto serra. C’è da immaginarsi cosa sarebbe un mondo permanentemente sotto gli 0°C, con mari ghiacciati, fiumi ghiacciati … Ma a cosa dobbiamo questo surplus di ben 32°C di temperatura? All’effetto serra, ovvero al fatto che mentre la luce del sole attraversa gli strati bassi dell’aria senza essere assorbita (il sole non riscalda l’aria!), la radiazione che emana dalla terra (così come da qualunque altro corpo celeste), essendo costituita essenzialmente di radiazioni infrarosse, viene intercettata e assorbita abbondantemente da alcune componenti dell’aria come l’anidride carbonica, il vapor d’acqua, il metano ed altri composti di sintesi come i CFC (clorofluorocarburi).

Ciò fa sì che il bilancio termico della terra usufruisca di questo calore trattenuto dagli strati bassi dell’atmosfera incrementando la temperatura della propria superficie del valore citato. Il problema dunque non sta nell’effetto serra in quanto tale, quanto nel fatto che, con lo sviluppo della società industriale, sono state immesse in atmosfera molte sostanze “ad effetto serra” facendone aumentare sensibilmente la concentrazione e incrementando di conseguenza lo stesso effetto serra.

Ad esempio è stato dimostrato, attraverso studi condotti sull’aria intrappolata in carote di ghiaccio estratte dalle calotte polari e risalenti fino a 650.000 anni fa, che la concentrazione di anidride carbonica attuale, di 380 parti per milione (ppm), è la più elevata in tutto questo periodo e forse addirittura degli ultimi 20 milioni di anni. Ancora che le temperature registrate durante il 20° secolo risultano essere le più elevate degli ultimi 20.000 anni. Il ricorso forsennato ai combustibili fossili come fonte di energia e la crescente deforestazione della superficie terrestre hanno compromesso, a partire dall’era industriale, l’equilibrio naturale dell’anidride carbonica dell’atmosfera, che si basa da un lato sulla sua liberazione in atmosfera attraverso la combustione e la degradazione di materiali organici, dall’altro sulla cattura dall’atmosfera della stessa anidride carbonica attraverso il processo di fotosintesi per trasformarla in zucchero e dunque in materiali organici complessi. Lo squilibrio tra liberazione (combustione) e cattura (fotosintesi) della CO2 è alla base dell’attuale effetto serra.

Di problemi ambientali ormai si parla sempre più frequentemente, non fosse altro per il fatto che sono nati addirittura dei partiti nei vari paesi del mondo che hanno fatto della questione ambientale la loro bandiera.   Addirittura, per sottolineare la non più derogabilità del problema ambientale si è insignito del premio  Nobel per la Pace l'ex vice presidente Usa, Al Gore, Il riconoscimento gli è stato assegnato per gli sforzi nel «creare e diffondere una maggiore consapevolezza sugli effetti dell'azione umana sui cambiamenti climatici e per aver gettato le fondamenta delle misure necessarie per contrastare tali cambiamenti». Al Gore ha girato il film-documentario "Una scomoda verità" sul riscaldamento terrestre. I rapporti periodici diffusi dal Comitato intergovernativo sono alla base di accordi mondiali quali la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e il protocollo di Kyoto che la attua. 

L'ex vice-presidente Usa, Al Gore, tra l'altro, sarà ricordato come il primo (e finora unico) Premio Nobel che ha vinto anche un Oscar. Il suo film è stato premiato nel 2006 come migliore documentario dell'anno. «Il suo forte impegno - recita la motivazione del premio - testimoniato dall'attività politica, le conferenze, i film e i libri, ha rafforzato la lotta ai cambiamenti climatici; è probabilmente il singolo individuo che più ha fatto per creare una maggiore comprensione in tutto il mondo delle iniziative che devono essere adottate».

Al Gore: il cambiamento climatico è un problema morale, non politico. «Siamo di fronte a un'emergenza davvero planetaria: la crisi climatica non è una questione politica, è una sfida morale e spirituale per tutta l'umanità».

Si potrebbero riempire interi volumi di catastrofi provocate dalla stupidità e dall’avidità umana prendo a esempio quello che accadde nel 1953 nella baia di Minamata, in Giappone, dove viveva una povera comunità di pescatori che si alimentavano essenzialmente del pesce da loro stessi pescato.

Nelle prossimità di quella baia esisteva un insediamento industriale che produceva acetaldeide, un composto chimico di sintesi per la cui preparazione era necessario l’uso di un derivato del mercurio. Gli scarichi a mare di questa industria comportavano anche una leggera contaminazione da mercurio, che però era dell’ordine di grandezza di 0,1 microgrammi per litro di acqua marina, ovvero una concentrazione che, con le strumentazioni ben più sofisticate oggi disponibili, si prova ancora difficoltà a determinare. Quale fu la conseguenza di questa contaminazione apparentemente appena percettibile? 48 persone morirono in pochi giorni, 156 rimasero intossicati con gravi conseguenze, i gatti dei pescatori, che si erano essi stessi cibati a lungo degli avanzi di pesce, finirono “suicidi” a mare, assumendo un comportamento del tutto inusuale per un felino.

Cosa era successo? Il mercurio presente nelle acque del mare era stato assorbito e organicato dal fitoplancton, poi successivamente si era trasferito da questo allo zooplancton, poi ancora ai piccoli molluschi, successivamente ai pesci di taglia piccola e media, seguendo sempre le linee di sviluppo della rete trofica in cui lo stesso materiale contaminante, chimicamente indistruttibile, si trasmetteva nel nuovo organismo ospite ad una concentrazione crescente ed inversamente proporzionale al rapporto tra la taglia del predatore e la massa di alimento predato nella propria vita.

Così si scoprì che nei pesci questo metallo era arrivato alla concentrazione di 50 milligrammi per ogni kilogrammo, cioè si era concentrato di ben 500.000 volte, ed ancora che in alcuni pescatori colti dalla “sindrome di Minamata”, nei cui organismi si era prodotto un ulteriore incremento di concentrazione, era stata riscontrata una concentrazione che superava il mezzo grammo di mercurio per ogni chilo di capelli.

Di fronte a questi eventi  c’è da chiedersi se progresso e sviluppo si debbano coniugare necessariamente con inquinamento e sconvolgimento dell’ecosistema Terra. C’è da chiedersi se tali disastri siano da attribuire alla cattiva educazione degli uomini o se siano da attribuire ad altro.

Riccardo D'Apruzzo

 
 

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