Cambiamenti Climatici e Paesi in via di sviluppo
di
Ambra Rufini
“La
crescita economica aveva promesso di creare abbondanza. Aveva promesso
di eliminare la povertà. Invece causando la distruzione dei mezzi di
sussistenza e dei sistemi che sostengono la vita, nel Terzo Mondo la
crescita stessa diventa fonte di povertà e di scarsità”
(Vandana Shiva).
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“L’uomo,
preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di
crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della
terra e la sua stessa vita.
Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente
naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro
tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo
senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si
svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da
parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra,
assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse
una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che
l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire”
(Papa Giovanni Paolo II, Enciclica Centesimus Annus).
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Cambiamenti Climatici responsabili e vittime
Quando si parla di
cambiamenti climatici i media hanno sempre dato informazioni
allarmistiche e contraddittorie senza approfondirne le cause,
soffermandosi, invece, sugli elementi più spettacolari di questi eventi
sempre più ricorrenti. La “cattiva” informazione ha provocato un senso
di impotenza collettiva nei confronti di tali manifestazioni, partendo
dalla considerazione di non essere in grado di agire per affrontare i
disastri.
Lo sconvolgimento che
sta subendo la natura viene visto come qualcosa che, non dipendendo
dalla nostra volontà, non ci riguarda.
Eppure nulla è più
globale del clima e nessuno può salvarsi dagli eventi estremi che può
causare.
Le conseguenze peggiori
le pagano per la maggior parte alcune zone del mondo, i paesi più
vulnerabili. Ormai, soprattutto tra i paesi del sud, frane, alluvioni e
siccità diventano sempre più frequenti ed hanno come conseguenza
carestie e epidemie che spesso costringono ad abbandonare le terre.
In molti paesi
l'agricoltura resta ancora il mezzo di sostentamento principale e questa
attività dipende strettamente dalle condizioni atmosferiche. Per queste
900 milioni di persone, che basano la loro esistenza sui prodotti di
origine naturale, soffrono ancora di più l'impatto di questi mutamenti,
che rendono le terre incoltivabili.
Sappiamo bene che il
modello di sviluppo economico occidentale sta imponendo livelli di
sfruttamento delle risorse naturali e di inquinamento atmosferico che
mettono a rischio la sopravvivenza del nostro pianeta.
La globalizzazione mette
lo sviluppo economico non più nelle mani dei governi, ma bensì in quelle
delle grandi società multinazionali, le quali si sottraggono alle regole
nazionali impiantando le attività produttive nei paesi in via di
sviluppo ed esportando poi i prodotti da assemblare.
Così facendo questi
paesi sono costretti ad abbandonare l'economia locale per produrre merci
da esportare, rendendo sempre più difficile, per i singoli governi,
adottare leggi in grado di proteggere l'ambiente, soprattutto se si
tiene in considerazione che la maggiore fonte di inquinamento
atmosferico è rappresentata proprio dalle emissionidi anidride carbonica
legate ai trasporti.
Oltre due terzi dei gas
serra prodotti nel mondo derivano dal trasporto militare(The Ecologist
2003), anche se uno dei motivi principali dell’ intensificazione dei
trasporti è lo stile di vita dei consumatori occidentali che, abituati
ad acquistare merci fresche, provenienti da ogni parte del mondo,
impongono una pressione insostenibile.
Politici, scienziati e
liberi cittadini del Sud del mondo pongono l'attenzione, con le loro
proteste, su un modello di sviluppo imposto dall'esterno e che non fa
altro che creare inquinamento, povertà e distruzione ecologica. Questi
paesi prendono coscienza di venire sfruttati anche dopo la proclamazione
della loro indipendenza, depredati delle loro risorse per alimentare lo
sviluppo occidentale.
Proprio la convinzione
che lo sviluppo sia legato solo alla crescita economica impedisce di
tenere in considerazione le limitazione che la natura impone a questo
tipo di sfruttamento eccessivo ed inconsiderato che rischia di ridurre
la capacità di sopravvivenza del nostro Pianeta.
Il
risveglio della consapevolezza e l'impegno della società civile
Fin dall'inizio del
secolo, con Arrhenius, la comunità scientifica ha tentato di mettere in
guardia sulle conseguenze che l'emissione di anidride carbonica avrebbe
avuto sul riscaldamento del pianeta. In ogni caso, una reale attenzione
all'ambiente, anche da parte della gente comune, è iniziata a sorgere
solo a partire dagli anni '60; ma fino agli gli anni '80 non c’è stata
una vera presa di coscienza da parte dell’uomo della relazione tra
immissioni di gas serra e accelerazione dei cambiamenti climatici.
In questo contesto, dove
da più parti vengono lanciati segnali d'allarme, si sviluppa il concetto
di “sviluppo sostenibile”,una forma di sviluppo che soddisfi le
generazioni presenti senza pregiudicare la vita delle generazioni
future, poichè tutti gli esseri umani hanno diritto a disporre di un
ambiente vivibile.
Nel '92, al Summit
sull'Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro vennero
stabiliti i principi basilari per tutelare questo diritto:
·
principio di responsabilità comune ma differenziata:
viene stabilito che la tutela dell'ambiente è responsabilità della
comunità internazionale, ma il livello di impegno richiesto a ciascun
singolo paese è stabilito in base al coinvolgimento che esso a
nell'originare il degrado ambientale. Bisognerebbe infatti distinguere
anche tra le emissioni “di lusso” dei ricchi e le emissioni “di
sopravvivenza” dei poveri.
·
Principio di “chi inquina paga”:
il responsabile di un
determinato danno deve provvedere al risarcimento ed al ripristino della
situazione precedente.
·
Principio di precauzione:
è necessario prevedere e
prevenire i fenomeni che potrebbero manifestarsi in futuro.
I paesi in via di
sviluppo, schiacciati dal Debito, si vedono costretti ad attuare taglia
alla spesa pubblica, a svendere le proprie risorse naturali, applicando
le monocolture, con conseguenti danni all'ambiente ed alla società
civile.
Essi proporrebbero, in
base ai principi stabiliti a Rio, che non si parli più di debito del Sud
verso i paesi industrializzati, ma bensì del debito ecologico
accumulato dai Paesi Sviluppati, che abusano di biosfera ed atmosfera,
trasgredendo i limiti ecologici e sovrasfruttando le risorse.
Il loro diritto di
parola nasce soprattutto dal fatto che proprio loro subiscono i peggiori
effetti dei mutamenti climatici pur essendo i meno responsabili.
L'avanzata dei deserti, l'intensificazione di alluvioni ed inondazioni,
l'incremento di malattie come la Malaria colpiscono con maggior violenza
il sud del mondo rendendo le condizioni di vita sempre più precarie.
L'impossibilità della terra di mettersi in salvo e la necessità di uno
sviluppo sostenibile
La teoria di Gaia, di
James Lovelock ci ha insegnato che la Terra funziona come un unico
organismo, in grado di riportare l'equilibrio, tramite l'azione
combinata dei suoi elementi viventi e non, ogni volta che esso viene
compromesso. Ad esempio le biomasse oceaniche e terrestri sono in grado
di assorbire 13/14 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, il che
permetterebbe a ciascun abitante della terra di emettere 2,8 tonnellate
di CO2 l'anno. Per rendere meglio l’idea, un cittadino statunitense ne
emette in media 20 tonnellate contro le 1,8 tonnellate di un brasiliano.
In passato la vita sulla
terra è stata in grado di adattarsi a significativi cambiamenti come
aumenti di temperatura, ma questi processi sono molto lenti e richiedono
tempo.
Dopo l'ultima
glaciazione infatti la temperatura è aumentata di 5 gradi, ma questo
cambiamento è avvenuto nel giro di qualche millennio.
L'aumento che stiamo
attualmente apportando, 5 gradi in un unico secolo, è invece troppo
rapido e costituisce una vera e propria catastrofe climatica che sta
creando un fortissimo dissesto geologico ed ecologico. Difficilmente in
questo caso il nostro Pianeta riuscirà ad evolversi verso un nuovo
equilibrio.
È necessario quindi che
il settore produttivo ed economico si sottometta al rispetto della
natura, applicando modelli di sviluppo che le consentano il tempo di
rigenerarsi.
I paesi industrializzati
devono prendere una serie di misure per rendere più efficiente il
consumo di energia e ridurre l'utilizzo di combustibili fossili; ad
esempio con l’acquisto di merci di stagione prodotte localmente si
risparmierebbero un sesto del petrolio utilizzato nel commercio. La
miglior soluzione si otterrebbe utilizzando le molte tecnologie già
sviluppate che permetto l'utilizzo di energie pulite e rinnovabili.
In conclusione è
d'obbligo ristabilire il principio di sufficienza per sancire
quale livello di sviluppo e quali stili di vita siano adeguati per
assicurarci una buona qualità di vita senza distruggere gli equilibri
ambientali e sociali.
(sett. 2012)
Ambra Rufini |