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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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Cambiamenti Climatici e Paesi in via di sviluppo

 di Ambra Rufini

 

La crescita economica aveva promesso di creare abbondanza. Aveva promesso di eliminare la povertà. Invece causando la distruzione dei mezzi di sussistenza e dei sistemi che sostengono la vita, nel Terzo Mondo la crescita stessa diventa fonte di povertà e di scarsità (Vandana Shiva).

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L’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita.

Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire”

(Papa Giovanni Paolo II, Enciclica Centesimus Annus).

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Cambiamenti Climatici responsabili e vittime

Quando si parla di cambiamenti climatici i media hanno sempre dato informazioni allarmistiche e contraddittorie senza approfondirne le cause, soffermandosi, invece, sugli elementi più spettacolari di questi eventi sempre più ricorrenti. La “cattiva” informazione ha provocato un senso di impotenza collettiva nei confronti di tali manifestazioni, partendo dalla considerazione di non essere in grado di agire per affrontare i disastri.

Lo sconvolgimento che sta subendo la natura viene visto come qualcosa che, non dipendendo dalla nostra volontà, non ci riguarda.

Eppure nulla è più globale del clima e nessuno può salvarsi dagli eventi estremi che può causare.

Le conseguenze peggiori le pagano per la maggior parte alcune zone del mondo, i paesi più vulnerabili. Ormai, soprattutto tra i paesi del sud, frane, alluvioni e siccità diventano sempre più frequenti ed hanno come conseguenza carestie e epidemie che spesso costringono ad abbandonare le terre.

In molti paesi l'agricoltura resta ancora il mezzo di sostentamento principale e questa attività dipende strettamente dalle condizioni atmosferiche. Per queste 900 milioni di persone, che basano la loro esistenza sui prodotti di origine naturale, soffrono ancora di più l'impatto di questi mutamenti, che rendono le terre incoltivabili.

 

Sappiamo bene che il modello di sviluppo economico occidentale sta imponendo livelli di sfruttamento delle risorse naturali e  di inquinamento atmosferico che mettono a rischio la sopravvivenza del nostro pianeta.

La globalizzazione mette lo sviluppo economico non più nelle mani dei governi, ma bensì in quelle delle grandi società multinazionali, le quali si sottraggono alle regole nazionali impiantando le attività produttive nei paesi in via di sviluppo ed esportando poi i prodotti da assemblare.

Così facendo questi paesi sono costretti ad abbandonare l'economia locale per produrre merci da esportare, rendendo sempre più difficile, per i singoli governi, adottare  leggi in grado di proteggere l'ambiente, soprattutto se si tiene in considerazione che la maggiore fonte di inquinamento atmosferico è rappresentata proprio dalle emissionidi anidride carbonica legate ai trasporti.

Oltre due terzi dei gas serra prodotti nel mondo derivano dal trasporto militare(The Ecologist 2003), anche se uno dei motivi principali dell’ intensificazione dei trasporti è lo stile di vita dei consumatori occidentali che, abituati ad acquistare merci fresche, provenienti da ogni parte del mondo, impongono una pressione insostenibile.

Politici, scienziati e liberi cittadini del Sud del mondo pongono l'attenzione, con le loro proteste, su un modello di sviluppo imposto dall'esterno e che non fa altro che creare inquinamento, povertà e distruzione ecologica. Questi paesi prendono coscienza di venire sfruttati anche dopo la proclamazione della loro indipendenza, depredati delle loro risorse per alimentare lo sviluppo occidentale.

Proprio la convinzione che lo sviluppo sia legato solo alla crescita economica impedisce di tenere in considerazione le limitazione che la natura impone a questo tipo di sfruttamento eccessivo ed inconsiderato che rischia di ridurre la capacità di sopravvivenza del nostro Pianeta.

 

Il risveglio della consapevolezza e l'impegno della società civile

Fin dall'inizio del secolo, con Arrhenius, la comunità scientifica ha tentato di mettere in guardia sulle conseguenze che l'emissione di anidride carbonica avrebbe avuto sul riscaldamento del pianeta. In ogni caso, una reale attenzione all'ambiente, anche da parte della gente comune,  è iniziata a sorgere solo a partire dagli anni '60; ma fino agli gli anni '80 non c’è stata una vera presa di coscienza da parte dell’uomo della relazione tra immissioni di gas serra e accelerazione dei cambiamenti climatici.

In questo contesto, dove da più parti vengono lanciati segnali d'allarme, si sviluppa il concetto di “sviluppo sostenibile”,una forma di sviluppo che soddisfi le generazioni presenti senza pregiudicare la vita delle generazioni future, poichè tutti gli esseri umani hanno diritto a disporre di un ambiente vivibile.

 

Nel '92, al Summit sull'Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro vennero stabiliti i principi basilari per tutelare questo diritto:

 

·        principio di responsabilità comune ma differenziata: viene stabilito che la tutela dell'ambiente è responsabilità della comunità internazionale, ma il livello di impegno richiesto a ciascun singolo paese è stabilito in base al coinvolgimento che esso a nell'originare il degrado ambientale. Bisognerebbe infatti distinguere anche tra le emissioni “di lusso” dei ricchi e le emissioni “di sopravvivenza” dei poveri.

 

·        Principio di “chi inquina paga”: il responsabile di un determinato danno deve provvedere al risarcimento ed al ripristino della situazione precedente.

 

·        Principio di precauzione: è necessario prevedere e prevenire i fenomeni che potrebbero manifestarsi in futuro.

 

I paesi in via di sviluppo, schiacciati dal Debito, si vedono costretti ad attuare taglia alla spesa pubblica, a svendere le proprie risorse naturali, applicando le monocolture, con conseguenti danni all'ambiente ed alla società civile.

Essi proporrebbero, in base ai principi stabiliti a Rio, che non si parli più di debito del Sud verso i paesi industrializzati,  ma bensì del debito ecologico accumulato dai Paesi Sviluppati, che abusano di biosfera ed atmosfera, trasgredendo i limiti ecologici e sovrasfruttando le risorse.

 

Il loro diritto di parola nasce soprattutto dal fatto che proprio loro subiscono i peggiori effetti dei mutamenti climatici pur essendo i meno responsabili. L'avanzata dei deserti, l'intensificazione di alluvioni ed inondazioni, l'incremento di malattie come la Malaria colpiscono con maggior violenza il sud del mondo rendendo le condizioni di vita sempre più precarie.

 

L'impossibilità della terra di mettersi in salvo e la necessità di uno sviluppo sostenibile

La teoria di Gaia, di James Lovelock ci ha insegnato che la Terra funziona come un unico organismo, in grado di riportare l'equilibrio, tramite l'azione combinata dei suoi elementi viventi e non, ogni volta che esso viene compromesso. Ad esempio le biomasse oceaniche e terrestri sono in grado di assorbire 13/14 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, il che permetterebbe a ciascun abitante della terra di emettere 2,8 tonnellate di CO2 l'anno. Per rendere meglio l’idea, un cittadino statunitense ne emette in media 20 tonnellate contro le 1,8 tonnellate di un brasiliano.

 

In passato la vita sulla terra è stata in grado di adattarsi a significativi cambiamenti come aumenti di temperatura, ma questi processi sono molto lenti e richiedono tempo.

Dopo l'ultima glaciazione infatti la temperatura è aumentata di 5 gradi, ma questo cambiamento è avvenuto nel giro di qualche millennio.

L'aumento che stiamo attualmente apportando, 5 gradi in un unico secolo, è invece troppo rapido e costituisce una vera e propria catastrofe climatica che sta creando un fortissimo dissesto geologico ed ecologico. Difficilmente in questo caso il nostro Pianeta riuscirà ad evolversi verso un nuovo equilibrio.

 

È necessario quindi che il settore produttivo ed economico si sottometta al rispetto della natura, applicando modelli di sviluppo che le consentano il tempo di rigenerarsi.

 

I paesi industrializzati devono prendere una serie di misure per rendere più efficiente il consumo di energia e ridurre l'utilizzo di combustibili fossili; ad esempio con l’acquisto di merci di stagione prodotte localmente si risparmierebbero un sesto del petrolio utilizzato nel commercio. La miglior soluzione si otterrebbe utilizzando le molte tecnologie già sviluppate che permetto l'utilizzo di energie pulite e rinnovabili.

 

In conclusione è d'obbligo ristabilire il principio di sufficienza per sancire quale livello di sviluppo e quali stili di vita siano adeguati per assicurarci una buona qualità di vita senza distruggere gli equilibri ambientali e sociali.

(sett. 2012)

 

Ambra Rufini

 


 

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