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La classe 250 va in pensione: una storia italiana

 di Stefania Salemme

 

Era il 1949 e gli echi della guerra si percepivano ancora, in tutta Europa.

A far ritornare la voglia di fare sport ci pensa la neonata classe motociclistica 250 con ben quattro gare: la Tourist Trophy, GP di Svizzera, GP di Ulster e Nazioni  a Monza.

Il primo campione di questa categoria è Bruno Ruffo su Moto Guzzi, che vince sul circuito di Berna.

La  prima stagione della classe 250 sembra essere nata apposta per le case motociclistiche italiane,infatti trionfano la Guzzi e la Benelli.

E sarà proprio la casa Benelli che l’anno successivo si aggiudicherà il motomondiale  distanziando con incredibile maestria ben quattro moto Guzzi.

Ambrosini, pilota della Benelli viene consacrato campione assoluto riuscendo a sorprendere tutti con la vittoria al TT, considerato dagli altri piloti un traguardo difficilmente raggiungibile.

Ma la competizione tra le due case di produzione più importanti d'Italia sembra non avere fine, poiché nel 1951 a trionfare è la Moto Guzzi, ancora una volta con Bruno Ruffo, poi è la volta di Enrico Lorenzetti che guida una Guzzi a cilindro orizzontale, dettaglio che segna il definitivo passaggio dalla strada alle corse.

Negli anni successivi si corre anche in Germania ed a vincere è la NSU una bicilindrica con telaio più leggero capace di sfruttare una tecnologia molto più avanzata, che mette ko le rivali italiane.

Nel 1954 le moto italiane non hanno grande successo e l’unico pilota in grado di fare una buona competizione è l’anglosassone Wheleer, che a fine stagione ottiene il quarto posto.

Poco tempo dopo un’altra casa motociclistica italiana decide di entrare nelle competizioni della 250: la MV Agusta.

Nel 1956 la MV vince il motomondiale ottenendo il primo e secondo posto rispettivamente con Carlo Ubbiali e Luigi Taveri.

Il 1957 vede invece la consacrazione della Mondial, che realizza una moto dalla carena completamente integrale.

L’anno successivo a vincere è ancora la MV con Tarquinio Provini, capace di avere un assetto speciale sulla moto, riuscendo ad equilibrare perfettamente baricentro e dorso  della moto in modo da sfruttare al massimo l’aerodinamica.

Il 1959 è l’anno di Ubbiali sempre su MV,e l’anno dopo il pilota riesce a consacrarsi campione Monomarca.

Gli anni 60 segnano il dominio incontrastato delle moto giapponesi , tanto che Honda e Yamaha ingaggiano un’aspra lotta per il podio più alto.

Nel 1969 c’è solo una breve parentesi italiana con la Benelli, che però non avrà un seguito soddisfacente.

Nel frattempo la Yamaha, riesce ad imporsi nei mercati di tutto il mondo grazie ad una raffinata tecnologia  nell’assemblaggio dei componenti meccanici.

In questi anni emerge una grande stella del motociclismo, che in sella alla sua moto compie vere e proprie acrobazie: Jarno Saarineen, spentosi prematuramente in un incidente che ha visto anche la morte del pilota italiano Renzo Pasolini.

Nel 1977 a torna a vincere le competizioni un pilota italiano: si tratta di Mario Lega che guida una moto prodotta dalla casa Morbidelli.

Con la prepotenza degna di una grande casa di produzione, si affaccia alla classe 250 la Kawasaki, che in poco tempo riesce a spiazzare tutte le rivali senza troppa difficoltà

Negli anni 80 molti piloti italiani tentano di raggiungere il podio e  tra questi è difficile dimenticare Luca Cadalora e Loris Reggiani , che continuano a stupire tutti anche nei primi anni 90.

Questi sono anche gli anni di un altro astro nascente del motociclismo Italiano: Max Biaggi, capace di consacrarsi campione dal 1994 al 1997.

Nel 1998, si affaccia per la prima volta alle competizioni un ragazzino di Tavullia dallo sguardo simpatico che poco piace a Max Biaggi: è Valentino Rossi, che si laureerà presto  come fantasista delle due ruote.

Il 2000 è l’anno che vede imporsi nomi come Marco Melandri su Aprilia, Manuel Poggiali  che vince in Sud Africa, ed un giovanissimo Marco Simoncelli.

Eccoci infine al 2009, anno in cui la 250 ha deciso di andare in pensione consacrando campione del mondo Marco Simoncelli e lasciando a tutti,appassionati e non, un pizzico di nostalgia.

 

Stefania Salemme

 

 


 

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