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Confronto tra dialettiche: Hegel, Marx, Kierkegaard

di Stefano Iunca (Set. 2012)

 

1.      La dialettica hegeliana implica l’opposizione analitica di due fattori che, attraverso il superamento delle contraddizioni interne a una delle 2 ‘ipotesi’ - quest’ultime potenzialmente risultanti dalla scrematura avvenuta all’interno di un campo indefinibile di ipotesi riguardanti un oggetto o un soggetto - dà origine nella sintesi ad un terzo fattore, l’ipotesi vincente rafforzata e arricchita dalla negazione dell’ipotesi ad essa opposta. In termini hegeliani all’affermazione di una tesi viene contrapposta una antitesi, che nega la tesi senza implicare però necessariamente che tale antitesi sia la contraddizione della tesi proposta.

Questa, poiché ancora non assolutamente certa, ma probabile, necessità di un’ulteriore indagione che avviene appunto nella contrapposizione ad una antitesi - quando noi siamo certi di qualcosa escludiamo spesso a priori qualsiasi tesi che a questa venga opposta, o quantomeno non la sottoponiamo ad ulteriori indagini – e quindi sarebbe più corretto definirla ‘ipotesi probabile’. A questa tesi, o ‘ipotesi probabile, o quantomeno possibile’, viene contrapposta una antitesi, che potrebbe essere altrettanto un’ ‘ipotesi probabile, o quantomeno possibile’…si entra così in un modo di dubitare che implica un’analisi.

Attraverso il superamento dialettico si arriva in Hegel ad una sintesi, che propone un nuovo elemento. La dialettica hegeliana non implica il principio di contraddizione aristotelico inteso come se antitesi e tesi fossero tra di loro contrari, poiché tesi e antitesi sono solo i termini di una ‘opposizione’, dei ‘diversi’. Anzi molto di più. Implica necessariamente quel ‘terzo escluso’ che si realizza nel nuovo elemento della sintesi. Come diceva Kant quando analizziamo non usciamo dal concetto, e in questa parte del metodo regnano il principio di non-contraddizione e quello del ‘terzo escluso’ così come un certo tipo di principo di identità; ma quando sintetizziamo usciamo dal concetto dando origine ad un nuovo concetto, e in questa seconda parte del metodo regna pur sempre il principio di non-contraddizione, assoluto e universale, con la novità di quello del  ‘terzo incluso’, dalla sintesi nella teoria, ossia della necessità di giungere, attraverso l’analisi dialettica tra una tesi e una antitesi contrapposte, a una nuova e più sicura verità. Inoltre il metodo sintetico implica un certo tipo di principo di identità diverso da quello presupposto dalla analisi.

2.      La dialettica di Marx, invece, rappresenta il ‘contrasto’ di due elementi tra di loro ‘contrari’ che non si annullano nella loro opposizione ‘violenta’, nella ‘lotta di classe’, ma che, attraverso il rovesciamento ‘rivoluzionario’ e la distruzione dell’antagonista, giungono a proclamare uno dei due contendenti vincitore. Si tratta di capire o affermare quale dei due elementi sia giusto e corretto, perchè sicuramente uno dei due lo è…uno è vero e l’altro falso, uno bianco e uno nero. Così avveniva precedentemente nella ‘dialettica’ di Zenone, quando un’ipotesi risultava affermata o confermata dalla confutazione della tesi ad essa contraria. Nella dialettica di Marx si presuppone di scegliere tra l’una o l’altra opzione, perché - così come sono le forze in gioco, in sé e per sé - queste sono sicuramente una vera ed una falsa, implicando così l’impossibilità di una terzo elemento a cui giungere attraverso il perfezionamento di una o l’altra ipotesi, ossia il principio del ‘terzo escluso’. Ci troviamo così di fronte ad un’Aut-Aut. [A-B=AoB]

3.      In Hegel, invece, tesi e antitesi non sono in bianco e nero. Certamente una delle due è più giusta e corretta dell’altra, ma non è perfettamente vera, anche se lo è maggiormente.

Attraverso il confronto dialettico, costruttivo a differenza di quello distruttivo marxista, l’ipotesi migliore, chiamiamola tesi, viene confermata ma corretta e migliorata da alcuni elementi presenti nella antitesi, la quale pur scartata in virtù dei suoi maggiori difetti, lascia comunque dietro di sé qualcosa di positivo, aiutando, seppur indirettamente, la tesi a crescere in verità e così a migliorarsi.

Si giunge pertanto ad una terza realtà costituita da ciò che c’è di buono nella tesi e da ciò che c’è di buono nell’antitesi [A + B = C], o quantomeno ad una terza ‘verità’ più vera della tesi perché costituita da quest’ultima epurata dei suoi difetti attraverso il confronto di un’antitesi possibile, anche se magari inferiore [A – B = C]. Non è detto però che la verità alla quale si giunga sia assoluta, perfetta, certa, anche se si dispone ora di un elemento migliore rispetto a quelli disponibili prima della sintesi, e ciò avviene soprattutto quando indaghiamo i ‘termini filosofici’, come libertà o saggezza, o verità parziali, possibili o probabili . Se il bianco è il ‘vero certo’ che cerchiamo e il nero il suo contrario, ossia falsità, la dialettica hegeliana non implica che tesi e antitesi siano una bianca e una nera…potrebbero essere entrambe più nere che bianche o viceversa, ossia esprimere i colori di quell’arcobaleno cha nasce dalla nera pioggia dell’ignoranza e della falsità e che conduce, chi segue il colorato e graduale percorso che traccia, al tesoro più grande, la bianca luce della saggezza e della verità.  La tesi e l’antitesi in Hegel  sono delle verità intermedie tra l’oggettività intesa come scienza, bianca ‘verità certa’, e la soggettività intesa come opinione, nera menzogna…possono rappresentare anche entrambe qualcosa di positivo, comunque in cerca di conferma e certezza, così come di perfezionamento, attraverso il superamento dialettico.

La sintesi risultante potrebbe non portare ancora a quella certezza auspicabile e necessaria, ma rappresentare a sua volta una verità ancora parziale, anche se meno della tesi e della antitesi, ossia una ‘verità più Vera’. La sintesi può diventare pertanto la tesi da perfezionare in una successiva indagine attraverso il superamento dialettico di una nuova antitesi, che porterà ad una nuova sintesi più giusta e corretta, anche se magari non ancora a quella ‘verità certa e perfetta’ che ricerchiamo, ma ancora ad una verità parziale e imperfetta (anche se meno della precedente), possibile o probabile (anche se più della precedente).

4.      Kierkegaard, nella sua teoria degli stadi della vita, propone, in contrapposizione ad Hegel, una visione dialettica simile a quella di Marx, nella quale lo stadio estetico entra in conflitto con quello etico, imponendo una scelta o a favore dell’uno o dell’altro stile di vita. Un vero e proprio Aut-Aut, un bianco e nero che finisce, però, come in Marx, per sfociare nell’errata caratterizzazione dei due termini dell’antitesi, come se si dovesse scegliere tra bene e male, tra bello e brutto, tra utile e dannoso, tra giusto ed ingiusto, presupponendo che uno di questi due elementi possegga le qualità positive e l’altro quelle negative.

Ma tale opzione di scelta apre una frattura insolubile tra il dionisiaco stadio estetico e l’apollineo etico, che troverà in Nietzsche l’esplicazione di tutta la sua problematicità e drammaticità. Senonchè subentra un terzo elemento a ‘complicare’ lo scenario, lo stadio della vita religiosa, che non può essere visto però, a mio avviso, come una terza opzione, che implicherebbe una sorte di Aut-Aut-Aut. Dovrebbe subentrare, a mio parere, il metodo della dialettica hegeliana che ho sopra esposto rivisitandolo.

Attraverso il confronto e il superamento dialettico delle due ipotesi di vita, quella estetica-soggettiva e quella etica-oggettiva, nessuna delle quali in sé e per sé buona o cattiva, bella o brutta, utile o dannosa, giusta o ingiusta, si giunge ad una sintesi hegeliana costituita dallo stadio della vita religiosa-assoluta. Quest’ultima ingloba in sè gli altri due stili di vita dando il giusto peso ad entrambi, in quanto facce di una stessa medaglia, che la vita religiosa considera nella sua totalità, tenendo conto di entrambe le facce.

L’unione di soggettivo ed oggettivo, l’assoluto, permette di equilibrare in un rapporto armonico le tendenze individuali e particolari, riguardanti il piacere dell’esteta, con  quelle sociali ed universali., riguardanti i doveri che noi abbiamo nei confronti del nostro prossimo e della vita.

L’assoluto tiene conto sia della felicità estetica ed esteriore sia della felicità etica ed interiore, dando luogo nella sintesi che rappresenta alla vera e propria felicità morale (Set.2012).

 

Stefano Iunca

 


 

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