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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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  • Patente a punti

  • Sinistri stradali. Responsabilità della P.A. nella custodia della strada

  • Autovelox: stato di necessità

  • Infrazioni al Codice della strada. Mancanza di contestazione immediata 
    di Lino Conte

La sentenza n. 27 del 24 gennaio 2005 della Corte Costituzionale, che ha stabilito l’illegittimità di una parte dell’ articolo 126-bis del codice della strada, ha suscitato nella stampa quotidiana un clamore, conducendo anche qualche “tecnico della materia” a conclusioni ingiustificate, come se l’intero sistema della “patente a punti” fosse in pericolo fino a toccare persino la possibilità di continuare ad elevare contravvenzioni senza “contestazione immediata” e conseguente identificazione “sul posto”.

In realtà, la sentenza ha inciso solo marginalmente sul regime generale della patente a punti né si è spinta oltre quello che era l’oggetto vero e proprio della controversia.

Il pronunciamento della Corte era stato sollecitato da undici ordinanze di Giudici di Pace, riunite in un unico giudizio, che complessivamente censuravano l’art. 126-bis principalmente per due aspetti:

1) la previsione, al comma 2, della detrazione di punti a carico del proprietario-persona fisica qualora questi, in mancanza di “contestazione immediata” della violazione e quindi di identificazione del conducente, non comunichi gli estremi anagrafici e della patente del conducente “reale” del veicolo qualora diverso da lui, nel termine di trenta giorni dalla notifica della violazione; tale conseguenza non si verifica invece, a carico eventualmente del rappresentante legale, nel caso in cui proprietario del veicolo sia una persona giuridica, applicandosi invece la sanzione pecuniaria di cui all’art. 180;

2) la determinazione stessa del termine di 30 giorni per fornire tali elementi identificativi, in contrasto con il termine di 60 giorni per il ricorso al GdP o al Prefetto, in quanto ciò (nell’opinione del Giudice rimettente) potrebbe portare all’irrogazione di una sanzione accessoria (la detrazione di punti) in mancanza di un giudicato sulla violazione che la determina.

Ma anche ulteriori aspetti erano stati posti, contestualmente, all’attenzione della Corte:

3) l’obbligo ex art. 204-bis di far precedere il ricorso al GdP dal versamento “cautelare” di una somma pari al doppio della sanzione minima, considerato preclusivo della tutela giurisdizionale;

4) l’entrata in vigore della disciplina della patente a punti ben prima che, con decreto ministeriale, fossero stabiliti i programmi e le modalità dei corsi per il recupero dei punti sottratti, rendendone impossibile la frequenza ai trasgressori sanzionati in quell’intervallo temporale;

5) la possibilità di irrogare sanzioni per violazioni alle norme sulla circolazione (compresa la sottrazione di punti dalla patente) senza “contestazione immediata”, considerata dal GdP rimettente quale ulteriore manifestazione di una violazione del diritto di difesa.

La Suprema Corte, ha provveduto innanzitutto a dipanare le questioni inammissibili o palesemente infondate. Ha ritenuto che l’esistenza di un intervallo tra l’entrata in vigore del regime della patente a punti (30 giugno 2003) e la pubblicazione sulla G.U. del DM di regolamentazione dei corsi di recupero (avvenuta il 6 agosto 2003) non poteva recare pregiudizio, poiché l’iscrizione ai corsi è comunque subordinata alla definizione del procedimento sanzionatorio, determinata o dal pagamento della sanzione o dall’inutile decorso del termine per ricorrere o dal giudicato sul ricorso; il momento della “definizione” sarebbe caduto quindi ben oltre l’intervallo lamentato. La motivazione del rigetto è un po’ ottimistica su un piano meramente fattuale, tenuto conto che i corsi di recupero furono effettivamente “disponibili sul mercato” vari mesi dopo la pubblicazione del DM, quando già per molti conducenti la procedura di cancellazione dei punti si era conclusa con provvedimento definitivo.

Più penetrante appare la seconda motivazione di rigetto, basata invece sulla considerazione che il ritardo imputabile alle autorità amministrative nel porre in atto gli adempimenti di una normativa non può tradursi in una ragione di illegittimità della normativa stessa. Si può dedurre, da tale ultima motivazione, che se il ricorrente intendeva lamentare danni (la cui consistenza sarebbe comunque da provare), derivanti dal ritardo nell’attuazione della normativa sul recupero dei punti, tale doglianza doveva essere rivolta (con gli ordinari strumenti giurisdizionali) nei confronti delle autorità amministrative responsabili di tale ritardo.

La Suprema Corte se ne è liberata semplicemente osservando che la deroga al principio di “contestazione immediata” è stata introdotta dall’art. 4, comma 4, del DL n. 151/2003 convertito con legge n. 214/2004, che però non costituiva oggetto del giudizio di legittimità richiesto dal rimettente.

Le conseguenze pratiche della sentenza possono sintetizzarsi in questo modo:

1) resta salva la possibilità di procedere alla contestazione dell’infrazione senza procedere all’ identificazione del conducente, nelle ipotesi previste dall’art. 4 del DL 121/2002, convertito con legge 168/2002, con invio del verbale al proprietario o agli obbligati in solido ai sensi dell’art. 196 del codice;

2) quando si tratti di violazione che implica detrazione di punti, il proprietario o l’obbligato in solido – siano essi persona fisica o persona giuridica - che non siano autori della violazione hanno davanti l’ alternativa o di comunicarne i dati anagrafici e quelli della patente oppure di assoggettarsi alla sanzione di cui all’art. 180, oltre a quella relativa alla violazione specifica; nel secondo caso, non vengono detratti punti.

(L.C.)


Sinistri stradali. Responsabilità della P.A. nella custodia della strada

Il problema dei sinistri stradali derivanti, soprattutto nella stagione invernale, da incuria della p.a. ed in particolare dei comuni che troppo spesso dimenticano l'obbligo di provvedere alla manutenzione continua delle sedi stradali costituisce spesso "insidia" e "trabocchetto" per l'automobilista soprattutto durante od a seguito di intensi e prolungati acquazzoni.

Sul comune e, per esso, sul funzionario o dirigente preposto, e quindi sul responsabile della manutenzione delle strade cittadine, anche nella fattispecie in cui l'ente abbia affidato il servizio di manutenzione a terzi incombe l'obbligo di custodia delle strade cittadine con la conseguenza che lo stesso ente, e quindi il funzionario o dirigente preposto è responsabile dei danni cagionati alle persone e cose.

Quanto sopra trae origine dall'art. 2051 c.c. che recita: “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

L’art. 2051 trova applicazione anche nell’ambito della manutenzione delle strade, in quanto grava, secondo l’impostazione giurisprudenziale più recente, sulla pubblica amministrazione l’obbligo di custodia, al fine di evitare che possano “formarsi” insidie e trabocchetti idonei a cagionare danni ai cittadini.

Secondo lo schema giuridico di tale articolo, è il danneggiante che deve provare l’eventuale caso fortuito per essere ritenuto non responsabile dell’eventuale danno, ribaltando lo schema probatorio classico  suggerito dall’art. 2043 c.c. dove è il danneggiato a dover dimostrare l’eventuale colpa del danneggiante.

La giurisprudenza più recente, quindi, ha ben individuato i limiti dell’applicabilità dell’art. 2051 c.c. alle strade.

In particolare, la Cassazione civile, sez. III, con sentenza 27 marzo 2007 n. 7403 ha ritenuto che il comune è obbligato a custodire le strade, con la conseguenza che è responsabile dei danni cagionati alle persone e cose.

La presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c. si applica per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, tra i quali le strade, tutte le volte in cui sia possibile, da parte dell’ente proprietario, la custodia intesa come potere di fatto o signoria sul bene medesimo. La nozione della custodia rappresenta dunque un elemento strutturale dell’illecito, che qualifica il potere dell’ente sul bene che esso amministra nell’interesse pubblico. I criteri di valutazione della custodia riguardano la estensione della strada, la dimensione, le dotazioni ed i sistemi di assistenza, di sicurezza, di segnalazioni di pericolo, generico e specifico, che sono funzionali alla sicurezza della circolazione ed in particolare dell’utente, persona fisica, che quotidianamente percorre quel tratto statale che, interessando il centro storico cittadino, particolarmente frequentato da pedoni e da veicoli, rientra nelle possibilità di controllo e di adeguato esercizio dei poteri di custodia e relativi provvedimenti cautelari, vuoi con la presenza di vigili, vuoi con la apposizione di segnali che evidenziano il pericolo generico di strada antica e sdrucciolevole per la presenza di fossati e dislivelli.

La responsabilità resta esclusa in presenza di caso fortuito, la cui prova grava sull’ente, per effetto della presunzione iuris tantum, ovvero se l’utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso tra la causa del danno e il danno stesso, potendosi eventualmente ritenere, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione della incidenza causale, la responsabilità della pubblica amministrazione, sempre che tale concorso sia stato dedotto e provato. In tal senso la Suprema Corte con la sentenza 22 aprile 2010 n. 9456 e sentenza 15.10.2010 n. 21328.

L’obbligo di custodia sussiste se vi è:

- il potere di controllare la cosa;

- il potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o che in essa si è determinata;

- il potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno.

Se invece anche il danneggiato ha avuto un ruolo causale nella determinazione dell’evento dannoso troverà applicazione l’art. 1227 c.c.

La Cassazione civile, sez. III, sentenza 23 febbraio 2005, n. 3745 già chiariva che la presunzione di responsabilità ex art. 2051 è applicabile nei confronti della P.A. per quelle categorie di beni che sono oggetto di utilizzo generale e diretto da parte di terzi perché in questi casi non è possibile un efficace controllo ed una continua vigilanza da parte della P.A. tale da impedire l'insorgere di cause di pericolo per i cittadini.

E’, peraltro, l’interpretazione data all’art. 2051 c.c. dalla Consulta, (Corte Costituzionale, sentenza del 10 maggio 1999, n. 156): “l'art. 2051 c.c., a norma del quale il proprietario di cose che abbiano cagionato danni a terzi è responsabile solo in quanto ne sia custode, non si applica alla p.a. nel caso in cui sul bene di sua proprietà, indipendentemente dal carattere demaniale, non sia possibile - per la notevole estensione e per le modalità di uso, diretto e generale, da parte di terzi, sulla scorta di indagini concrete del giudice - un continuo ed efficace controllo idoneo ad impedire l'insorgere di cause di pericolo per gli utenti.

Allo stato, l’interprete ha libertà di applicare l’art. 2051 c.c. nei confronti della P.A. utilizzando il criterio giurisprudenziale della “possibilità” del controllo alla stregua dei parametri di estensione e dimensione del bene demaniale oggetto della controversia.

Anche parte della giurisprudenza di merito aveva accolto tale ricostruzione. Il Tribunale di Monza con decisione del 24 maggio 2001, n. 1356 riteneva ammissibile l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. alla P.A. anche con riferimento ai beni demaniali, nei casi in cui il luogo in cui il danno si era verificato fosse di un'estensione tale da rendere possibile un effettivo controllo da parte della stessa e ciò anche per quanto concerne il demanio stradale.

Dalla proprietà del comune sulle strade poste all'interno dell'abitato discende per l'ente non solo l'obbligo della manutenzione, come stabilito dell'art. 5 del R.D. 15.11.1923 n. 2506 ma anche quello della custodia, con conseguente operatività nei confronti dell'ente stesso, della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c..

Non rileva, poi, la natura demaniale del bene: la responsabilità per i danni provocati da cose in custodia trova applicazione anche in relazione ai beni demaniali.

Il difetto costruttivo del piano stradale, consistente in un rilevante dislivello fra le lastre di copertura, è da ritenere causa strutturale, quindi fonte di responsabilità da cose in custodia, ove abbia in concreto creato inciampo e provocato la caduta di un passante (Cassazione civile 15042/2008). Con specifico riferimento alla verifica in concreto della possibilità di controllo sulla strada demaniale, è stato affermato che è necessario che la configurabilità della possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora, quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino all'interno della perimetrazione del centro abitato (Cassazione civile 23924/2007); nello stesso senso, è stato detto che in tema di responsabilità per danni da beni di proprietà della p.a., qualora non sia applicabile la disciplina di cui all’art. 2051 c.c., in quanto sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso di terzi, l’ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall’utente, pur sempre la regola generale dell’art. 2043 c.c. (Tribunale Napoli, sez. III civile, sentenza 27 maggio 2010, n. 6229). L’estensione della strada non giustifica, la mancanza di obbligo di controllo in capo al comune: in caso di danno cagionato da una buca, la natura pubblica della strada e l’estensione della stessa non escludono automaticamente l’applicazione della disciplina della responsabilità da cose in custodia nei confronti del Comune (Cassazione civile 11511/2008).

La Cassazione civile, sez. III, sentenza 30 luglio 2002, n. 11250 ha chiaramente affermato che sussiste la responsabilità della p.a. e dell'ente concessionario ex art. 2043 c.c. per i danni subiti dall'utente stradale allorché la insidia non sia visibile e prevedibile.

Il Tribunale di Brindisi, sentenza 3 novembre 2005 n. 1041, ha ritenuto che la buca stradale per giustificare un risarcimento del danno, ex art. 2043 c.c., deve rappresentare un pericolo occulto (definito anche insidia o trabocchetto), caratterizzato dalla coesistenza dell’elemento oggettivo della non visibilità e dell’elemento soggettivo della imprevedibilità. La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha natura oggettiva e la P.A. (custode) ne risponde ex art. 2051 cod. civ..

A ribadire questo importante principio è il Tribunale di Trani, in persona del giudice monocratico dr.ssa Patrizia Papa, con sentenza n. 1241/2008.

Tale decisione, che si allinea con la consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. 20427/2008, richiamata in motivazione), costituisce un ulteriore significativo punto di riferimento per gli operatori del diritto.

La p.a. non è responsabile ex sé, ma nella misura in cui, con la propria omissione sulle strade “controllabili” (perché non eccessivamente estese), abbia creato un pericolo per il cittadino. Sul punto la Cassazione civile, sez. III, con sentenza 19 luglio 2005, n. 15224 ha affermato che la non conformità dello stato di manutenzione della strada pubblica è fonte di responsabilità della p.a. solo se determina l'insorgere di una situazione di pericolo, con i caratteri propri dell'insidia. Parte della giurisprudenza di merito, come il Tribunale di Varese con sentenza n. 149/2005, ha affermato che la responsabilità della pubblica amministrazione proprietaria della strada o del concessionario della strada medesima può essere affermata solo quando il danno sia riconducibile ad una insidia, cioè ad un pericolo oggettivamente non prevedibile ed oggettivamente non visibile.

La Cassazione (n. 390/2008) ha individuato, in modo dettagliato, il riparto dell’onere probatorio, ritenendo applicabile al caso la struttura logica dell’art. 2043 c.c. e non quella dell’art. 2051 c.c. in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito civile, la parte danneggiata ha l’onere della prova, degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto, della imputabilità soggettiva.

L’ente pubblico (nella specie il comune) preposto alla sicurezza dei pedoni e detentore del dovere di vigilanza sulla sicurezza dei tombini che si trovano sui marciapiedi, ha l’onere di dimostrare alternativamente:

- il concorso di colpa del pedone

- la presenza di un caso fortuito che interrompe la causalità tra l’evento ed il comportamento colposamente omissivo dell’ente.

Il custode della cosa, al fine di liberarsi dalla presunzione di responsabilità posta a suo carico, ha l’onere di provare l’esistenza del caso fortuito, il quale deve consistere in un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, dal carattere imprevedibile ed eccezionale, che può concretizzarsi anche nel comportamento colposo del danneggiato, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa custodita e l’evento dannoso che si è verificato. L’accertamento della sussistenza del caso fortuito, non solo fa venir meno il nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso, ma, altresì, esclude la responsabilità ai sensi dell’articolo 2043 c.c. (Cassazione civile, sez. III, sentenza 28 ottobre 2009, n. 22807).

Sul caso fortuito, va comunque precisato che non configura caso fortuito un qualsiasi uso improprio o anomalo della cosa in custodia rispetto alla sua destinazione funzionale, in quanto nel caso in cui la condotta concorrente del terzo nell'evento non sia assolutamente imprevedibile a priori, continua a persistere il nesso di causalità con la cosa e la sua funzione, salva la limitazione del risarcimento del danno per gli effetti dell'art. 1227 c.c.., da valutare dal giudice di merito (Cassazione civile, sez. III, sentenza del 22 settembre 2009 n. 20415).

Dal punto di vista, poi, del comportamento del danneggiato è stato detto dalla III sezione della Cassazione, con la pronuncia n. 16527/2003 che il comportamento abnorme del danneggiato esclude l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., perché la cosa diviene mera occasione del danno e non causa, che è invece da rinvenire nel comportamento del danneggiato.

Nello stesso identico senso, di recente, si è espressa la Cassazione civile, sez. III, con sentenza del 2 febbraio 2010 n. 2360.

Diversamente, se il comportamento del danneggiato non è la causa del danno, ma concorre alla causazione del danno non si può escludere la responsabilità della P.A. (Cassazione 17152/2002).

Il committente (comune) non può essere esonerato da un controllo continuo sul bene pericoloso.

In tema di danno cagionato da cose in custodia per ultimo,la Cassazione civile, sez. III, con sentenza del 06.10.2010 n. 20757 ha ribadito che colui che intenda far valere la responsabilità contrattuale o extracontrattuale della Pubblica Amministrazione deve dimostrare che l'evento dannoso sia casualmente ricollegabile ad una insidia o trabocchetto, nascente da situazioni di fatto creatrici di un pericolo per l'utente della strada. Ha ricordato che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte quello secondo il quale colui che intende far valere una responsabilità contrattuale o extracontrattuale della Pubblica Amministrazione deve dimostrare che l'evento dannoso sia casualmente ricollegabile ad una insidia o trabocchetto, nascente da situazioni di fatto creatrici di un pericolo utente per l'utente della strada. In tema di danno cagionato da cose in custodia ha ribadito che è indispensabile, per l'affermazione di responsabilità del custode, che sia accertata la sussistenza di un nesso di causalità tra la cosa ed il danno patito dal terzo, dovendo, a tal fine, ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell'evento, nel senso che quest'ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e che l'antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da scie idonee a determinare l'evento. (Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168) 

(L.C.)


Autovelox: stato di necessità

L’esimente dello stato di necessità opera anche in relazione alle violazioni del Codice della Strada.

Lo ha deciso il Giudice di Pace di Prato con la sentenza del 06.02.2009.

Con detta sentenza il Giudice ha annullato un verbale concernente la violazione dell’art. 142 co. 8 C.d.S. accertata mediante autovelox.

La ricorrente deduceva di aver commesso l’infrazione poiché doveva recarsi alla più vicina farmacia per acquistare farmaci urgenti, prescritti dalla Guardia Medica, per la madre in crisi respiratoria. Il Giudice di Pace ha accolto il ricorso, ritenendo, in forza del richiamo del combinato disposto degli artt. 194 C.d.S. e 4 L. 689/81, operante la scriminante dello stato di necessità.

Pur non essendo provato che la madre della ricorrente fosse in quel momento soggetta ad un pericolo attuale di grave danno alla persona, la causa di giustificazione di cui all’art. 54 c.p. è stata valutata a favore della ricorrente ai sensi dell’art. 59 co. 4 c.p.. Per il Giudice è credibile che la ricorrente, stante la diagnosi del medico e la natura dei farmaci prescritti, abbia ritenuto di agire in stato di necessità.

(L.C.)


Infrazioni al Codice della strada. Mancanza di contestazione immediata 

Di recente, numerose sentenze della giurisprudenza sono tornate ad occuparsi dei meccanismi di contestazione al trasgressore del verbale di accertamento di infrazione al Codice della Strada, nonché della legittimità della sanzione comminata qualora la contestazione stessa non sia avvenuta secondo le forme e le modalità previste dalla legge.

La questione ruota intorno alla possibile violazione del diritto di difesa dell’automobilista, il quale sarebbe privato, in questi casi, della possibilità di giustificare immediatamente agli agenti accertatori la propria condotta di guida.

La contestazione immediata è la regola.

L’art. 200 comma 1 C.d.S. prevede espressamente che “La violazione, quando è possibile, deve essere immediatamente contestata”. Tale regola può essere derogata soltanto quando la violazione “non possa essere immediatamente contestata”. In questo caso, “il verbale, con gli estremi precisi e dettagliati della violazione e con la indicazione dei motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata” (art. 201 comma 1 C.d.S.)

Nell’ultimo periodo, la Corte di Cassazione ha individuato alcune ipotesi in cui la regola della contestazione immediata può essere derogata. Cassazione 19664/2007, per esempio, ha stabilito che “La contestazione immediata non è possibile laddove vi sia il rischio di intralciare il traffico dei mezzi pubblici”.

La regola della contestazione immediata, inoltre, conosce delle eccezioni, che sono espressamente previste dall’art. 201, comma 1-bis C.d.S.. Sul punto, la Corte di Cassazione ha di recente affermato che l’elenco delle ipotesi di eccezione ivi contemplate “non ha carattere tassativo ma esemplificativo, sicché ben possono ricorrere casi ulteriori in cui una tale impossibilità sia ugualmente ravvisabile purché la circostanza impeditiva addotta risulti dal verbale di accertamento ed abbia una sua intrinseca logica” (Cassazione 12865/2008).

Tra le ipotesi ivi elencate, in particolare, ha suscitato particolare attenzione in giurisprudenza l’ipotesi di cui alla lettera e), relativa all’ “accertamento della violazione per mezzo di appositi apparecchi di rilevamento”. Le perplessità in ordine alla legittimità Costituzionale di questa previsione, tuttavia, sono state definitivamente superate dalla Corte Costituzionale che, con ordinanza n. 155/07, ha di recente confermato che “Se la violazione al codice della strada viene accertata per mezzo di apparecchiature elettroniche non è necessaria la contestazione immediata”, in quanto “l’omissione della contestazione immediata di un’infrazione punita con una misura amministrativa non integra di per sé una violazione del diritto di difesa”.

L’accertamento in assenza degli organi accertatori vicino alla apparecchiature, pertanto, è legittima. Tale previsione, tuttavia, rappresenta un’eccezione al principio generale in base al quale la violazione deve, di regola, essere immediatamente contestata al trasgressore. In quanto eccezione, tale norma è di stretto diritto ed è destinata a trovare applicazione limitatamente alle ipotesi in cui le apparecchiature elettroniche di rilevamento vengano utilizzate conformemente alle previsioni legislative e regolamentari. In questo senso si è espressa la Suprema Corte che, in Cassazione 15348/2005, ha precisato che: “l'unico limite posto dal codice della strada e dal suo regolamento di esecuzione alla possibilità di utilizzare dispositivi operanti senza la presenza degli organi di polizia della strada per l'accertamento e il rilevamento automatico delle violazioni alle norme di circolazione, ivi compresi i dispositivi per il rilevamento della velocità, è rappresentato dalla necessità che tali dispositivi siano omologati ed approvati”.

La giurisprudenza, inoltre, assegna un ruolo fondamentale all’obbligo di motivare la mancata contestazione immediata. Secondo Cassazione 14041/07, per esempio, “non è necessaria la contestazione immediata della contravvenzione al codice della strada quando ne siano indicati i motivi, tra cui l’impossibilità di raggiungere un veicolo lanciato ad eccessiva velocità e l’accertamento dell'eccesso di velocità per mezzo di autovelox”.

Con specifico riferimento ai photored, il carattere eccezionale della previsione di cui all’art. 201 comma 1-bis lettera b) è stato confermato anche dal Ministero dell’Interno che, con circolare n. 369 del 17.1.2008, ha precisato che “le apparecchiature di rilevamento automatico non presidiate dagli agenti accertatori (…) devono essere solo ed esclusivamente sulle strade individuate con apposito decreto prefettizio”, equiparando, in questo modo, il trattamento riservato ai photored a quello applicabile alle altre apparecchiature elettroniche di rilevamento delle infrazioni, tra cui gli autovelox.

Vale la pena sottolineare, infine, che per il verbale di contestazione non è richiesta la forma scritta ai fini della sostanza. Lo ha di recente stabilito Cassazione 14688/2008, la quale ha affermato che “La multa relativa ad un’infrazione al codice della strada è valida anche se non scritta in un verbale, ma esposta oralmente; il verbale può essere anche successivo” (Mag.2012).

Lino Conte


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