-
Patente a punti
-
Sinistri stradali. Responsabilità della
P.A. nella custodia della strada
-
Autovelox: stato di
necessità
-
Infrazioni al Codice della
strada. Mancanza di contestazione immediata
di Lino Conte
La
sentenza n. 27 del 24 gennaio 2005 della Corte Costituzionale, che ha
stabilito l’illegittimità di una parte dell’ articolo 126-bis del codice
della strada, ha suscitato nella stampa quotidiana un clamore,
conducendo anche qualche “tecnico della materia” a conclusioni
ingiustificate, come se l’intero sistema della “patente a punti” fosse
in pericolo fino a toccare persino la possibilità di continuare ad
elevare contravvenzioni senza “contestazione immediata” e conseguente
identificazione “sul posto”.
In
realtà, la sentenza ha inciso solo marginalmente sul regime generale
della patente a punti né si è spinta oltre quello che era l’oggetto vero
e proprio della controversia.
Il
pronunciamento della Corte era stato sollecitato da undici ordinanze di
Giudici di Pace, riunite in un unico giudizio, che complessivamente
censuravano l’art. 126-bis principalmente per due aspetti:
1) la
previsione, al comma 2, della detrazione di punti a carico del
proprietario-persona fisica qualora questi, in mancanza di
“contestazione immediata” della violazione e quindi di identificazione
del conducente, non comunichi gli estremi anagrafici e della patente del
conducente “reale” del veicolo qualora diverso da lui, nel termine di
trenta giorni dalla notifica della violazione; tale conseguenza non si
verifica invece, a carico eventualmente del rappresentante legale, nel
caso in cui proprietario del veicolo sia una persona giuridica,
applicandosi invece la sanzione pecuniaria di cui all’art. 180;
2) la
determinazione stessa del termine di 30 giorni per fornire tali elementi
identificativi, in contrasto con il termine di 60 giorni per il ricorso
al GdP o al Prefetto, in quanto ciò (nell’opinione del Giudice
rimettente) potrebbe portare all’irrogazione di una sanzione accessoria
(la detrazione di punti) in mancanza di un giudicato sulla violazione
che la determina.
Ma
anche ulteriori aspetti erano stati posti, contestualmente,
all’attenzione della Corte:
3)
l’obbligo ex art. 204-bis di far precedere il ricorso al GdP dal
versamento “cautelare” di una somma pari al doppio della sanzione
minima, considerato preclusivo della tutela giurisdizionale;
4)
l’entrata in vigore della disciplina della patente a punti ben prima
che, con decreto ministeriale, fossero stabiliti i programmi e le
modalità dei corsi per il recupero dei punti sottratti, rendendone
impossibile la frequenza ai trasgressori sanzionati in quell’intervallo
temporale;
5) la
possibilità di irrogare sanzioni per violazioni alle norme sulla
circolazione (compresa la sottrazione di punti dalla patente) senza
“contestazione immediata”, considerata dal GdP rimettente quale
ulteriore manifestazione di una violazione del diritto di difesa.
La
Suprema Corte, ha provveduto innanzitutto a dipanare le questioni
inammissibili o palesemente infondate. Ha ritenuto che l’esistenza di un
intervallo tra l’entrata in vigore del regime della patente a punti (30
giugno 2003) e la pubblicazione sulla G.U. del DM di regolamentazione
dei corsi di recupero (avvenuta il 6 agosto 2003) non poteva recare
pregiudizio, poiché l’iscrizione ai corsi è comunque subordinata alla
definizione del procedimento sanzionatorio, determinata o dal pagamento
della sanzione o dall’inutile decorso del termine per ricorrere o dal
giudicato sul ricorso; il momento della “definizione” sarebbe caduto
quindi ben oltre l’intervallo lamentato. La motivazione del rigetto è un
po’ ottimistica su un piano meramente fattuale, tenuto conto che i corsi
di recupero furono effettivamente “disponibili sul mercato” vari mesi
dopo la pubblicazione del DM, quando già per molti conducenti la
procedura di cancellazione dei punti si era conclusa con provvedimento
definitivo.
Più
penetrante appare la seconda motivazione di rigetto, basata invece sulla
considerazione che il ritardo imputabile alle autorità amministrative
nel porre in atto gli adempimenti di una normativa non può tradursi in
una ragione di illegittimità della normativa stessa. Si può dedurre, da
tale ultima motivazione, che se il ricorrente intendeva lamentare danni
(la cui consistenza sarebbe comunque da provare), derivanti dal ritardo
nell’attuazione della normativa sul recupero dei punti, tale doglianza
doveva essere rivolta (con gli ordinari strumenti giurisdizionali) nei
confronti delle autorità amministrative responsabili di tale ritardo.
La
Suprema Corte se ne è liberata semplicemente osservando che la deroga al
principio di “contestazione immediata” è stata introdotta dall’art. 4,
comma 4, del DL n. 151/2003 convertito con legge n. 214/2004, che però
non costituiva oggetto del giudizio di legittimità richiesto dal
rimettente.
Le
conseguenze pratiche della sentenza possono sintetizzarsi in questo
modo:
1)
resta salva la possibilità di procedere alla contestazione
dell’infrazione senza procedere all’ identificazione del conducente,
nelle ipotesi previste dall’art. 4 del DL 121/2002, convertito con legge
168/2002, con invio del verbale al proprietario o agli obbligati in
solido ai sensi dell’art. 196 del codice;
2)
quando si tratti di violazione che implica detrazione di punti, il
proprietario o l’obbligato in solido – siano essi persona fisica o
persona giuridica - che non siano autori della violazione hanno davanti
l’ alternativa o di comunicarne i dati anagrafici e quelli della patente
oppure di assoggettarsi alla sanzione di cui all’art. 180, oltre a
quella relativa alla violazione specifica; nel secondo caso, non vengono
detratti punti.
(L.C.)
Sinistri stradali. Responsabilità della
P.A. nella custodia della strada
Il
problema dei sinistri stradali derivanti, soprattutto nella stagione
invernale, da incuria della p.a. ed in particolare dei comuni che troppo
spesso dimenticano l'obbligo di provvedere alla manutenzione continua
delle sedi stradali costituisce spesso "insidia" e "trabocchetto" per
l'automobilista soprattutto durante od a seguito di intensi e prolungati
acquazzoni.
Sul
comune e, per esso, sul funzionario o dirigente preposto, e quindi sul
responsabile della manutenzione delle strade cittadine, anche nella
fattispecie in cui l'ente abbia affidato il servizio di manutenzione a
terzi incombe l'obbligo di custodia delle strade cittadine con la
conseguenza che lo stesso ente, e quindi il funzionario o dirigente
preposto è responsabile dei danni cagionati alle persone e cose.
Quanto sopra trae origine dall'art. 2051 c.c. che recita: “ciascuno è
responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo
che provi il caso fortuito”.
L’art. 2051 trova applicazione anche nell’ambito della manutenzione
delle strade, in quanto grava, secondo l’impostazione giurisprudenziale
più recente, sulla pubblica amministrazione l’obbligo di custodia, al
fine di evitare che possano “formarsi” insidie e trabocchetti idonei a
cagionare danni ai cittadini.
Secondo lo schema giuridico di tale articolo, è il danneggiante che deve
provare l’eventuale caso fortuito per essere ritenuto non responsabile
dell’eventuale danno, ribaltando lo schema probatorio classico
suggerito dall’art. 2043 c.c. dove è il danneggiato a dover dimostrare
l’eventuale colpa del danneggiante.
La
giurisprudenza più recente, quindi, ha ben individuato i limiti
dell’applicabilità dell’art. 2051 c.c. alle strade.
In
particolare, la Cassazione civile, sez. III, con sentenza 27 marzo 2007
n. 7403 ha ritenuto che il comune è obbligato a custodire le strade, con
la conseguenza che è responsabile dei danni cagionati alle persone e
cose.
La
presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, prevista
dall’art. 2051 c.c. si applica per i danni subiti dagli utenti dei beni
demaniali, tra i quali le strade, tutte le volte in cui sia possibile,
da parte dell’ente proprietario, la custodia intesa come potere di fatto
o signoria sul bene medesimo. La nozione della custodia rappresenta
dunque un elemento strutturale dell’illecito, che qualifica il potere
dell’ente sul bene che esso amministra nell’interesse pubblico. I
criteri di valutazione della custodia riguardano la estensione della
strada, la dimensione, le dotazioni ed i sistemi di assistenza, di
sicurezza, di segnalazioni di pericolo, generico e specifico, che sono
funzionali alla sicurezza della circolazione ed in particolare
dell’utente, persona fisica, che quotidianamente percorre quel tratto
statale che, interessando il centro storico cittadino, particolarmente
frequentato da pedoni e da veicoli, rientra nelle possibilità di
controllo e di adeguato esercizio dei poteri di custodia e relativi
provvedimenti cautelari, vuoi con la presenza di vigili, vuoi con la
apposizione di segnali che evidenziano il pericolo generico di strada
antica e sdrucciolevole per la presenza di fossati e dislivelli.
La
responsabilità resta esclusa in presenza di caso fortuito, la cui prova
grava sull’ente, per effetto della presunzione iuris tantum, ovvero se
l’utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da
interrompere il nesso tra la causa del danno e il danno stesso,
potendosi eventualmente ritenere, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1
un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione della incidenza
causale, la responsabilità della pubblica amministrazione, sempre che
tale concorso sia stato dedotto e provato. In tal senso la Suprema Corte
con la sentenza 22 aprile 2010 n. 9456 e sentenza 15.10.2010 n. 21328.
L’obbligo di custodia sussiste se vi è:
- il
potere di controllare la cosa;
- il
potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o che
in essa si è determinata;
- il
potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel
momento in cui si è prodotto il danno.
Se
invece anche il danneggiato ha avuto un ruolo causale nella
determinazione dell’evento dannoso troverà applicazione l’art. 1227 c.c.
La
Cassazione civile, sez. III, sentenza 23 febbraio 2005, n. 3745 già
chiariva che la presunzione di responsabilità ex art. 2051 è applicabile
nei confronti della P.A. per quelle categorie di beni che sono oggetto
di utilizzo generale e diretto da parte di terzi perché in questi casi
non è possibile un efficace controllo ed una continua vigilanza da parte
della P.A. tale da impedire l'insorgere di cause di pericolo per i
cittadini.
E’,
peraltro, l’interpretazione data all’art. 2051 c.c. dalla Consulta,
(Corte Costituzionale, sentenza del 10 maggio 1999, n. 156): “l'art.
2051 c.c., a norma del quale il proprietario di cose che abbiano
cagionato danni a terzi è responsabile solo in quanto ne sia custode,
non si applica alla p.a. nel caso in cui sul bene di sua proprietà,
indipendentemente dal carattere demaniale, non sia possibile - per la
notevole estensione e per le modalità di uso, diretto e generale, da
parte di terzi, sulla scorta di indagini concrete del giudice - un
continuo ed efficace controllo idoneo ad impedire l'insorgere di cause
di pericolo per gli utenti.
Allo
stato, l’interprete ha libertà di applicare l’art. 2051 c.c. nei
confronti della P.A. utilizzando il criterio giurisprudenziale della
“possibilità” del controllo alla stregua dei parametri di estensione e
dimensione del bene demaniale oggetto della controversia.
Anche
parte della giurisprudenza di merito aveva accolto tale ricostruzione.
Il Tribunale di Monza con decisione del 24 maggio 2001, n. 1356 riteneva
ammissibile l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. alla P.A. anche con
riferimento ai beni demaniali, nei casi in cui il luogo in cui il danno
si era verificato fosse di un'estensione tale da rendere possibile un
effettivo controllo da parte della stessa e ciò anche per quanto
concerne il demanio stradale.
Dalla
proprietà del comune sulle strade poste all'interno dell'abitato
discende per l'ente non solo l'obbligo della manutenzione, come
stabilito dell'art. 5 del R.D. 15.11.1923 n. 2506 ma anche quello della
custodia, con conseguente operatività nei confronti dell'ente stesso,
della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c..
Non
rileva, poi, la natura demaniale del bene: la responsabilità per i danni
provocati da cose in custodia trova applicazione anche in relazione ai
beni demaniali.
Il
difetto costruttivo del piano stradale, consistente in un rilevante
dislivello fra le lastre di copertura, è da ritenere causa strutturale,
quindi fonte di responsabilità da cose in custodia, ove abbia in
concreto creato inciampo e provocato la caduta di un passante
(Cassazione civile 15042/2008). Con specifico riferimento alla verifica
in concreto della possibilità di controllo sulla strada demaniale, è
stato affermato che è necessario che la configurabilità della
possibilità in concreto della custodia debba essere indagata non
soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue
caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di
assistenza che lo connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico
appresta, in quanto tali caratteristiche acquistano rilievo
condizionante anche delle aspettative degli utenti, rilevando ancora,
quanto alle strade comunali, come figura sintomatica della possibilità
del loro effettivo controllo, la circostanza che le stesse si trovino
all'interno della perimetrazione del centro abitato (Cassazione civile
23924/2007); nello stesso senso, è stato detto che in tema di
responsabilità per danni da beni di proprietà della p.a., qualora non
sia applicabile la disciplina di cui all’art. 2051 c.c., in quanto sia
accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene,
a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso
di terzi, l’ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall’utente,
pur sempre la regola generale dell’art. 2043 c.c. (Tribunale Napoli,
sez. III civile, sentenza 27 maggio 2010, n. 6229). L’estensione della
strada non giustifica, la mancanza di obbligo di controllo in capo al
comune: in caso di danno cagionato da una buca, la natura pubblica della
strada e l’estensione della stessa non escludono automaticamente
l’applicazione della disciplina della responsabilità da cose in custodia
nei confronti del Comune (Cassazione civile 11511/2008).
La
Cassazione civile, sez. III, sentenza 30 luglio 2002, n. 11250 ha
chiaramente affermato che sussiste la responsabilità della p.a. e
dell'ente concessionario ex art. 2043 c.c. per i danni subiti
dall'utente stradale allorché la insidia non sia visibile e prevedibile.
Il
Tribunale di Brindisi, sentenza 3 novembre 2005 n. 1041, ha ritenuto che
la buca stradale per giustificare un risarcimento del danno, ex art.
2043 c.c., deve rappresentare un pericolo occulto (definito anche
insidia o trabocchetto), caratterizzato dalla coesistenza dell’elemento
oggettivo della non visibilità e dell’elemento soggettivo della
imprevedibilità. La responsabilità per i danni cagionati da cose in
custodia ha natura oggettiva e la P.A. (custode) ne risponde ex art.
2051 cod. civ..
A
ribadire questo importante principio è il Tribunale di Trani, in persona
del giudice monocratico dr.ssa Patrizia Papa, con sentenza n. 1241/2008.
Tale
decisione, che si allinea con la consolidata giurisprudenza di
legittimità (Cass. 20427/2008, richiamata in motivazione), costituisce
un ulteriore significativo punto di riferimento per gli operatori del
diritto.
La
p.a. non è responsabile ex sé, ma nella misura in cui, con la propria
omissione sulle strade “controllabili” (perché non eccessivamente
estese), abbia creato un pericolo per il cittadino. Sul punto la
Cassazione civile, sez. III, con sentenza 19 luglio 2005, n. 15224 ha
affermato che la non conformità dello stato di manutenzione della strada
pubblica è fonte di responsabilità della p.a. solo se determina
l'insorgere di una situazione di pericolo, con i caratteri propri
dell'insidia. Parte della giurisprudenza di merito, come il Tribunale di
Varese con sentenza n. 149/2005, ha affermato che la responsabilità
della pubblica amministrazione proprietaria della strada o del
concessionario della strada medesima può essere affermata solo quando il
danno sia riconducibile ad una insidia, cioè ad un pericolo
oggettivamente non prevedibile ed oggettivamente non visibile.
La
Cassazione (n. 390/2008) ha individuato, in modo dettagliato, il riparto
dell’onere probatorio, ritenendo applicabile al caso la struttura logica
dell’art. 2043 c.c. e non quella dell’art. 2051 c.c. in presenza di un
fatto storico qualificabile come illecito civile, la parte danneggiata
ha l’onere della prova, degli elementi costitutivi di tale fatto, del
nesso di causalità, del danno ingiusto, della imputabilità soggettiva.
L’ente pubblico (nella specie il comune) preposto alla sicurezza dei
pedoni e detentore del dovere di vigilanza sulla sicurezza dei tombini
che si trovano sui marciapiedi, ha l’onere di dimostrare
alternativamente:
- il
concorso di colpa del pedone
- la
presenza di un caso fortuito che interrompe la causalità tra l’evento ed
il comportamento colposamente omissivo dell’ente.
Il
custode della cosa, al fine di liberarsi dalla presunzione di
responsabilità posta a suo carico, ha l’onere di provare l’esistenza del
caso fortuito, il quale deve consistere in un fattore estraneo alla sua
sfera soggettiva, dal carattere imprevedibile ed eccezionale, che può
concretizzarsi anche nel comportamento colposo del danneggiato, idoneo
ad interrompere il nesso causale tra la cosa custodita e l’evento
dannoso che si è verificato. L’accertamento della sussistenza del caso
fortuito, non solo fa venir meno il nesso causale tra la cosa e l’evento
dannoso, ma, altresì, esclude la responsabilità ai sensi dell’articolo
2043 c.c. (Cassazione civile, sez. III, sentenza 28 ottobre 2009, n.
22807).
Sul
caso fortuito, va comunque precisato che non configura caso fortuito un
qualsiasi uso improprio o anomalo della cosa in custodia rispetto alla
sua destinazione funzionale, in quanto nel caso in cui la condotta
concorrente del terzo nell'evento non sia assolutamente imprevedibile a
priori, continua a persistere il nesso di causalità con la cosa e la sua
funzione, salva la limitazione del risarcimento del danno per gli
effetti dell'art. 1227 c.c.., da valutare dal giudice di merito
(Cassazione civile, sez. III, sentenza del 22 settembre 2009 n. 20415).
Dal
punto di vista, poi, del comportamento del danneggiato è stato detto
dalla III sezione della Cassazione, con la pronuncia n. 16527/2003 che
il comportamento abnorme del danneggiato esclude l’applicabilità
dell’art. 2051 c.c., perché la cosa diviene mera occasione del danno e
non causa, che è invece da rinvenire nel comportamento del danneggiato.
Nello
stesso identico senso, di recente, si è espressa la Cassazione civile,
sez. III, con sentenza del 2 febbraio 2010 n. 2360.
Diversamente, se il comportamento del danneggiato non è la causa del
danno, ma concorre alla causazione del danno non si può escludere la
responsabilità della P.A. (Cassazione 17152/2002).
Il
committente (comune) non può essere esonerato da un controllo continuo
sul bene pericoloso.
In
tema di danno cagionato da cose in custodia per ultimo,la Cassazione
civile, sez. III, con sentenza del 06.10.2010 n. 20757 ha ribadito che
colui che intenda far valere la responsabilità contrattuale o
extracontrattuale della Pubblica Amministrazione deve dimostrare che
l'evento dannoso sia casualmente ricollegabile ad una insidia o
trabocchetto, nascente da situazioni di fatto creatrici di un pericolo
per l'utente della strada. Ha ricordato che costituisce principio
consolidato nella giurisprudenza della Corte quello secondo il quale
colui che intende far valere una responsabilità contrattuale o
extracontrattuale della Pubblica Amministrazione deve dimostrare che
l'evento dannoso sia casualmente ricollegabile ad una insidia o
trabocchetto, nascente da situazioni di fatto creatrici di un pericolo
utente per l'utente della strada. In tema di danno cagionato da cose in
custodia ha ribadito che è indispensabile, per l'affermazione di
responsabilità del custode, che sia accertata la sussistenza di un nesso
di causalità tra la cosa ed il danno patito dal terzo, dovendo, a tal
fine, ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un
antecedente necessario dell'evento, nel senso che quest'ultimo rientri
tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e che l'antecedente
medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano causale, dalla
sopravvenienza di circostanze da scie idonee a determinare l'evento.
(Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168)
(L.C.)
Autovelox: stato di necessità
L’esimente dello stato di necessità opera anche in relazione alle
violazioni del Codice della Strada.
Lo ha
deciso il Giudice di Pace di Prato con la sentenza del 06.02.2009.
Con
detta sentenza il Giudice ha annullato un verbale concernente la
violazione dell’art. 142 co. 8 C.d.S. accertata mediante autovelox.
La
ricorrente deduceva di aver commesso l’infrazione poiché doveva recarsi
alla più vicina farmacia per acquistare farmaci urgenti, prescritti
dalla Guardia Medica, per la madre in crisi respiratoria. Il Giudice di
Pace ha accolto il ricorso, ritenendo, in forza del richiamo del
combinato disposto degli artt. 194 C.d.S. e 4 L. 689/81, operante la
scriminante dello stato di necessità.
Pur
non essendo provato che la madre della ricorrente fosse in quel momento
soggetta ad un pericolo attuale di grave danno alla persona, la causa di
giustificazione di cui all’art. 54 c.p. è stata valutata a favore della
ricorrente ai sensi dell’art. 59 co. 4 c.p.. Per il Giudice è credibile
che la ricorrente, stante la diagnosi del medico e la natura dei farmaci
prescritti, abbia ritenuto di agire in stato di necessità.
(L.C.)
Infrazioni al Codice della strada.
Mancanza di contestazione immediata
Di
recente, numerose sentenze della giurisprudenza sono tornate ad
occuparsi dei meccanismi di contestazione al trasgressore del verbale di
accertamento di infrazione al Codice della Strada, nonché della
legittimità della sanzione comminata qualora la contestazione stessa non
sia avvenuta secondo le forme e le modalità previste dalla legge.
La
questione ruota intorno alla possibile violazione del diritto di difesa
dell’automobilista, il quale sarebbe privato, in questi casi, della
possibilità di giustificare immediatamente agli agenti accertatori la
propria condotta di guida.
La
contestazione immediata è la regola.
L’art. 200 comma 1 C.d.S. prevede espressamente che “La violazione,
quando è possibile, deve essere immediatamente contestata”. Tale regola
può essere derogata soltanto quando la violazione “non possa essere
immediatamente contestata”. In questo caso, “il verbale, con gli estremi
precisi e dettagliati della violazione e con la indicazione dei motivi
che hanno reso impossibile la contestazione immediata” (art. 201 comma 1
C.d.S.)
Nell’ultimo periodo, la Corte di Cassazione ha individuato alcune
ipotesi in cui la regola della contestazione immediata può essere
derogata. Cassazione 19664/2007, per esempio, ha stabilito che “La
contestazione immediata non è possibile laddove vi sia il rischio di
intralciare il traffico dei mezzi pubblici”.
La
regola della contestazione immediata, inoltre, conosce delle eccezioni,
che sono espressamente previste dall’art. 201, comma 1-bis C.d.S.. Sul
punto, la Corte di Cassazione ha di recente affermato che l’elenco delle
ipotesi di eccezione ivi contemplate “non ha carattere tassativo ma
esemplificativo, sicché ben possono ricorrere casi ulteriori in cui una
tale impossibilità sia ugualmente ravvisabile purché la circostanza
impeditiva addotta risulti dal verbale di accertamento ed abbia una sua
intrinseca logica” (Cassazione 12865/2008).
Tra
le ipotesi ivi elencate, in particolare, ha suscitato particolare
attenzione in giurisprudenza l’ipotesi di cui alla lettera e), relativa
all’ “accertamento della violazione per mezzo di appositi apparecchi di
rilevamento”. Le perplessità in ordine alla legittimità Costituzionale
di questa previsione, tuttavia, sono state definitivamente superate
dalla Corte Costituzionale che, con ordinanza n. 155/07, ha di recente
confermato che “Se la violazione al codice della strada viene accertata
per mezzo di apparecchiature elettroniche non è necessaria la
contestazione immediata”, in quanto “l’omissione della contestazione
immediata di un’infrazione punita con una misura amministrativa non
integra di per sé una violazione del diritto di difesa”.
L’accertamento in assenza degli organi accertatori vicino alla
apparecchiature, pertanto, è legittima. Tale previsione, tuttavia,
rappresenta un’eccezione al principio generale in base al quale la
violazione deve, di regola, essere immediatamente contestata al
trasgressore. In quanto eccezione, tale norma è di stretto diritto ed è
destinata a trovare applicazione limitatamente alle ipotesi in cui le
apparecchiature elettroniche di rilevamento vengano utilizzate
conformemente alle previsioni legislative e regolamentari. In questo
senso si è espressa la Suprema Corte che, in Cassazione 15348/2005, ha
precisato che: “l'unico limite posto dal codice della strada e dal suo
regolamento di esecuzione alla possibilità di utilizzare dispositivi
operanti senza la presenza degli organi di polizia della strada per
l'accertamento e il rilevamento automatico delle violazioni alle norme
di circolazione, ivi compresi i dispositivi per il rilevamento della
velocità, è rappresentato dalla necessità che tali dispositivi siano
omologati ed approvati”.
La
giurisprudenza, inoltre, assegna un ruolo fondamentale all’obbligo di
motivare la mancata contestazione immediata. Secondo Cassazione
14041/07, per esempio, “non è necessaria la contestazione immediata
della contravvenzione al codice della strada quando ne siano indicati i
motivi, tra cui l’impossibilità di raggiungere un veicolo lanciato ad
eccessiva velocità e l’accertamento dell'eccesso di velocità per mezzo
di autovelox”.
Con
specifico riferimento ai photored, il carattere eccezionale della
previsione di cui all’art. 201 comma 1-bis lettera b) è stato confermato
anche dal Ministero dell’Interno che, con circolare n. 369 del
17.1.2008, ha precisato che “le apparecchiature di rilevamento
automatico non presidiate dagli agenti accertatori (…) devono essere
solo ed esclusivamente sulle strade individuate con apposito decreto
prefettizio”, equiparando, in questo modo, il trattamento riservato ai
photored a quello applicabile alle altre apparecchiature elettroniche di
rilevamento delle infrazioni, tra cui gli autovelox.
Vale la pena
sottolineare, infine, che per il verbale di contestazione non è
richiesta la forma scritta ai fini della sostanza. Lo ha di recente
stabilito Cassazione 14688/2008, la quale ha affermato che “La multa
relativa ad un’infrazione al codice della strada è valida anche se non
scritta in un verbale, ma esposta oralmente; il verbale può essere anche
successivo” (Mag.2012).
Lino Conte |