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Il Controllo Ambientale delle ARPA
di Sergio De Pietro
Per controllo ambientale s’intende, più
frequentemente, quell’insieme di attività finalizzate a verificare il
rispetto di determinati limiti fissati da norme e prescrizioni, e si
configura nell’attività ispettiva nei riguardi delle fonti delle
pressioni ambientali. Mentre, nei casi in cui la verifica ha come
oggetto la qualità di una matrice ambientale minacciata da dette
pressioni, si utilizza il termine monitoraggio ambientale. In
entrambi i casi, comunque, si può certamente affermare che le attività
di controllo sono caratterizzate da una notevole parte conoscitiva, e
che costituiscano una fondamentale funzione del governo dell’ambiente.
Pertanto, attraverso tali azioni di controllo è possibile raccogliere
dati e con questi sviluppare un tessuto di conoscenze e monitoraggio
sull’ambiente utili a tracciare indirizzi di azione e verifica delle
politiche.
Con legge n. 61 del 1994, si è dato avvio alla
realizzazione di un vero e proprio sistema federale costituito
dall’allora Anpa (oggi Ispra) e dalle Agenzie regionali (Arpa) e delle
provincie autonome (Appa), creando appunto, organi deputati al controllo
tecnico delle violazioni ambientali. Ciò ha consentito, inoltre, di
colmare uno dei tanti gap in materia ambientale rispetto agli altri
paesi avanzati, dove già da molti anni operavano strutture di agenzia
competenti in materie ambientali.
A quasi vent’anni dall’avvio di questo importante
processo, il bilancio che si può ricavare è senz’altro positivo
soprattutto se si considera il punto di partenza, ma certamente non
ancora sufficiente. Molto resta da fare perché le attività di tutela,
prevenzione e di “misura” della sostenibilità, di cui i controlli
rappresentano un elemento centrale, siano garantite a un livello
adeguato e in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. E ciò, sia
per garantire un fondamentale diritto a tutti i cittadini, sia per
assicurare regole uguali per tutti gli operatori economici ed evitare
condizioni di mercato disomogenee, così come dire equità e
certezza operativa all’applicazione del “chi inquina paga”, e
a una contabilità ambientale assolutamente necessaria per garantire una
crescita del paese compatibile con la sua complessità e fragilità
ambientale.
Un’attività di controllo ottimale presuppone un’efficace
normativa ambientale e la corretta esecuzione sia dei controlli
ispettivi, sia dei piani di monitoraggio.
Si tratta, quindi, di attività in qualche modo connesse,
perché proprio la qualità delle leggi condiziona la qualità e la
quantità dei controlli, sempre più spesso demandati a strutture
inadeguate e carenti per mancanza di mezzi, di personale e di
professionalità; di modo che troppo spesso i controlli che sono
effettuati, in presenza di norme complicate, a volte confuse e
contraddittorie, si limitano a riscontrare solo eventuali situazioni
evidenti di illegalità, senza prendere neppure in considerazione settori
che richiedono un approfondimento di indagini.
Ritornando al principio del “chi inquina paga”,
sono solo i controlli ispettivi che individuano i soggetti responsabili
dei danni al sistema ambiente, in altre parole chi inquina, mentre i
monitoraggi ambientali accertano le cause delle varie pressioni che lo
minacciano e permettono il giusto indirizzo dell’azione di tutela.
Controlli ambientali non adeguati determinano diffuse
aree d’illegalità e, tanto per fare un esempio: si registra che nel
2012, 36 anni dopo la legge Merli, vi sono ancora numerosi scarichi
fognari pubblici immessi nell’ambiente allo stato bruto, senza alcuna
depurazione e autorizzazione.
Purtroppo, pur partendo da presupposti condivisibili,
invece del potenziamento, è arrivata la “semplificazione” dei controlli,
che sollevano delle perplessità operative e rischiano di indebolire
l’efficacia stessa dei controlli. Nel decreto legge n. 5 del 9 febbraio
2012, entrato in vigore il 10 febbraio, -oltre a 2 articoli (23 e 24)
esiste l’art. 14, intitolato “Semplificazione dei controlli sulle
imprese”, la cui ratio dichiarata è di limitare al massimo i
controlli sulle imprese al fine di recare alle stesse “il minore
intralcio” possibile. Si stabilisce, cioè che i controllori devono
adeguarsi al principio di “collaborazione amichevole con i soggetti
controllati al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità”.
I controlli, come già detto, sono attività finalizzate a
verificare il rispetto di determinati limiti fissati da norme e
prescrizioni e non si può imporre alcuna “collaborazione amichevole” tra
controllori e controllati. Il pubblico controllore, se riscontra reati,
deve farne denuncia all’A.G. e non può essere invischiato nei problemi
del controllato.
In proposito, recentemente, la Cassazione ha evidenziato
che “i funzionari dell’ARPA, preposti al controllo e alla vigilanza
ambientale, sono titolari di una posizione di garanzia riguardo
all’impedimento dei reati commessi dai terzi e, pertanto, qualora,
venuti a conoscenza dell'effettuazione irregolare di operazioni di
gestione di rifiuti, omettano di intervenire, sono responsabili ex art.
40, 2° comma, c.p. dell'illecito smaltimento del rifiuto” (Cass. Pen,
sez. 3, c.c. 15 dicembre 2010, n. 3634, Zanello).
Diventa difficile, a questo punto, conciliare le esigenze
dei funzionari preposti al controllo con le esortazioni di amichevole
collaborazione con i soggetti controllati.
Se, a questo si aggiunge che già esiste un altro
principio legislativo in base al quale, per fare cassa, l’ARPA può
accettare consulenze a pagamento anche dai soggetti che dovrebbe
controllare (ed eventualmente denunciare), diventa ancor più concreto il
rischio che la collaborazione “amichevole” possa talvolta essere intesa
come collaborazione a pagamento, dove chi paga potrebbe assicurarsi
l’amichevole collaborazione del controllore ora e per il futuro.
Un’importante risposta a questa problematica potrebbe
essere data dall’attuazione di una seconda fase della riforma dei
controlli, con l’istituzione del Sistema nazionale di protezione
dell’ambiente, che non a caso è oggetto di uno specifico disegno di
legge presentato il 4 luglio 2012 in Commissione Ambiente della Camera.
Questa proposta prende le mosse proprio dai cosiddetti Lep, livelli
essenziali di prestazioni, strumento previsto dalla nostra
Costituzione, proprio con la finalità di garantire diritti fondamentali
all’intera collettività nazionale. Partendo da tale impostazione e
attribuendo un’importanza centrale alle attività tecniche, svolte da
Ispra/Arpa/Appa, il ddl fa emergere una serie di punti che dovrebbero
caratterizzare il futuro sistema di controllo ambientale e che si
possono così riassumere:
- il sistema nazionale dovrebbe avere il compito di
garantire l’attuazione dei livelli essenziali di tutela ambientale (Lepta),
che costituiranno le attività istituzionali obbligatorie del sistema
medesimo;
- la pianificazione delle attività a livello statale, ad
opera di Ispra, dovrebbe creare sinergie ed efficienza del sistema nella
pianificazione anche a livello regionale, a opera delle singole Agenzie;
- attivazione di una rete laboratoristica nazionale
accreditata, che supporti le attività del sistema;
- finanziamento del sistema individuando una quota minima
del fondo sanitario regionale a copertura delle attività istituzionali
obbligatorie;
- definire le attività istituzionali non obbligatorie
rispetto ai Lepta, le quali saranno poste a carico dei gestori stessi,
sulla base di un tariffario nazionale unico finalizzato a garantire
omogeneità di trattamento su tutto il territorio
- sollecitare una disciplina univoca sul personale
incaricato degli interventi ispettivi da nominarsi in ottemperanza a un
regolamento nazionale in modo da realizzare uniformità di condotte in
tutte le Agenzie.
Il disegno di legge presentato il 4 luglio 2012 in
Commissione Ambiente della Camera e in generale l’alleggerimento delle
procedure amministrative non devono però incidere sulla qualità dei
controlli ambientali altrimenti si rischia di fare più danni che
benefici.
Il costo dei controlli e il reperimento delle risorse
necessarie rimane un problema di difficile soluzione ed è necessario
dare una compiuta applicazione del principio “chi inquina paga”. Altro
punto controverso è rappresentato dalle certificazioni di qualità cui
sembra, si vuole attribuire l’equivalenza dei controlli pubblici.
Orbene, norme ispirate a un principio di sussidiarietà
orizzontale, non hanno finora trovato alcuna applicazione operativa, a
causa principalmente della loro indeterminatezza che non consente,
innanzitutto, di comprendere quali siano esattamente le funzioni
pubbliche che possano essere sostituite dall’intervento dei soggetti
privati certificatori. Nel merito inoltre non si può non evidenziare
come le norme sulla qualità, essendo indirizzate alla gestione dei
processi aziendali prioritariamente nell’ottica della soddisfazione del
cliente, difficilmente possono essere considerate pienamente
surrogatorie delle autorizzazioni e dei controlli ambientali, i quali,
per loro natura, sono afferenti a beni costituzionalmente garantiti
quali la salute o la tutela degli habitat naturali.
Riguardo alle normative ambientale si segnala che nel
corso del 2010, ben quattro interventi normativi hanno interessato il
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, c.d. Testo Unico Ambientale.
Il primo di essi, rappresentato dalla Legge 25
febbraio 2010, n. 36, recante “Disciplina sanzionatoria dello
scarico di acque reflue”, ha modificato l’art. 137, comma quinto,
del D.Lgs. n. 152 del 2006.
Il secondo intervento legislativo, di più ampio respiro,
noto come Terzo correttivo al T.U.A., è rappresentato dal D.Lgs. 29
giugno 2010, n. 128. L’intervento normativo ha, anzitutto,
introdotto modifiche formali alla Parte I del T.U.A.; in secondo luogo,
ha trasposto, all’interno della Parte II del T.U.A. (introducendo il
nuovo Titolo III-bis), la disciplina in materia di autorizzazione
ambientale integrata (A.I.A.) prima contenuta nel D.Lgs. 18 febbraio
2005, n. 59, lasciandone inalterato il previgente impianto
sanzionatorio, apportando anche alcune modifiche alla già vigente
disciplina della valutazione ambientale strategica (VAS) e della
valutazione dell’impatto ambientale (VIA); infine, il D.Lgs. n. 128/2010
ha modificato la Parte V^ del T.U.A. (contenente norme in materia di
tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera).
Il terzo intervento legislativo, c.d. Quarto correttivo
al T.U.A., è rappresentato dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 che
recepisce la direttiva-quadro sui rifiuti (2008/98/CE), entrato in
vigore il 25 dicembre 2010. Il decreto introduce novità rilevanti nella
materia dei rifiuti, modificando in modo sostanziale la Parte Quarta del
c.d. Codice Ambientale (D.Lgs. n. 152/2006).
Il quarto e ultimo intervento normativo sul T.U.A.
nell’anno 2010, infine, è rappresentato dal D.Lgs. 10 dicembre 2010,
n. 219, entrato in vigore il 4 gennaio 2011, attuativo di due
direttive comunitarie, la direttiva 2008/105/CE (relativa a standard di
qualità ambientale nel settore della politica delle acque) e la
direttiva 2009/90/CE (che stabilisce specifiche tecniche per l'analisi
chimica e il monitoraggio dello stato delle acque). Le novità introdotte
tramite la modifica alla Parte III del D.lgs. 152/2006 in materia di
tutela delle acque dall’inquinamento.
Sono poi seguiti, nell’anno 2011, una serie di interventi
modificativi e integrativi che hanno inciso, perlopiù in materia
episodica, sul testo originario del T.U.A. L’unico intervento di ampio
respiro è quello rappresentato dal D. Lgs. 7
luglio 2011, n. 121
Infine, gli ultimi interventi legislativi intervenuti
nell’anno 2012, gli stessi sono rappresentati dai recenti:
a) d.l. 29 dicembre 2011, n.
216;
b) d.l. 24 gennaio 2012, n. 1;
c) d.l. 25 gennaio 2012, n. 2;
d) d.l. 9 febbraio 2012, n. 5;
e) d.l. 2 marzo 2012, n. 16.
f) dm 10 agosto 2012 n. 161
Tali ultimi interventi, a parte il dm 10 agosto 2012, n.
161 “Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e
rocce da scavo”, non hanno inciso in maniera profonda sull’assetto
normativo preesistente, ma rivestono comunque particolare importanza
poiché sono ispirati dall’ottica semplificatoria che li anima e dalla
volontà di sburocratizzare, nei limiti del possibile, la gestione delle
procedure ambientali.
Per il momento è sufficiente ricordare che, con gli
ultimi interventi del 2012, sono state apportate ben 45 modificazioni ed
integrazioni al “corpus” originario del T.U.A., cui si aggiungono
numerose declaratorie di incostituzionalità nelle more intervenute.
Sergio De Pietro |