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I diritti negati e le regole violate

L’incredibile storia di Enrico Forti un italiano condannato all’ergastolo

di Anna Satta 

 

In Italia ci sono svariati uffici che si occupano di questo o di quel problema, certo una buona opportunità per il cittadino, ma il vero problema sembra essere quello di arrivare all’ufficio che può aiutarti a risolverlo. Come sappiamo c’è anche l’ufficio che si occupa degli italiani all’estero che si trova all’interno del Ministero degli Esteri.

Il problema che da tempo si vorrebbe portare all’attenzione della nostra diplomazia è grosso: si tratta di perorare la causa di un imprenditore italiano Enrico Forti (detto Chico), recluso nelle carceri americane, condannato alla pena dell’ergastolo, nell’imposibilità di dimostrare la sua innocenza, se solo ne avesse la possibilità, imprigionato ormai da dodici anni, con le numerose petizioni di appello per la revisione del processo respinte senza una vera motivazione.

La giustizia americana , con tutte le sue contraddizioni ha chiuso definitivamente il caso e non sembra avere intenzione di riaprirlo. Il direttore del Dipartimento Servizi agli italiani all’estero, dopo aver visionato la documentazione, dichiara di non poter intervenire nella questione perché diplomaticamente considerata un’interferenza negli affari esteri di un altro Paese.

Mi pare che lo schermo diplomatico è una buona scusa per rendersi irreperibili, dove si segue la regola aurea della politica, molto partecipe ai casi di risonanza mondiale e con un ritorno mediatico, dimenticando quelli che possono creare solo grane burocratiche e fastidiose. Anche i nostri marò si trovano da tempo detenuti nelle carceri indiane in attesa di giudizio.

Chico Forti si trova in carcere a Miami, accusato di un omicidio che sembra non avere mai commesso, in base a un processo indiziario (senza prove), basato su un movente dal quale lo stesso Forti era stato assolto mesi prima da un altro tribunale. In qualsiasi Stato Moderno, dove vigono i principi di civiltà giuridica, si impone un accertamento ancora più rigoroso delle prove a carico dell’accusato.

Questo accertamento si è però limitato alla bugia detta da Forti nell’immediatezza della sua convocazione davanti agli organi di polizia giudiziaria, nel negare di aver conosciuto il soggetto poi deceduto e ritrovato morto dopo il citato incontro. Non è questo il luogo per spiegare in base a quale pressione psicologica si sia trovato Forti, sottoposto ad un massacrante interrogatorio durato 14 ore, una vera e propria trappola, tesagli per mandarlo in totale confusione, una tecnica forse legittima secondo il sistema americano, ma ottenuta con l’inganno.  Nulla è stato lasciato all’improvvisazione, il pubblico ministero ha impiegato ben 28 mesi per la sua arringa finale ( un record per i tribunali americani che liquidano tutto entro 6 mesi).

Come è possibile che in un processo dove è in gioco la vita di una persona l’ultima parola spetti all’accusa? Il rito del processo americano prevede questo quando l’imputato si avvale della facoltà di non rispondere oppure non è chiamato al banco dei testimoni, regola che sicuramente Forti non poteva sapere. Queste sono solo alcune delle maggiori anomalie che fanno ritenere Chico Forti privato dei principi fondamentali di difesa (vedi anche Convenzione di Vienna), specialmente in uno Stato come quello della Florida facente parte di una Federazione quale quella degli Stati Uniti, dove l’individuo è posto al centro della comunità e dove le sue libertà inviolabili dovrebbero essere tutelate, “oltre ogni ragionevole dubbio”.

Inutile dire che Forti in questi 12 anni ha perso tutto: la famiglia, i suoi tre amati figli, tutti i suoi averi per pagare le spese legali, con un processo tutto da rifare. Ma soprattutto ha perso la sua vita e la sua libertà.

La richiesta di un’attenta revisione del processo è basata su un’ampia documentazione che potrà dimostrare la sua totale innocenza.

Si ha fiducia che anche lo Stato Italiano appoggi come dovrebbe o avrebbe dovuto fare in questi lunghi anni questa causa, in modo da dimostrare all’Italia e al mondo che un cittadino italiano può contare sull’appoggio del proprio Stato quando si trova vittima di una grave ingiustizia.

 

 

Anna Satta


 

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