10 luglio 1976 ore 12.37:
IL DISASTRO DI SEVESO
di Gabriele Zaffiri
Verso le ore 12,37 di sabato 10 luglio 1976 nello stabilimento
chimico dell' ICMESA una valvola di sicurezza del reattore A-101,
destinato alla produzione di triclorofenolo, una componente di diversi
diserbanti, esplode provocando la fuoriuscita di alcuni chili di
diossina nebulizzata. (la quantità esatta non è quantificabile, qualcuno
dice 30 chili, altri di appena 300 grammi). Il vento disperde la nube
tossica verso est; nella Brianza, colpendo i comuni di Meda [dov’era
localizzata la fabbrica], Seveso, Cesano Maderno e Desio. Il giorno
dopo, domenica 11 luglio, nel pomeriggio, due tecnici dell'ICMESA si
recano dal sindaco di Seveso, Emilio Rocca, per metterlo al corrente di
ciò che è accaduto nello stabilimento e rassicurandolo che la situazione
non desta preoccupazioni perché è già tutto sotto controllo. Dopo 4
giorni dall'incidente inizia la moria degli animali, muoiono galline,
uccelli, conigli. Le foglie degli alberi ingialliscono e cadono, e gli
alberi in breve tempo muoiono come tutte le altre piante. Nell'area
interessata vivono circa 100 .000 persone.
E solo dopo pochi giorni si
verificano i primi casi d'intossicazione nella popolazione. Il giorno 15
il sindaco emana un ordinanza di emergenza: divieto di toccare la terra,
gli ortaggi, l'erba e di consumare frutta e verdure, animali da cortile,
di esporsi all'aria aperta.
Si consiglia un'accurata igiene della
persona e dell'abbigliamento. Ci sono i primi ricoveri in ospedale e gli
operai dell'ICMESA si rifiutano di continuare a lavorare. Soltanto il 17
luglio appaiono i primi articoli sul "Giorno" e sul "Corriere della
Sera". L'accaduto diviene di dominio pubblico. Il 18 luglio parte un
indagine dei carabinieri del comune di Meda ed il pretore decreta la
chiusura dello stabilimento. Si procede all'arresto del direttore e del
vicedirettore della fabbrica per disastro colposo. Ma ancora il 23
luglio dalla prefettura non viene ancora presa nessuna decisione su come
far fronte all'emergenza. I casi d'intossicazione aumentano, i più
colpiti sono i bambini. Si da nome ad una malattia finora quasi
sconosciuta: la Cloracne. La cloracne è il sintomo più eclatante
dell'esposizione alla diossina, colpisce la pelle, soprattutto del volto
e dei genitali esterni, se l'esposizione è prolungata si diffonde in
tutto il corpo. Si presenta con comparsa di macchie rosse che evolvono
in bubboni pustolosi giallastri, orribili a vedersi e di difficile
guarigione, e la pelle cade a brandelli. Può essere compromessa
seriamente la funzionalità epatica. L'inalazione del composto crea
problemi respiratori. Il 23 luglio dopo 13 giorni dall'incidente la
verifica incrociata delle analisi effettuate dalle strutture sanitarie
italiane e dei Laboratori Givaudan dell'ICMESA confermano una presenza
notevole di TCDD nella zona maggiormente colpita dalla nube tossica. Il
10 agosto una commissione tecnico-scientifica stila una mappatura della
zona contaminata. Si decide di evacuare l'area circostante l'impianto
per circa 15 ettari, e le famiglie residenti nelle zone più colpite sono
invitate ad abbandonare le proprie abitazioni.
Reticolati sono posti per
delimitare le zone pericolose. La commissione classifica il terreno
contaminato in 3 zone a seconda della quantità della diossina presente
sul terreno: "zona A" molto inquinata, "zona" B poco inquinata, "zona C"
di rispetto. Le abitazioni comprese nella “zona A” furono demolite e il
primo strato di terreno venne rimosso. Gli abitanti della “zona A”
vennero evacuati dopo ben 16 giorni e ospitati in apposite strutture
alberghiere. Sempre la “zona A” viene presidiata dall’esercito per
impedire a chiunque di entrare. Dopo 10 anni, in questa zona è sorto il
“Bosco delle Querce”. Invece la “zona B” e la “zona C” furono tenute
sotto controllo, con il divieto di coltivazione e di allevamento.
Continuano i casi d'intossicazione e aumentano i ricoveri ospedalieri
tra la popolazione di Seveso, Meda, Desio e Cesano Maderno. Tra la
popolazione colpita ci sono parecchie donne incinte e si diffonde la
preoccupazione per gli effetti della contaminazione sui futuri
nascituri. Ma gran parte degli "esperti" tendono a tranquillizzare tutti
sminuendo gli effetti della diossina. Si fanno migliaia di analisi del
sangue e delle urine, ma non si arriva a capo di nulla. Ulteriori
controlli dei terreni fanno estendere la zona A suddividendola in 7
sotto sezioni. Intanto la televisione ed i giornali continuano a
mostrare filmati e foto di bambini ricoverati in ospedale con i piccoli
volti coperti da estese macchie rosse e le zone contaminate dove si
aggirano uomini in tute bianche sigillate che raccolgono campioni di
terreno e bruciano carcasse di animali. L'11 ottobre dopo 3 mesi, gli
abitanti evacuati dalla zona A rientrano nei loro terreni e indicono una
protesta bloccando la strada Meda-Milano. Vogliono rientrare nelle loro
case e riprendere possesso della loro vita. Protestano contro il
progetto della Provincia e della Regione di costruire un inceneritore a
Seveso. Ritorna l'esercito per controllare la zona inquinata ed
impedirne l'accesso. Sale la tensione e il malcontento verso le
istituzioni che sembrano non voler prendere provvedimenti adeguati. Si
chiede la bonifica dell'area come era stato promesso e si suggerisce
l'asportazione del terreno inquinato e la collocazione in siti adeguati.
Proprio per la tutela degli abitanti nel 1977 viene istituito l'Ufficio
Speciale per Seveso.
ICMESA
Lo stabilimento ICMESA comincia la sua
attività nel territorio del Comune di Meda nel 1947. Lo stabilimento
produce prodotti farmaceutici ed è di proprietà della multinazionale
GIVAUDAN. Nel 1963 la ICMESA diventa di proprietà della Hoffman-La
Roche. Da subito iniziarono le proteste degli abitanti della zona e le
denunce per gli effetti che l'impianto aveva sull'eco-sistema della
zona: gas maleodoranti che fuoriuscivano dai camini, l'inquinamento del
torrente Certosa o Tarò. Ma tutte le denunce sugli effetti nocivi della
fabbrica e le varie accuse furono rigettate dai dirigenti dello
stabilimento e non vennero mai presi provvedimenti. Al momento
dell'esplosione del reattore chimico si era già al corrente tra gli
addetti, che con il surriscaldamento dei materiali di lavorazione si
sarebbe formata diossina, ma si sapeva anche, che aumentando la
temperatura i tempi di reazione chimica dei prodotti sarebbe diminuita
(da 5 a 1 ora) e si avrebbe avuto più prodotto in meno tempo. Gli
addetti sapevano che altri incidenti da codesti impianti, erano avvenuti
nel tempo in altre nazioni, e sapevano anche dei loro effetti
catastrofici sull'ambiente. Sapevano anche che il camino sopra il tetto
dell'impianto era privo di abbattitore. Sapevano che i termometri per
controllare la temperatura degli impianti erano insufficienti a
controllare la reazione. Perciò l'incidente fu provocato dalla omissione
delle più elementari norme di sicurezza per un impianto del genere
situato vicino al centro abitato. E nonostante questo "la fabbrica dei
profumi" ( così come la chiamavano gli abitanti del luogo), ha
continuato a funzionare per anni celando la sua pericolosità anche agli
stessi operai che vi lavoravano.
La Diossina
"Diossina è un nome generico che indica vari
composti tossici; il più noto, indicato con la sigla TCDD, si forma come
sottoprodotto nella preparazione del triclorofenolo, sostanza utile a
produrre erbicidi e battericidi."
"La diossina è una sostanza altamente
tossica in grado di provocare seri danni al cuore, ai reni, al fegato,
allo stomaco e al sistema linfatico".
Il composto si deposita sui terreni, non è
assolutamente biodegradabile e non l'intaccano nemmeno i microrganismi
presenti nel terreno. Penetra nell'organismo attraverso la respirazione,
per contatto con l'assunzione di cibo, soprattutto carne, pesce e
latticini. Nei casi di esposizione a concentrazioni e poiché si deposita
nei grassi, è soggetta ad accumulo biologico. Nei topi da laboratorio
provoca tumori, disturbi al sistema nervoso, anomalie genetiche . Ancora
non è stato accertato quali possano essere gli effetti a lungo termine
sull'uomo. Gli abitanti di Seveso e zone limitrofe sono ancora oggi
soggetti da laboratorio per lo studio degli effetti della diossina.
La
diossina non uccise nessun essere umano al momento, ma distrusse
l'equilibrio eco-biologico di una vasta aera di territorio e decretò la
morte civile di un'intera popolazione. Si sospetta che a 30 anni di
distanza il terreno sia ancora intriso di diossina nonostante lo
stabilimento chimico sia stato interrato ed al suo posto ci sia ora il "
Bosco delle Querce" impiantato in seguito nella zona, con flora e fauna
importata a segnare con un itinerario della memoria un evento da non
dimenticare.
Il disastro provocò una destabilizzazione
socio-economica di tutta l'area con enorme disagio per gli abitanti che
dovettero abbandonare la loro terra, le loro case, il loro lavoro , gli
animali. Rinunciare a tutto quello che avevano costruito o progettato
per il loro presente e per il futuro. Non si coltivò più. Molte donne in
gravidanza in quel periodo preferirono abortire e le coppie smisero di
fare figli. Famiglie intere furono sradicate delle proprie radici e
subirono, nei trasferimenti coatti, anche l'umiliazione di sentirsi
emarginati dall'ignoranza della gente che non sapeva cos'era la
diossina, e vedeva in loro un pericolo per la propria salute. 80.000 gli
animali morti o abbattuti, 158 gli operai esposti alla contaminazione.
Un numero imprecisato di bambini rimarranno sfigurati dalla cloracne e
porteranno sulla propria pelle gli effetti di questa micidiale sostanza
con problemi psicologici che mineranno la loro vita. La responsabilità
ricadde in sede processuale sui dirigenti dell'impianto che vennero
condannati nel 1983 per disastro colposo e lesioni. I 200 milioni in
vecchie lire pagate dalla multinazionale svizzera per il risarcimento
furono usati per la bonifica dei terreni più contaminati come la zona A
di Seveso dove tutto era stato raso al suolo perché irrecuperabile. I
danni materiali e morali di questo disastro ecologico provocato
dall'uomo restano incalcolabili.
Discariche speciali
Tutti i materiali contaminati asportati
vengono depositate in due discariche speciali: la vasca A, a sud di
Seveso, dove finiscono le macerie dello stabilimento ICMESA, tutti i
terreni oggetto della discarica e i materiali usati per la bonifica del
territorio di Seveso per un volume di circa 200.000 m3. Nell'altra vasca
la B, posta più a nord nel Comune di Meda finiranno tutti i materiali
contaminati della zona nord e i fanghi del depuratore di Seveso per un
volume di circa 80.000m3.
"In seguito all'incidente di Seveso ed altri
dovuti all'incuria dell'uomo in proposito di sistemi di sicurezza di
impianti chimici e consimili, la Comunità Europea emanò nel 1982 la
direttiva n° 82/501 relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi
con determinate attività industriali.
La direttiva prevedeva determinati obblighi
amministrativi e sostanziali riguardo all'atteggiamento da seguire nella
gestione dell'esercizio di attività ritenute pericolose sulla base della
tipologia di pericolosità dei materiali, e del quantitativo detenuto.
La direttiva viene recepita dall'Italia 6
anni più tardi con il DPR 175/88."
Strane considerazioni
In molte persone l’immagine della diossina
divenne simile a quella della radioattività: si trattava di una sostanza
invisibile, nociva anche in quantità molto basse, e veniva utilizzata in
guerra come arma militare. Infatti, si è ipotizzato, a tal proposito,
che proprio a Seveso si producessero armi chimiche militari.
Due sono i dati di fatto accertati: all’
ICMESA si produceva triclorofenolo altamente diossinato; la diossina di
Seveso, avendo proprietà altamente cancerogene, non poteva servire per
quello che la Givaudan, un’altra committente dell’impianto, sosteneva di
produrre: disinfettanti ospedalieri e prodotti cosmetici. Quindi si
sarebbe potuto avere il seguente scenario:
il prodotto era assemblato a Seveso ma
venduto in Svizzera per essere poi girato negli USA, dove, con molto
probabilità, veniva miscelato con altri composti chimici fino a farlo
divenire il micidiale “Agente orange”, un defoliante che produce effetti
mostruosi sul corpo umano e che tanta, drammatica diffusione ha avuto
durante la guerra del Vietnam, e che tra il 1961 e il 1973 vide ben 3181
villaggi colpiti da questi erbicidi, irrorati ad un livello pari tra i 7
e i 9 milioni di litri, colpendo, secondo un calcolo effettuato a
posteriori nel 2003, tra i 2 e i 4 milioni di persone.
Comunque le varie inchieste che hanno
portato a questa ipotesi non hanno però mai trovato, ufficialmente, né
alcuna conferma e né alcuna smentita.
Gabriele Zaffiri |
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