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IL DISSESTO IDROGEOLOGICO
di Giuseppe Sella
Il
dissesto idrogeologico comprende le erosioni, le valanghe, gli
allagamenti e le alluvioni, le esondazioni dei fiumi, l’arretramento dei
litorali, la subsidenza del terreno, la siccità e le mareggiate. In
sintesi il dissesto idrogeologico rappresenta una situazione di
squilibrio che l’acqua produce nel suolo e sottosuolo ed è uno dei
problemi più urgenti e gravosi da risolvere. Le cause del dissesto
idrogeologico sono da ricercarsi nella fragilità del territorio, nella
modificazione radicale degli equilibri idrogeologici lungo i corsi
d'acqua e nella mancanza d'interventi manutentori da parte dell'uomo
soprattutto nelle aree montane in abbandono dove non si esercitano più
le tradizionali attività agricole e forestali.
La difesa del territorio dalle calamità naturali ed in particolare dalle
piene dei torrenti è sempre stata una costante preoccupazione delle
popolazioni di montagna, in quanto le possibili esondazioni hanno
costituito, attraverso i secoli, una continua minaccia e una fonte di
notevoli situazioni di pericolo.
Fin dal secolo scorso, quindi, le sistemazioni idraulico-forestali hanno
avuto un grande sviluppo specialmente nelle regioni del nord Italia,
quali il Trentino- Alto Adige, la Valle D'Aosta, il Friuli-Venezia
Giulia, il Veneto. Le realizzazioni di nuovi insediamenti, di opere di
ingegneria civile ed infrastrutture di servizio possono far sorgere
molteplici e differenziate problematiche di dissesto del territorio, in
particolare in ambiti montani e/o dove non sempre è stato seguito un
modello di sviluppo compatibile con le esigenze di difesa del suolo e di
conseguenza le situazioni di degrado e di rischio potenziale sono
diffuse.
Il dissesto idrogeologico ha origine dall'azione dello scorrimento delle
acque superficiali e sotterranee e si manifesta nelle forme più evidenti
attraverso l'erosione torrentizia e le frane. Pertanto sarebbe meglio
sottolineare che esistono due componenti non contemporaneamente
presenti nel dissesto: una idraulica o idrologica relativa
all'inadeguatezza della rete di drenaggio, l'altra geologica che si
riferisce a frane, calanchi, erosione, valanghe.
Per
verificare quali realmente siano le possibili cause di un eventuale
rischio di dissesto idrogeologico, bisogna iniziare a monte. In primo
luogo possiamo incontrare superfici in evidente stato di erosione
provocate da origini antropiche (eccessivo pascolo, frequenti incendi di
origine dolosa, realizzazione di strade, piste di esbosco, piste da sci,
cave,discariche, oleodotti, metanodotti, elettrodotti, abitazioni,
quest'ultimi realizzati senza alcun accorgimento e successive opere
manutentorie). In molte zone montane un altro tipo di fattore che può
provocare instabilità nei versanti sono i sovraccarichi dovuti ad
accumuli di neve o acque meteoriche, accumulo di detriti, crescita della
vegetazione, attività antropiche ( accumuli di cave, discariche,
accumuli di acquedotti, ecc..).
Le
sistemazioni idraulico-forestali di tipo estensivo attuate in passato
dal Corpo Forestale dello Stato e dal Genio Civile e non più proponibili
per ragioni di elevati costi consentivano di contenere maggiormente la
produzione di sedimenti in quota ossia l'erosione diffusa. Oggi tramite
l'ingegneria naturalistica sulla base
di nuove conoscenze derivate dalla ricerca tecnica e biologica si sono
potuti migliorare molti vecchi sistemi costruttivi e svilupparne dei
nuovi.
L'accresciuta sensibilità dell'opinione pubblica verso i problemi
relativi al territorio determina la necessità di definire criteri di
intervento a tutela del suolo e del patrimonio naturale che si
inseriscano più correttamente nell'ambiente. Si auspica che i politici
ed i tecnici possano in un prossimo futuro operare in tal senso in
un'ottica di maggiore rispetto e tutela del territorio operando con
maggiori risorse finanziarie. Per avviare una organica politica
programmatoria e di pianificazione della difesa del suolo si dovrà
partire da una serie di indagini conoscitive particolareggiate del
territorio che permetteranno lo studio delle condizioni generali di
rischio, tenendo presente che in un territorio, a determinare tale
rischio concorrono l'importanza ed il valore dei beni da difendere.
L'elevata
vulnerabilità del territorio annovera tra le possibili cause oltre ai
fattori naturali anche e soprattutto i fattori antropici quali ad
esempio: l'errata pianificazione territoriale; lo sfruttamento eccessivo
delle risorse naturali; i criteri di difesa del suolo frammentari e non
sempre coerenti. Rispetto al passato si registra: l'abbandono dei centri
sparsi con concentrazione sui fondovalle; la crescita dell'attività
industriale, artigianale e del terziario; la minore importanza
dell'agricoltura e dell'attività forestale.
Quindi non è
proponibile l'attuazione di una politica di difesa del suolo estesa su
tutto il territorio e evidenti ragioni economiche impongono che essa sia
differenziata.
E' ovvio che
nelle aree più fragili dal punto di vista idrogeologico ed in quelle
dove il processo di avanzamento della copertura arborea è ormai troppo
spinto non sono giustificati i tentativi di recupero dell'attività
pastorale. Si impongono allora delle scelte nelle zone dove tale
operazione appare conveniente ed opportuna. Tali scelte dovrebbero
essere inquadrate nell'ambito di una pianificazione integrata del
territorio e scopi e mezzi dovrebbero essere suggeriti da un apposito
"piano di gestione" delle superfici pascolive; strumento quanto
mai indispensabile per una utilizzazione equilibrata. Le Comunità
Montane, i Comuni, gli Enti Parco ad esempio potrebbero avvalersi di
squadre polivalenti di operatori specializzati adeguatamente attrezzate,
con il compito di provvedere ad un intervento programmato sul
territorio, volto al miglioramento ed alla sua conservazione, con
interventi programmati di sistemazione idraulico-forestale, di
manutenzione delle strade e dei sentieri, delle recinzioni per il
corretto esercizio del pascolo turnato.
Tali
interventi di sistemazione e manutenzione del territorio costituirebbero
un importante supporto al turismo, che è diventato l'attività produttiva
principale e spesso unica di molte zone e che trova incentivazioni,
specie in estate, dal mantenimento di un paesaggio agricolo curato e
dall'accessibilità delle strade e dei sentieri. Ulteriori possibili
orientamenti e indirizzi operativi che permettono di seguire criteri
razionali di utilizzo del territorio sono:
-
migliorare ed aumentare la produzione legnosa, per garantire la
continuità e l'incremento dell'efficienza protettiva dei boschi,
assicurare la conservazione delle caratteristiche estetiche e
naturalistiche dei boschi aiutando le popolazioni collinari e
montane a divenire parte attiva della gestione del territorio,
disponendo che gli Enti preposti (Comunità Montane) siano tenuti a
promuovere la gestione del patrimonio forestale mediante apposite
convenzioni tra i proprietari individuando idonei ambiti
territoriali per la razionale gestione e manutenzione dei boschi ed
a promuovere, in tali ambiti, la costituzione di Consorzi di
miglioramento fondiario ovvero Associazioni di proprietari volte al
rimboschimento, alla tutela ed alla migliore gestione dei propri
boschi.
Tutto ciò
correggerebbe due aspetti negativi della realtà attuale:
a.
la frammentazione della proprietà privata ed
il disinteresse di molti proprietari dimentichi, per motivi di vario
genere, delle loro proprietà forestali di montagna e responsabili
indiretti del degrado ambientale che ha riflessi negativi per l'intera
collettività;
b.
l'incuria dei boschi: i boschi sono parte
importante del territorio e dell'ambiente montano, sono per la loro
natura sottoposti al vincolo paesaggistico perché considerati "bellezze
naturali" in applicazione della L.490/99. Il loro mantenimento e la loro
cura è quindi necessaria indipendentemente dal loro stato di
conservazione e dall'interesse diretto del proprietario;
-
incrementare le sistemazioni idraulico forestali e la diffusione di
tecniche bio-ingegneristiche e di interventi rispettosi delle
esigenze ecologiche.
L'art. 17 della L. 97/94 prevede la possibilità per i coltivatori
diretti, singoli o associati, conduttori di aziende agricole di
assumere in appalto, in deroga alle vigenti disposizioni di legge in
materia, sia da Enti pubblici che da privati: lavori relativi alla
sistemazione e manutenzione del territorio montano, in materia di
forestazione, costruzione di piste forestali, di arginature, di
sistemazione idraulica, di difesa dalle avversità atmosferiche e
dagli incendi boschivi.
-
Va
ricordato anche il disposto dell'art. 7 della L. 97/94 che indica i
contenuti e le priorità dei piani pluriennali di sviluppo
socio-economico delle Comunità Montane. Il terzo comma della L.
183/89 attribuisce la facoltà al legislatore regionale di concedere
interventi contributivi, ad operatori agricoli e anche non operatori
agricoli a titolo principale fino al 75% del costo di piccole opere
e attività di manutenzione ambientale concernenti proprietà
agro-silvo-pastorali. il legislatore regionale stabilirà i modi e le
forme dell'attività contributiva che dovrebbe comunque essere
gestita direttamente dalle Comunità Montane attraverso la delega o
l'attribuzione diretta delle funzioni;
-
salvaguardare le caratteristiche del paesaggio ed evitare i rischi
di incendio o quelli connessi alla sicurezza idraulica nelle aree
pertinenti gli agglomerati abitativi.
-
soddisfare l'esigenza sempre più sentita dal turista di montagna,
della ricerca di percorsi naturalistici poco frequentati con il
ripristino della piccola viabilità;
-
studiare
e proporre norme particolari per la gestione della caccia, della
pesca, per la disciplina della raccolta dei funghi , visto che al
momento attuale non si intravedono possibilità di iniziative dirette
da parte degli Enti montani, per una riappropriazione a livello
locale delle funzioni di gestione diretta o al massimo
comprensoriale attraverso l'attribuzione di funzioni delegate;
-
promuovere ed incrementare l'educazione ambientale, lo studio ed il
controllo dell'ambiente e della sua qualità attraverso
l'istituzione di un istituto di ricerche ambientali i cui fini
istituzionali siano quelli di arrivare a formulare gli interventi
per la loro difesa e conservazione.
Il disastro
avvenuto in ottobre a Messina con decine di morti e migliaia di sfollati
è quello avvenuto il 15 febbraio a Maierato e San Fratello piccoli
centri urbani in provincia di Vibo Valentia , in Calabria, sono alcuni
esempi che hanno richiamo l’attenzione degli italiani sul problema del
dissesto idrogeologico. La mattina del 15 febbraio gli abitanti di
Maierato dopo un’intensa giornata di pioggia, avvertono uno strano e
imprecisato rumore di fondo, ai presenti non ci vuole molto a
comprendere cosa stesse succedendo a poche decine di metri dalle proprie
abitazioni; indirizzando lo sguardo in alto si vede istintivamente un
intero costone di montagna franare, venire giù in blocco verso valle
scivolando in un rapido movimento liquido che trascina con sé ogni cosa
al suo passaggio.
Le
abitazioni non sono state investite direttamente dal fiume di terra, che
si era formato, ma hanno subito comunque degli ingenti danni.
Fortunatamente questa volta non ci sono state vittime ma, intanto,
crescono le polemiche e le problematiche sulla gestione del territorio
nel mezzogiorno italiano, dove interi agglomerati urbani vivono il
quotidiano in una condizione di inconsapevole pericolo. Gli esperti
affermano che sono molti i centri abitati italiani a rischio
idrogeologico, ovvero il 70% dei comuni è esposto a questo grave
problema. Sempre secondo gli esperti è la stessa conformazione geologica
italiana che ci espone a tali rischi.
Sarebbe
stata fatta anche una mappatura per individuare le zone geografiche a
maggior rischio ma nonostante che i rischi siano conosciuti e che per
molte zone siano stati quantificati con precisione, ciò non ha
impedito, negli ultimi decenni il verificarsi sulla nostra penisola di
sciagure di grandi proporzioni. Disastri che difficilmente sono cosi
frequenti nelle nazioni così evolute e civili. In Italia si continua a
disboscare, a urbanizzare, a deviare i fiumi, ed indebolire gli argini,
ad incendiare dolosamente i boschi e costruire dove non si dovrebbe
facendo poca prevenzione con la scusa del “costa troppo” quando poi gli
interventi in emergenza costano non molto, ma moltissimo in più! Molte
volte al sud bastano pochi giorni di pioggia per causare catastrofi.
Precipitazioni tra l’altro, che negli ultimi anni sembrano sempre più
intense, favorite dall’effetto serra che, a parere di molti scienziati
provoca il surriscaldamento del pianeta determinando un clima che
assomiglia sempre più, anche nelle zone temperate, a quello tropicale.
Anche nel
caso del disastro di Messina le autorità stesse hanno parlato di un
disastro annunciato e di dissesto idrogeologico non dipendente soltanto
dalle circostanze climatiche eccezionali. Insomma la Natura, in questi
tragici avvenimenti centra ben poco. È stesso l’uomo che non ha fatto il
possibile per prevenire il disastro costruendo edifici in siti
pericolosi, a ridosso di colline o di corsi d’acqua, utilizzando
materiali di scarsa qualità senza licenze o con licenze concesse con
troppa leggerezza, creando una cementificazione selvaggia, aumentando
controlli, commettendo negligenze nella gestione di fondi concessi per
la prevenzione e la messa in sicurezza del territorio. Più ancora, si
tratta di una diffusa cultura del’illegalità, con il prevalere degli
interessi particolari su quelli generali.
Giuseppe Sella |