IL DISSESTO IDROGEOLOGICO
di Girolamo Giordano
Capitolo 1 - QUADRO NORMATIVO IN MATERIA
DI DIFESA DEL
SUOLO......................................................... 2
1.1 La Legge Quadro sulla difesa del
suolo.......................................................................................................
2
1.2 Il Decreto Legge n.
180/1998......................................................................................................................
2
1.3 L’Atto di Indirizzo e
Coordinamento.............................................................................................................
3
1.4 Il Decreto Legge n. 279/2000 - Legge n.
365/2000........................................................................................
4
Capitolo 2 - IL P.A.I. IN
SICILIA........................................................................................................................
5
2.1 Gli elaborati del P.A.I.................................................................................................................................
6
2.2 Le funzioni del P.A.I...................................................................................................................................
6
2.2.1 La funzione
conoscitiva............................................................................................................................
6
2.2.2 La funzione normativa e
prescrittiva...........................................................................................................
8
2.2.3 La funzione
programmatica......................................................................................................................
8
2.3 I risultati del P.A.I......................................................................................................................................
8
La scelta della presente TESINA è scaturita
in virtù dell’esperienza professionale fatta per la realizzazione del
P.A.I. (Piano per L’assetto Idrogeologico) della Regione Sicilia , ed è
maturata dal sottoscritto nel corso del Master in GESTIONE E
SICUREZZA AMBIENTALE
Con il termine generale di "dissesto
idrogeologico" si indicano le condizioni di degrado del territorio
tali da provocare danni o catastrofi coinvolgendo persone, abitazioni,
infrastrutture, ecc.. Si tratta di fenomeni naturali di notevole
intensità o durata, che si manifestano come alluvioni e frane
come conseguenza di fattori scatenanti (precipitazioni meteorologiche
prolungate e/o particolarmente intense, terremoti, disboscamenti e
incendi, incremento del peso di manufatti su un versante, ecc.) e
fattori predisponenti (litologia, spessore della porzione degradata e
del suolo, pendenza, esistenza di una superficie di potenziale
movimento, l'erosione al piede di una scarpata o di un versante,
accumuli di detrito lungo un versante, ecc.). In particolare le frane
sono movimenti di versante, che si possono manifestare come lenti o
veloci, superficiali o profonde.
Notevole importanza nell'attivarsi di
fenomeni di dissesto idrogeologico assume l'azione erosiva delle acque
superficiali e la natura dei suoli, mentre le condizioni di
rischio/pericolo generate da tali fenomeni è legata alla presenza di
elementi vulnerabili sul territorio, in quanto i fattori di rischio per
gli uomini, le attività e le cose possono essere notevolmente ridotti o
intensificati dall'attività dell'uomo, pertanto assume particolare
importanza una corretta gestione del territorio attraverso opportuni
interventi di prevenzione. Negli ultimi anni i fenomeni di dissesto
idrogeologico presentano delle intensità tali da provocare nel
territorio nazionale notevoli perdite di vite umane e ingenti danni
economici.
Anche i fenomeni di erosione del suolo,
sia in termini di suolo eroso dalle acque meteoriche che in termini di
processi di desertificazione progressiva legata ai cambiamenti
climatici, ha contribuito notevolmente ad acuire l'intensità di fenomeni
alluvionali e franosi.
Al fine di ridurre la probabilità di
accadimento delle alluvioni le opere di prevenzione possibili sono gli
interventi di consolidamento dei versanti e gli interventi di riduzione
della velocità di scorrimento in alveo, quest'ultimi sia in termini di
riduzione delle pendenze dell'alveo sia in termini di aumento dello
spazio di alveo o aree golenali disponibili per il deflusso delle acque
di scorrimento. A riguardo si constata che in Italia moltissimi comuni
hanno porzioni del loro abitato ubicati in aree di golenali o in
prossimità degli alvei.
Nel caso delle frane le opere di prevenzione
più usati sono esemplificabili in interventi di consolidamento e
stabilizzazione dei pendii con muri, pali e strutture di ingegneria
naturalistica, oppure con limitazioni d'uso sia di aree direttamente
interessate dalle frane che di aree potenzialmente coinvolgibili da
esse.
In ogni caso essenziale risultano essere la
pianificazione territoriale a qualsiasi livello (comunitario, nazionale,
regionale e locale) che definisce le modalità d'uso del territorio e gli
stanziamenti di fondi per la messa in sicurezza del territorio, per la
prevenzione dei fenomeni di dissesto e per i sistemi di allerta in caso
di fenomeni calamitosi. In materia legislativa molto è stato fatto per
la difesa del suolo, ma molto ancora deve essere fatto.
La presente tesi intende descrivere lo stato
di fatto e le prospettive future, prendendo come riferimento il
territorio siciliano e si articola in 2 parti:
§
la prima mira a far conoscere
la normativa nazionale e regionale in materia di difesa del suolo e dei
Piani stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico, mettendo in luce
le funzioni e la metodologia adoperata per la sua stesura dei piani;
§
una seconda parte è rivolta a
rappresentare lo stato dell’arte del P.A.I. nella Regione Siciliana e
nelle prospettive future.
ADRO NORMATIVO IN MATERIA DI DIFESA DEL SUOLO
Capitolo 1
QUADRO NORMATIVO IN MATERIA DI DIFESA DEL
SUOLO
1.1
La Legge Quadro sulla difesa del suolo
La “Commissione interministeriale per lo
studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo”, meglio
nota con il nome del suo presidente, il Prof. Ing. G. De Marchi, fu
istituita ai sensi dell’art. 14 della Legge 27 luglio 1967, n. 632. Essa
poneva le basi per la definizione delle norme di tutela e assetto
organizzativo sulla difesa del suolo.
Con la Legge 18 maggio 1989, n. 183 “Norme
per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”
viene avviato un profondo processo di riorganizzazione delle competenze
in materia di gestione e tutela del territorio, con la ripartizione dei
compiti e dei poteri tra Stato, Autorità di Bacino, Regioni e Comuni.
Il carattere di riforma di tale legge è
riconoscibile in diversi aspetti e tra le novità più incisive c’è
sicuramente la scelta dell’ambito territoriale di riferimento per lo
svolgimento delle attività di pianificazione e di programmazione in
materia di difesa del suolo, con la definizione di un’unità fisiografica,
il bacino idrografico, che costituisce la sede dei fenomeni
geo-morfo-dinamici che determinano il dissesto.
Gli obiettivi principali della legge quadro
vengono raggiunti con diversi strumenti di piano che convergeranno nello
strumento più importante, rappresentato dal Piano di Bacino
idrografico, la cui caratteristica è quella di prevalere su ogni
piano o programma di settore con contenuti di tutela dell’ambiente. Le
finalità e i contenuti del Piano di Bacino sono illustrati nell’art. 17
della Legge 183: “esso ha valore di piano territoriale di settore ed
è uno strumento mediante il quale sono pianificate e programmate le
azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa ed
alla valorizzazione del suolo”. Il comma 6 bis dello stesso articolo
individua la predisposizione di misure di salvaguardia, mentre il comma
6 ter dispone che i Piani di Bacino possono essere adottati anche per
sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali e che devono
essere disposte, in ogni caso, le opportune misure inibitorie e
cautelative in relazione agli aspetti non ancora compiutamente
disciplinati.
Il Decreto Legge n. 180/98, noto con il nome
di “provvedimento Sarno”, è stato emanato l’11 giugno 1998, poco più di
un mese dopo il disastro di Sarno del 5 maggio 1998, e dispone che,
entro il 30 giugno 1999, le Autorità di bacino di rilievo nazionale e
interregionale e le Regioni adottino, qualora ciò non fosse già avvenuto
in applicazione alla Legge 183/89, i Piani Stralcio di bacino per
l’Assetto Idrogeologico.
L’innovazione rispetto alla legislazione
precedente sta nel carattere di emergenza e di immediatezza, sia
nell’acquisizione delle conoscenze che nella programmazione degli
interventi e nell’emanazione delle norme di salvaguardia. Il tema
ricorrente è, infatti, quello della sicurezza, dell’omogeneità
dell’azione pianificatoria, della volontà di fissare ed ottenere almeno
un livello minimo di applicazione della legge quadro alla scala
dell’intero territorio nazionale.
Il D.L. 180/98 viene convertito con
modificazioni con la L. 267/98, concedendo, tra l’altro, tempi più
lunghi per le modalità di adozione e coinvolgendo, fra gli Enti onerati
di fornire indicazioni sullo stato di dissesto del territorio, anche gli
Enti di gestione degli acquedotti.
L’Atto di Indirizzo e Coordinamento,
previsto dal comma 2 dell’art. 1 del D.L. 180/98 ed adottato con Decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri il 29/09/1998, viene redatto
per consentire alle Autorità di Bacino ed alle Regioni di realizzare
prodotti il più possibile omogenei e confrontabili a scala nazionale.
Fornisce, dunque, i criteri generali per l’individuazione e la
perimetrazione delle aree a rischio che tengano conto “quale elemento
essenziale per l’individuazione del livello di pericolosità, la
localizzazione e la caratterizzazione di eventi avvenuti nel passato
riconoscibili o dei quali si ha, al momento presente, cognizione”.
Stabilisce, inoltre, che per le aree a maggiore rischio, che vanno
comunque intese come suscettibili di revisione e perfezionamento,
debbano adottarsi le misure di salvaguardia e debbano predisporsi
programmi di intervento urgenti.
L’Atto di indirizzo e coordinamento
distingue la metodologia di indagine a seconda del tipo di dissesto
presente, idraulico e/o di frana, individuando per ciascuno di essi le
tre fasi operative di lavoro e definendo quattro classi di rischio a
gravosità crescente da moderato a medio, elevato e molto elevato. La
valutazione, l’enunciazione e l’identificazione del rischio avviene
secondo criteri di letteratura.
La caratteristica innovativa di tale Atto di
Indirizzo e Coordinamento e di aver introdotto i seguenti concetti:
Il rischio R deve considerarsi come
il prodotto di tre fattori fondamentali:
R = H * E * V
Dove:
§
H è la pericolosità o
probabilità che l’evento calamitoso accada;
§
E è il valore degli
elementi a rischio (intesi come persone, cose, patrimonio ambientale);
§
V è la vulnerabilità
degli elementi a rischio (intesa come capacità di sopportare le
sollecitazioni e l’intensità dell’evento).
Tale formula individua i fattori che
determinano il rischio, senza porsi come obiettivo quello di giungere ad
una valutazione di tipo strettamente quantitativo.
Nell’Atto di indirizzo e coordinamento viene
fornito un carattere generale di priorità degli elementi considerati a
rischio, considerando innanzitutto l’incolumità delle persone come
elemento prioritario a maggiore rischio, a cui seguono:
§
Gli agglomerati urbani,
comprese le zone di espansione urbanistica;
§
Le aree su cui insistono
insediamenti produttivi, impianti tecnologici di rilievo, in particolare
quelli definiti a rischio ai sensi di legge;
§
Le infrastrutture a rete, le
vie di comunicazione di rilevanza strategica, anche a livello locale;
§
Il patrimonio ambientale ed i
beni culturali di interesse rilevante;
§
Le aree sede di servizi
pubblici e privati, di impianti sportivi e ricreativi, strutture
ricettive ed infrastrutture primarie.
L’Atto di indirizzo e coordinamento dispone,
inoltre, che le attività di redazione dei Piani vengano articolate in
tre fasi, corrispondenti a diversi livelli di approfondimento:
1)
Individuazione delle aree
soggette a rischio idrogeologico, attraverso l’acquisizione delle
informazioni disponibili sullo stato del dissesto;
2)
Perimetrazione, valutazione
dei livelli di rischio e definizione delle conseguenti misure di
salvaguardia;
3)
Programmazione della
mitigazione del rischio e previsione di spesa.
Nelle aree perimetrate, si dovrà sviluppare
l’analisi fino al grado di dettaglio sufficiente a consentire
l’individuazione, la programmazione e la progettazione preliminare degli
interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, comprese le
eventuali necessarie delocalizzazioni di insediamenti, ai fini anche
della quantificazione del fabbisogno finanziario.
È propria di questa fase l’indagine
geologica e geotecnica per l’acquisizione dei parametri e degli elementi
di valenza progettuale, nonché l’eventuale monitoraggio. Le misure di
salvaguardia consistono principalmente nel sottoporre a vincolo
temporaneo (fino all’approvazione del Piano di Bacino), le aree a
rischio idrogeologico e illustrano gli indirizzi per la salvaguardia
delle aree a rischio idraulico e di frana, elevato e molto elevato.
L’Atto di indirizzo e coordinamento definisce, infine, i criteri
generali e gli elementi essenziali per l’istruttoria dei progetti di
intervento urgenti per la mitigazione del rischio idrogeologico. Il
carattere chiaramente emergenziale del provvedimento, che è finalizzato
a risolvere situazioni note e improcrastinabili in presenza di limitate
risorse, porta ad escludere tendenzialmente che si tratti di interventi,
a carattere strutturale, di grandi dimensioni o di vaste aree. Si tratta
piuttosto di interventi, generalmente a carattere puntuale, atti a
ridurre i rischi locali e al tempo stesso a concorrere alla riduzione
dei rischi a scala di bacino.
A seguito degli eventi alluvionali del 9-10
settembre 2000 della Calabria orientale veniva emanato il D.L. n.
279/2000, convertito con la Legge n. 365 dell’11 dicembre 2000 che
anticipa in maniera perentoria la data di adozione dei Piani Stralcio al
30 aprile 2001, fornendo le nuove procedure per l’adozione dei piani: le
Regioni devono convocare una conferenza programmatica articolata per
sezioni provinciali o secondo un ambito territoriale definito dalla
Regione stessa, alla quale partecipano le province ed i comuni
interessati, oltre alla Regione e ad un rappresentante delle Autorità di
bacino. Il Comitato istituzionale dell’Autorità di bacino, in sede di
adozione del piano, deve tenere conto delle determinazioni della
suddetta conferenza programmatica. Il piano, una volta adottato dal
Comitato istituzionale, costituisce variante agli strumenti urbanistici
generali.
Nella nuova procedura d’adozione viene
sottolineata quindi la necessità di una forte condivisione delle scelte
di piano da parte delle Amministrazioni locali, per evitare il ripetersi
del coro di aspre polemiche che seguirono l’approvazione dei Piani
Straordinari in tutta l’Italia. La nuova legge interviene sulla
salvaguardia estendendo la validità delle norme imposte dai Piani
Straordinari fino all’approvazione dei Piani per l’Assetto
Idrogeologico. Inoltre stabilisce che tali norme si applichino:
§
Alle aree ricomprese nel
limite di 150 metri dalle ripe o dagli argini di laghi, fiumi e
torrenti, situati nei territori dei comuni nei quali sia stato
dichiarato lo stato di emergenza (ex legge 225/1992) per inondazione,
nonché nelle analoghe zone dei comuni indicati ad alto rischio
idrogeologico nei piani straordinari;
§
L’estensione della fascia di
150 metri corrisponde a quella stabilita dalla legge 431/1985 (la Legge
Galasso ora modificata e confluita nel testo unico sui beni culturali:
Decreto legislativo 490/99); nei corsi d’acqua la cui larghezza risulti
inferiore a 150 metri, le aree sono quelle comprese nel limite pari, a
ciascun lato, alla larghezza;
§
Nelle aree con probabilità di
inondazione corrispondente alla piena con tempo di ritorno massimo di
200 anni che non siano già ricomprese in bacini per i quali siano stati
approvati i piani stralcio.
La legge stabilisce inoltre che entro 60 gg.
dalla sua entrata in vigore, gli organi di protezione civile provvedono
a predisporre, per le aree a rischio, i Piani di emergenza contenenti
misure di salvaguardia dell’incolumità delle popolazioni interessate,
compreso il preallertamento, l’allarme e la messa in salvo preventiva.
olo
2 - IL P.A.I. IN SICILIA
Capitolo 2
IL P.A.I. IN SICILIA
La Regione Sicilia adotta il Piano
Straordinario per l'Assetto Idrogeologico (PSAI) con Decreto 4 luglio
2000, n. 298 dell'Assessore Regionale del Territorio e Ambiente, ai
sensi del comma 1 bis del Decreto Legge n. 180/89. Attenendosi alle
disposizioni dettate dall’Atto di Indirizzo e Coordinamento, previsto
dal comma 2 dell’art. 1 del D.L. 180/98 ed adottato con Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri il 29/09/98, redatto per
consentire alle Autorità di bacino ed alle Regioni di realizzare
prodotti il più possibile omogenei e confrontabili a scala nazionale,
nel P.A.I. della Regione Siciliana si è distinta la metodologia di
indagine a seconda del tipo di dissesto presente, idraulico o
geomorfologico, individuando per ciascuno di essi le tre fasi operative
di lavoro.
Considerata la complessità territoriale
della Regione Sicilia, sia in termini di estensione areale che in
termini di variabilità geomorfologica dei versanti e delle valli
fluviali, oltre che le variegate condizioni geologiche e climatologiche,
ed in conformità a quanto stabilito dall’art.17, comma 6 ter, della
Legge 183/89 che ha previsto la facoltà di redigere il Piano di Bacino
per stralci che possono riguardare sottobacini o settori funzionali,
l’Assessore Regionale al Territorio e Ambiente ha individuato, con D.A.
n. 176/S9 del 04/04/2002, ai sensi e per gli effetti dell’art. 130 della
Legge Regionale 3 maggio 2001 n. 6, i bacini idrografici prioritari dai
quali iniziare il progetto di Piano Stralcio per l’Assetto
Idrogeologico, individuando i primi n. 57 da cui iniziare l'analisi.
Con D.A. n. 1213 del 27/10/2003 sono stati
individuati gli altri bacini idrografici, le aree territoriali
intermedie e le isole minori sui quali continuare le attività di
redazione degli stralci di P.A.I. La Regione Siciliana è stata suddivisa
in 102 bacini idrografici principali (corsi d’acqua aventi sbocco a
mare) e aree comprese tra una foce e l’altra, raggruppandoli, dal punto
di vista geografico, nei tre versanti siciliani: settentrionale,
sud-occidentale ed orientale; a queste 102 aree e bacini vanno aggiunti
i territori delle isole minori, raggruppati in 5 arcipelaghi, a
costituire un totale di 107 P.A.I.. Per ogni bacino idrografico è stato
realizzato un progetto di piano stralcio. I progetti sono stati redatti
singolarmente, nel caso dei bacini idrografici di maggiore estensione e
le isole minori, o raggruppando i bacini idrografici meno estesi e le
aree territoriali intermedie.
Nella redazione del Piano si è privilegiata
l’interlocuzione, già avviata nell’Aggiornamento del Piano
Straordinario, con le Amministrazioni locali e i professionisti da loro
incaricati per gli studi di aggiornamento, ma anche per ascoltare le
diverse espressioni sulle esigenze del territorio.
Attraverso il Piano Stralcio per l’Assetto
Idrogeologico, la Sicilia si dota, per la prima volta, di uno strategico
ed organico (sia pur limitato) strumento di pianificazione territoriale
di settore, di prevenzione e di gestione delle problematiche
territoriali riguardanti la difesa del suolo. La finalità sostanziale
del P.A.I. è pervenire ad un assetto idrogeologico del territorio che
minimizzi, per ogni area, il livello del rischio connesso ad
identificati eventi naturali estremi, incidendo, direttamente o
indirettamente, sulle variabili Pericolosità, Vulnerabilità e Valore
Esposto.
Il P.A.I., quale piano di settore
sovraordinato, costituisce indispensabile strumento di riferimento
conoscitivo e prescrittivo per la pianificazione territoriale e
urbanistica, in quanto individua i fenomeni fisici e ambientali del
territorio che determinano il rischio idrogeologico, graduando
pericolosità e rischio in funzione dell’esposizione della popolazione e
degli elementi fisici, essenzialmente di natura antropica. Esso,
pertanto, assume la funzione di pianificare e programmare le azioni, gli
interventi e le norme d’uso riguardanti la difesa dal rischio
idrogeologico del territori, al fine di proteggere l’incolumità della
popolazione esposta e di salvaguardare gli insediamenti, le
infrastrutture ed in generale gli investimenti.
Costituiscono parte integrante del P.A.I. le
Cartografie Tecniche Regionali in scala 1:10.000, in cui sono
rappresentati i tematismi fondamentali del Piano:
§
Dissesti
§
Pericolosità e Rischio
geomorfologico
§
Pericolosità idraulica per
fenomeni di esondazione
§
Rischio idraulico
L'insieme degli studi e delle attività di
indagine condotti ha consentito di pervenire per ciascun territorio
comunale e nell'ambito del bacino/area in cui ricade alla descrizione
dei dissesti geomorfologici/idraulici presenti ed alla loro
classificazione in termini del livello di pericolosità e del rischio
conseguente.
Le prescrizioni e le norme d'uso del suolo
riguardanti l'assetto idrogeologico che da tale piano discendono sono
illustrate dalla Relazione Generale, pubblicata nel 2004, e da circolari
emanate dall'ARTA durante la redazione ed a conclusione dell'attività
del progetto del P.A.I.. La Relazione Generale contiene le Norme
Tecniche di Attuazione e dal momento dell'approvazione del P.A.I. le
previsioni e le prescrizioni in esso contenute costituiscono variante
agli strumenti urbanistici vigenti.
Il P.A.I. ha sostanzialmente tre funzioni:
§
La funzione conoscitiva del
sistema fisico e del sistema antropico, occupandosi anche della
ricognizione delle situazioni di degrado, sia evidenti che potenziali,
acquisendo lo stato normativo relativo alle previsioni degli strumenti
urbanistici e ai vincoli idrogeologici e paesaggistici esistenti nel
territorio in esame;
§
La funzione normativa e
prescrittiva, applicata agli ambiti delle attività connesse alla tutela
del territorio e delle acque, alla gestione delle risorse, fino alla
valutazione della pericolosità e del rischio idrogeologico e alla
conseguente attività di vincolo in regime sia straordinario che
ordinario;
§
La funzione programmatica, che
fornisce le possibili metodologie d’intervento finalizzate alla
mitigazione del rischio, e determina l’impegno finanziario occorrente e
la distribuzione temporale in termini di priorità e programmazione degli
interventi.
Il P.A.I. è stato predisposto sulla base
degli elementi di conoscenza disponibili e consolidati (segnalazioni,
pubblicazioni scientifiche, archivi nazionali sui dissesti verificatisi
nel corso degli anni passati), di sopralluoghi in loco per situazioni di
maggiore rischio, dell’analisi storica delle foto aeree, nonché dell’ortofotocarta
digitale, datata al 1998, e tenendo conto di tutti i dati e le
informazioni in vario modo acquisiti dagli uffici competenti per la
redazione.
Ogni dissesto è stato cartografato spesso
con l’ausilio delle foto aeree e delle ortofoto, con una analisi estesa
su tutto il territorio del bacino idrografico e per ogni dissesto è
stata individuata la tipologia. Successivamente con sopralluoghi diretti
prevalentemente su centri abitati o zone in cui i dissesti coinvolgevano
infrastrutture, si sono identificate meglio le tipologie di dissesto e
si è determinato lo stato di attività. La digitalizzazione delle carte
ha permesso di creare un inventario di tutti i dissesti ricadenti in un
bacino idrografico a cui è stato associato un database che ne riporta le
caratteristiche principali: tipologia, dimensioni, stato di attività,
ecc.. Queste informazioni consentono di calcolare il valore di
pericolosità di ogni dissesto e da questo stabilire, sulla base
dell’elemento presente, il valore del rischio corrispondente.
In primis sono state definite le tipologie
di dissesto geomorfologico riscontrate e suddivise in:
§
Crollo e/o ribaltamento
§
Colamento rapido
§
Sprofondamento e Subsidenza
§
Scorrimento rotazionale o
traslativo
§
Frana complessa
§
Espansione laterale e
Deformazione gravitativa profonda di versante (D.G.P.V.)
§
Colamento lento
§
Aree a franosità diffusa
§
Deformazioni superficiali
lente
§
Calanchi
§
Dissesti per erosione
accelerata
Quindi sono state distinte per stato di
attività in:
§
Attiva o riattivata
§
Inattiva
§
Quiescente
§
Stabilizzata naturalmente o
artificialmente
Sulla base di matrici che tengono conto di
tipologia, stato di attività, estensione areale, volume coinvolto, ecc.
è stata definita la Magnitudo del dissesto e conseguentemente il valore
di pericolosità geomorfologica.
Pertanto oltre ad una carta del dissesto
geomorfologico è stata elaborata la carta della pericolosità e del
rischio geomorfologico. Essa è conseguente ad una successiva
valutazione, mediante ulteriori matrici che tengono conto del valore
degli elementi esposti, che porta alla definizione degli elementi a
rischio geomorfologico. All’interno di ogni area pericolosa,
l’individuazione degli elementi in base alla loro vulnerabilità,
determina le condizioni di rischio. In particolare la perimetrazione
cartografica della pericolosità di frana coincide con la perimetrazione
relativa al dissesto nella maggior parte delle tipologie di dissesto
geomorfologico; mentre per le frane di crollo è stata calcolata, in
termini cautelativi e laddove non sono presenti particolari situazioni,
una fascia di ampiezza pari a m. 20 a monte della zona superiore di
distacco, quale zona di potenziale pericolo per arretramento del fronte
roccioso, mentre a valle è stata individuata l’area di propagazione dei
massi distaccati, ipotizzata in base alle caratteristiche morfologiche
dei luoghi a valle ed alla distribuzione dei massi crollati
riconosciuti.
Relativamente ai dissesti di natura
idraulica, lo studio idraulico è stato finalizzato sia alla valutazione
delle capacità di convogliamento dei diversi tratti d’alveo nelle loro
condizioni attuali, sia all’individuazione dell’estensione delle aree di
allagamento, nei tratti soggetti ad esondazione. E’ stata necessaria,
inizialmente, la costruzione di un quadro conoscitivo di base
dell’ambiente fisico oggetto di studio. Oltre alla definizione del
reticolo idrografico, dei limiti del bacino principale e dei
sottobacini, è stata effettuata una prima caratterizzazione delle aste
fluviali. Parallelamente a tale attività, sono stati acquisiti tutti gli
elementi conoscitivi utili all’individuazione delle aree potenzialmente
inondabili attraverso informazioni storiche e attraverso analisi di tipo
territoriale. Si è proceduto così allo studio idrologico dei vari bacini
e sono state stimate le massime portate relative alle sezioni di
interesse del corso d’acqua (in dipendenza delle aree potenzialmente
inondabili prima individuate) e la probabilità associata che tali
portate vengano raggiunte o superate.
Nella fase successiva, attraverso lo studio
idraulico, sono state determinate, in ogni sezione scelta, i livelli
idrici associati agli eventi di piena definiti al passo precedente e,
conseguentemente, sono state perimetrate le aree inondabili. Infine,
sono stati valutati la pericolosità ed il rischio. Si sottolinea che,
nella metodologia adottata per determinare il rischio per inondazione,
si è tenuto conto del valore degli elementi a rischio presenti nell’area
in esame e della pericolosità idraulica.
Lo studio idrologico è stato effettuato
avvalendosi delle tecniche proprie dei Sistemi Informativi Geografici
(GIS) e di un modello di pubblico dominio: l’HEC-HMS (Hydrologic
Modeling System) dell’ Hydrologic Engineering Center.
L’analisi del rischio idraulico è stata
condotta in dettaglio sui tratti vallivi delle aste fluviali principali,
interessati dalla presenza di centri abitati, per i quali si dispone di
rilievi morfologici trasversali dell’alveo. L’indagine verso monte è
stata ritenuta superflua, in quanto gli eventi di piena sono spesso
contenuti dai versanti prospicienti e non vi sono, solitamente,
consistenti elementi a rischio nelle zone golenali, salvo limitate opere
puntuali.
Il modello idraulico di propagazione
utilizzato è l’HEC-RAS (River Analysis System) sviluppato dall’Hydrologic
Engineering Center dell’US Army Corps of Engineers. L’applicazione di
tale software ha permesso di ottenere l’andamento dei profili di
rigurgito, in condizione di moto stazionario, potendo quindi individuare
l’entità e l’estensione delle zone di allagamento, sia all’interno
dell’alveo che nelle zone contigue, valutando l’influenza di eventuali
ponti o di vari ostacoli sul normale deflusso della corrente.
Nelle aree individuate come “pericolose” e
“a rischio” vengono date delle prescrizioni sempre più restrittive in
ragione della crescente pericolosità e vulnerabilità degli elementi a
rischio. Tali norme e prescrizioni costituiscono l’allegato normativo
del P.A.I. e prevedono che nelle condizioni di rischio più elevato sia
rispettata l’inedificabilità assoluta del territorio. La procedura di
approvazione del P.A.I. prevede la pubblicazione all’Albo Pretorio dei
Comuni e delle Province per 30 giorni e l’eventuale presentazione delle
osservazioni al Piano, l’indizione della Conferenza Programmatica,
l’approvazione in Giunta Regionale ed il Decreto di approvazione a firma
del Presidente della Regione.
Ogni stralcio del P.A.I. è accompagnato da
una programmazione degli interventi più idonei a mitigare o risolvere le
situazioni di pericolosità. Spesso le indicazioni sono state fornite
dagli Enti interessati, con la compilazione di opportune schede
progettuali in cui vengono indicati da parte degli Enti locali ulteriori
informazioni sullo stato di dissesto del loro territorio. In altri casi,
il fabbisogno economico per la risoluzione o mitigazione dei livelli di
pericolosità e rischio è stato valutato in maniera speditiva sulla base
delle osservazioni derivanti dagli studi effettuati per la redazione del
P.A.I..
Il quadro degli interventi, con il relativo
fabbisogno finanziario, è stato determinato in ogni progetto di P.A.I.,
ovvero per ogni bacino idrografico è stato redatto un elenco delle
necessità d’intervento suddivise per ogni territorio comunale ricadente
all’interno del bacino stesso. L’elenco contiene gli interventi
necessari alla mitigazione del rischio, ordinati secondo un livello di
priorità decrescente da molto elevato (R4), a elevato (R3) e seguenti.
Gli interventi sono stati suddivisi in due liste separate: una per il
rischio geomorfologico e una per il rischio idraulico. Ciò è risultato
necessario per la differente metodologia di individuazione delle
priorità di intervento.
L’elenco definito sulla base degli
interventi segnalati costituirà il programma degli interventi
strutturali per la mitigazione del rischio idrogeologico del bacino
idrografico di riferimento.
La Sicilia con una superficie di circa
25.707 km2 (isole minori comprese) è la regione italiana
territorialmente più estesa e possiede gran parte del suo territorio di
natura montana e di relativa giovane età, per cui risulta
particolarmente esposta alle dinamiche erosive legate al ciclo terrestre
delle acque e agli agenti atmosferici in generale. Questo si traduce in
un diffuso stato di instabilità dei versanti che determina una, a volte
lenta a volte rapida, evoluzione delle morfologie, coinvolgendo,
rovinosamente, tutto quanto vi si trova sopra.
Ad aggravare il quadro si aggiunge
l’incremento, caotico e spesso senza regole, dell’occupazione dei suoli
negli ultimi 40 anni, che si mostra con un diffuso disordine urbanistico
degli insediamenti residenziali, produttivi e delle infrastrutture
pubbliche.
Ad una situazione eterogenea
territorialmente per le infrastrutture e le aree urbanizzate a rischio,
si affiancano anche aspetti a valenza territoriale con esempi ben
definibili di fenomeni che determinano pericolosità elevate e che sono
specifici di una ristretta area, come ad esempio il caso dell’area del
Messinese o delle colline argillose della Sicilia centrale.
La condizione attuale risulta così devastata
che ciascun settore degli usi antropici territoriali ha le sue priorità
nella necessità di intervenire per un dissesto in atto o potenziale.
Il processo di redazione del P.A.I. si è
concluso nella sua prima stesura completa nel 2007 e costituisce il
risultato di un lungo processo di conoscenza ed omogeneizzazione delle
informazioni territoriali relative ai dissesti idrogeologici,
finalizzato alla definizione, per gradi di approssimazione successivi,
del miglior assetto idrogeologico ai fini della sostenibilità
territoriale delle attività umane che in esso si svolgono.
Tale processo di redazione ha evidenziato la
presenza nel territorio siciliano di 300 centri abitati su 390 aventi
infrastrutture o edifici soggetti a rischio molto elevato geomorfologico
o idraulico, oltre ad essere diffusamente colpita la gran parte della
rete stradale.
Sono stati censiti circa 32.000 frane e sono
state classificate circa 18.500 aree a rischio, di cui ben 1.770 a
rischio geomorfologico molto elevato R4. Con riferimento a fenomeni di
natura idraulica sono stati censiti 1.700 aree a rischio molto elevato
R4 ed elevato R3.
CONCLUSIONI
Le esperienze maturate durante questa prima
fase di gestione del Piano hanno permesso di affrontare i differenti
aspetti della “difesa del suolo” soprattutto in riferimento alle
situazioni di maggiore emergenza (con la necessità continua di tenere
aggiornato il Piano).
Riguardo alla fase di aggiornamento continuo
del Piano il clima è stato maestro severo negli ultimi 7 anni, in cui si
è riscontrato un generale incremento, sia in termini di dimensioni che
di frequenza, dei fenomeni franosi e degli eventi di nubifragi con
allagamenti e inondazioni e, purtroppo, un rilevante numero di perdite
umane. Questo, cinicamente, ci ha insegnato che le situazioni di elevato
rischio per la vita sono molto diffuse in Sicilia ed il degrado
dell’assetto del territorio è tale che non viene più attutito l’effetto
degli eventi eccezionali.
Il Piano rappresenta oggi il quadro di
riferimento regionale della pianificazione urbanistica e della gestione
dell’uso del territorio, per l’individuazione delle pericolosità e delle
condizioni di rischio e per la programmazione degli interventi
strutturali e non strutturali (Art. 69 del D.Lgs.152/06 – modalità
attuative dei Piani Stralcio).
Come è avvenuto per il Programma Operativo
Regionale 2000-2006 e per PO FESR Sicilia 2007-2013, anche con la nuova
Programmazione 2014-2020 dei fondi europei il Piano si presenta con una
proposta organica di interventi finalizzati, non solo alla riduzione del
rischio, ma soprattutto tendenti ad iniziare un percorso verso la
definizione di un “sistema regionale di difesa del suolo” a carattere
interdipartimentale e in stretta collaborazione con gli Enti Locali.
Girolamo Giordano |