IL DISSESTO IDROGEOLOGICO IN ITALIA
di
Dario Zanetti
Il dissesto
idrogeologico è l'insieme dei processi morfologici che possiedono
un'azione distruttiva e degradante del suolo e l’effetto di tali
fenomeni si ripercuote indirettamente anche nei confronti dei
manufatti. Esso comprende tutti quei processi che vanno dall'erosione
superficiale e sottosuperficiale fino agli eventi franosi e le
alluvioni.
Le cause
principali di tale fenomeno sono legate soprattutto alle
caratteristiche geolitologiche dei territori, dove terreni a
componente argillosa tendono a essere meno stabili di quelli a
componente silicea, calcarea o cristallina; alla prevalenza di
territorio montuoso e collinare, esso infatti risulta essere
geologicamente giovane e soggetto al verificarsi di fenomeni
orogenetici; alle condizioni climatiche, dove a lunghi periodi di
siccità succedono brevi ma intensi periodi con precipitazioni diffuse;
all’erosione accelerata da depauperamento o assenza di copertura
boschiva.
A queste va
aggiunta anche una componente antropica, dovuta alla
costruzione di infrastrutture senza tenere in considerazione le
caratteristiche geomorfologiche e geotecniche dell’ambiente nel
quale esse si insediano e alla modifica della permeabilità dello
strato superficiale del suolo sulle quali sussistono;
all’abbandono dei terreni montani e rurali a causa
dell’urbanizzazione; all’eccessivo disboscamento.
Gli eventi
franosi possono essere prevenuti mediante la predisposizione di
protocolli di indagine. Essi prevedono indagini e prove geotecniche,
sondaggi, scavi, osservazione diretta, foto aeree o satellitari,
monitoraggio delle variazioni di pressione di falda e della stabilità
dei versanti mediante strumentazione (piezometri, inclinometri,
estensimetri), indagini storiche, carte tematiche, di instabilità dei
versanti e geomorfologiche.
Il
monitoraggio topografico può essere integrato dall’utilizzo del Sistema
di Posizionamento Globale (GPS). Uno dei vantaggi dell'utilizzo di
questo Sistema satellitare e' la possibilità di operare con qualsiasi
condizione atmosferica e in assenza di visibilità.
Attraverso
tale tecnologia si può determinare la posizione (latitudine,
longitudine, quota) sulla superficie terrestre di un punto e quindi
calcolare gli eventuali spostamenti di un caposaldo, posizionato
nell'area di frana.
Per
prevenire i fenomeni franosi devono essere altresì predisposti specifici
accorgimenti quali, canali di deflusso a monte della zona di distacco,
canali lungo il pendio instabile, tubi o trincee drenanti, posa di
geotessili, gradonature, banchine al piede della frana, muri di
sostegno, paratie o sistema di pali, Rimboscamento, cespugliamento,
inerbimento e opere di ingegneria naturalistica.
Anche le
cause di alluvione possono essere molteplici. Esse avvengono in
seguito a variazioni dell’andamento naturale delle precipitazioni,
a una intensa impermeabilizzazione del territorio soprattutto
nelle aree urbane e peri-urbane, alla costruzione di infrastrutture
viarie a fondovalle, alla mancanza di opere di pulizie degli
alvei fluviali e torrentizi.
Per la
prevenzione delle inondazioni, è stato necessario introdurre la
produzione di carte tematiche di base con l’indicazione dei
limiti dei bacini; di carte delle aree inondabili, con
l’indicazione delle zone ad alta, media e bassa probabilità di
inondazione; mappe delle aree a valle degli sbarramenti artificiali
e mappe del rischio, con l’indicazione degli insediamenti, dei
servizi d’ordine e di soccorso; fasce di pertinenza fluviale (
L.183/89 ), concernenti quelle aree all’interno delle quali realizzare
interventi per ridurre l’artificialità del corso d’acqua.
Tutti questi
fenomeni sono estremamente diffusi sul territorio nazionale. Dalla
recente pubblicazione del dossier “Terra e Sviluppo” decalogo del
territorio 2010, redatto dall’Ordine Nazionale dei Geologi in
collaborazione con il Centro Ricerche Economiche e Sociali di Mercato
per l’Edilizia e il Territorio (CRESME), emerge come negli ultimi
quaranta anni si siano verificati diversi eventi di dissesto
idrogeologico che hanno causato enormi danni. Tra i principali si
ricordano quelli di Firenze (1966), Genova (1970),
Ancona (1982), Val di Fiemme (1985), Valtellina
(1987), Piemonte (1994), Versilia (1996), Sarno
(1998), Soverato (2000), Nord-Ovest dell’Italia (2000),
Valbruna (2003), Varenna, Nocera Inferiore (2005), Cassano
delle Murge (2005), Ischia (2006), Vibo Valentia
(2006), Messina (2009), Laces (2010). Da esso si evince
come L’incremento dell’incidenza di effetti catastrofici corrisponda ad
un costante aumento del rischio idrogeologico legato all’espansione del
territorio antropizzato verso aree instabili a partire dal dopoguerra.
Lo studio
dei fenomeni franosi avvenuti su territorio nazionale venne avviato già
a partire dagli anni Sessanta. Recentemente il censimento delle aree
colpite da frane e inondazioni fra il 1918 e il 1990 viene avviato a
partire dal 1998 dal Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi
Idrogeologiche (GNDCI). Nel 1992 il Servizio Geologico Nazione pubblicò
un importante studio sul “Dissesto geologico e geoambientale in Italia
dal dopoguerra al 1990” a cura di V. Catenacci. Solamente a seguito
dell’evento catastrofico di Sarno (1998), venne avviato dall’ISPRA e
dalle Province Autonome il progetto IFFI (Inventario dei Fenomeni
Franosi in Italia).
Grazie a
questo progetto sono state censite circa 470.000 frane che interessano
un territorio di 20.000 kmq, pari al 6% del territorio nazionale
(dicembre 2006). Da tali fonti emerge che il 12% degli eventi (56.648
frane) ha prodotto danni a cose e/o persone. Tra le regioni maggiormente
colpite troviamo la Lombardia con il 28% delle frane, 130.500 circa;
l’Emilia Romagna con il 14% delle frane, 70.000 circa e le Marche con
il 9% del totale.
La mappa
dell’indice di franosità elaborata dall’ISPRA, evidenzia come le aree di
frana siano concentrate lungo l’arco alpino tra Tentino e Lombardia,
lungo l’Appennino tosco-emiliano e nell’Appennino marchigiano e
abruzzese.
Gli eventi
di dissesto idrogeologico oltre a provocare ingenti danni a edifici e
infrastrutture, mettono a rischio vite umane, provocando numerose
vittime.
L’Istituto
di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) e il Consiglio
Nazionale delle Ricerche (CNR) hanno censito le aree storicamente
colpite da calamità geologiche ed idrauliche e dall’analisi dei dati
emerge che tra il 1985 e il 2001 si sono verificati circa 15.000 eventi,
di cui 13.500 frane e 1.500 piene, con un picco significativo registrato
nella seconda metà degli anni Novanta. Alcuni di questi hanno provocato
diverse vittime e danneggiato pesantemente i centri abitati.
Da un
aggiornamento dei dati si può evincere come le frane di cui si è venuti
a conoscenza nel periodo 2002 – 2010 sono 905, 196 delle quali hanno
coinvolto circa 18.500 persone tra vittime, feriti e sfollati. Le frane
cha hanno provocato vittime sono 35 con un totale di 126 morti. Il 40%
degli eventi si concentrano in due annualità: il 2002 con 198 frane e il
2009 con 182. Piemonte, Lombardia, Liguria e Sicilia sono le regioni
dove si sono registrati circa la metà degli eventi franosi.
Essi hanno
avuto notevoli ripercussioni sulla popolazione, soprattutto, nelle
regioni del Sud Italia. Ne è un esempio significativo la Sicilia dove,
nell’arco di otto anni, sono state coinvolte in eventi calamitosi ben
5.539 persone con un totale di 43 vittime; anche in Calabria si
riscontra un alto numero di persone coinvolte, precisamente 5.426 di cui
12 vittime mentre in Campania le persone coinvolte sono 4.461 con un
totale di 14 vittime.
Dal rapporto
emergono altresì dati economico-statistici molto interessanti, infatti
possiamo notare come dal 1944 a tutto il 2009 per terremoti, frane,
alluvioni ed esondazioni si sono spesi 213 miliardi di euro, dei quali
161 miliardi solamente per i terremoti e 52 per il dissesto. Tale cifra
risulta essere davvero enorme se confrontata con la stima dei geologi e
le richieste contenute nei piani delle autorità di bacino per la messa
in sicurezza di tutto il territorio nazionale, che ammonterebbe a 40
miliardi di euro, dei quali il 68% destinato al Centro-Nord.
Si evince
anche che l’Italia dal 1999 al 2008 ha speso per la protezione
dell’ambiente (difesa del suolo, riduzione dell’inquinamento, e assetto
idrogeologico) 58 miliardi, 26 miliardi destinati per la prevenzione
dei rischi e 31 per le spese di parte corrente.
Una migliore
pianificazione della spesa per la prevenzione dei fenomeni di dissesto
idrogeologico porterebbe ad una ottimizzazione delle risorse economiche
disponibili. Infatti gli interventi straordinari per la gestione di una
emergenza da parte dello stato o degli enti locali, oltre ad essere
molto costosi si possono ripercuotere per diversi anni sui rispettivi
bilanci. Ad esempio ancora oggi dopo 42 anni paghiamo (e pagheremo fino
al 2018) un obolo di 168 milioni all'anno (8,4 miliardi in tutto) per il
sisma che rase al suolo la valle del Belice, nel lontano 1968
(Dic.
2010).
Dario Zanetti |