Donne vittime
di persecuzioni nel mondo
di Anna Satta
Nell’era del
villaggio globale le distanze si annullano e le notizie dell’ultima ora
arrivano da ogni parte del mondo in tempo reale. Il mondo intero
assiste impotente ad una vicenda di estrema crudeltà. Circa un mese
fa, decine di miliziani armati fino ai denti, appartenenti ad una ormai
nota organizzazione islamica denominata Boko Haram, fanno irruzione in
un dormitorio di Chibok nel nord-est della Nigeria, catturando e
facendo sparire centinaia di ragazze, studentesse liceali tra i diciotto
e i quindici anni. I sequestratori sono arrivati sul posto con dei
camion spacciandosi per soldati.
Hanno
bruciato decine di case, rubato scorte alimentari e caricato le donne
sui camion scoperti. Si sa ancora molto poco di come sono andate le cose
e del destino riservato a queste giovani, le cui uniche immagini le
vedono indossare una tunica scura e un lungo velo a nasconderne
l’identità.
Tutto ciò
suscita certamente rabbia e indignazione e le accuse circolate al
governo del Paese riguardo alla gestione del caso e all’impegno nelle
ricerche pone al centro del dibattito internazionale la questione
femminile e il modo in cui si trattano simili storie che accadono in
paesi lontani. Vero è che l’unico scopo del rapimento è quello della
tratta delle schiave, vendute come merce di scambio, “spose bambine” del
valore di duecento dollari l’una. Le violenze perpetrate, anche di tipo
domestico, gli stupri e una legge come quella nigeriana che permette di
sposare le minorenni.
La
condizione delle donne in tanti paesi del mondo, nega ogni diritto ad
un’esistenza normale, all’istruzione e alle scelte libere, alla
possibilità di partecipare alla vita politica e influenzare la storia
del proprio Paese. L’uomo di Boko Haram lo sa bene ed è certo di poter
stabilire le regole del gioco; inneggia alla Guerra Santa, proibisce
l’educazione occidentale in un paese come la Nigeria a quasi totale
maggioranza mussulmana, dove si vieta ogni commistione con lo stile di
vita occidentale, dalla cultura all’istruzione, fino ai jeans e alle
t-shirt. E nel villaggio globale le leggi si rispettano.
Anna Satta
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