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ECOMAFIA
di
Valeria Lupidi
Il rapporto di Legambiente 2009
Lo scorso 5 maggio Legambiente, in occasione
della presentazione del rapporto Ecomafia2 in una conferenza stampa alla
quale ha partecipato, tra l’altro, il Procuratore Nazionale Antimafia
Pietro Grasso, ha emesso un comunicato stampa dal titolo “Un
business di 20,5 miliardi di euro per 25.776 ecoreati accertati:
l’ecomafia non conosce crisi”. Nel dossier si legge che circa la
metà dei reati accertati vengono consumati al sud Italia,
prioritariamente in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia. Il dato
allarmante che emerge dalla ricerca è che tutti i reati connessi
all’ecomafia sono in aumento: traffico di rifiuti pericolosi, abusivismo
edilizio, reati urbanistici, zoomafie ecc. L’unico dato positivo che
emerge è la maggiore efficacia degli interventi repressivi delle forze
dell’ordine e dei sequestri effettuati.
Anche il quotidiano l’Unità, riprendendo il
rapporto di Legambiente, lo stesso giorno scrive che la montagna di
scorie industriali gestite illegalmente dalla ecomafia in Italia ha
raggiunto la vetta di 3100 metri con una base di 3 ettari, un’altezza
quasi quanto quella dell’Etna. L’articolo fa ricorso ai numeri ed
alle statistiche per evidenziare come in un anno la montagna di rifiuti
speciali sparita nel nulla abbia movimentato nel 2008 un giro di affari
di circa 7 miliardi di euro, contro i 4,5 del 2007 e come, dal 2002,
anno di entrata in vigore del delitto di “organizzazione di traffico
illecito di rifiuti”, sono state 123 le operazioni giudiziarie portate a
termine contro quelli che orami vengono definiti i “signori dei veleni”,
sottolineando come questo risultato straordinario confermi la validità
dello strumento normativo.
Cos’è l’ecomafia
Per comprendere appieno l’ampiezza del
problema che si cela dietro la parola ecomafia è necessario risalire
alla sua origine. Ecomafia è un neologismo coniato da Legambiente per
indicare le organizzazioni criminali che commettono reati arrecanti
danni all’ambiente. In particolare, si legge su Wikipedia, sono
generalmente definite con tale termine le associazioni criminali dedite
al traffico e smaltimento illegale di rifiuti e all’abusivismo edilizio
di larga scala. Anche attività quali l’escavazione abusiva, il traffico
di animali esotici, il saccheggio dei beni archeologici e l’allevamento
di animali da combattimento possono essere considerate in questo modo.
Il ruolo giocato dalla criminalità
organizzata è estremamente importante nelle attività citate, ma la
realizzazione di tali reati sarebbe molto più difficile se non vi fosse
la collusione di imprese private, amministratori locali e organi di
controllo corrotti. Infatti, secondo Legambiente, lo smaltimento
illegale di rifiuti tossici o di scorie nucleari da parte di aziende che
hanno ricevuto l’appalto da enti pubblici per la loro depurazione,
gestione e messa in sicurezza è il più lucroso e pericoloso campo di
attività. I traffici legati a questo tipo di attività si sono infatti
sviluppati a partire dal 1982, anno di entrata in vigore della normativa
sul trattamento dei rifiuti speciali. Per la prima volta nel 1991, con
l’operazione Adelphi, vennero accertati reati di questo tipo e
sei imprenditori ed amministratori vennero condannati dal Tribunale di
Napoli per abuso di ufficio e corruzione, mentre vennero assolti dal
reato di associazione mafiosa. La strada però cominciava a delinearsi
verso la lotta ed il contrasto per tali reati, infatti nel 1994 venne
istituito l’Osservatorio Ambiente e Legalità da Legambiente in
collaborazione con l’Arma dei Carabinieri e nel 1997 è stato pubblicato
il primo Rapporto Ecomafia dell’associazione ambientalista che
continua a fare ogni anno il punto sull’argomento. Nel 1995 è stata
istituita la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei
rifiuti.
La Commissione Parlamentare
Nel corso della XIV Legislatura, la
Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha
prodotto un documento dal titolo “Infiltrazioni della criminalità
organizzata nel ciclo dei rifiuti”, nel quale l’organismo politico fa un
bilancio dell’attività svolta dai Commissari Straordinari nominati in
Campania dal Governo per risolvere le problematiche connesse alla
raccolta ed allo smaltimento dei rifiuti. Il documento infatti ritiene
che Vi è un aspetto che si ritiene doveroso porre in evidenza,
accanto al mancato conseguimento degli obiettivi per i quali era stato
istituito il Commissariato, ed è il costo di illegalità, di criminalità,
connessa al ciclo dei rifiuti, che la società campana ha dovuto
sopportare, ed in misura rilevante, negli anni della gestione
commissariale. In uno dei primissimi documenti approvati dalla
Commissione, dedicato proprio ai Commissariamenti per l’emergenza
rifiuti, si legge infatti un monito circa la pervasività della
criminalità organizzata nelle diverse fasi del ciclo dei rifiuti può
rappresentare un rischio ulteriore cui dedicare particolare attenzione.
Il 18 dicembre 2002, la stessa Commissione richiamava i soggetti
pubblici coinvolti, ad una attenzione sempre più vigile, in un settore
che le indagini giudiziarie di quegli anni indicavano come sempre più
centrale nell’economia dei sodalizi camorristici. Purtroppo questo non è
avvenuto, l’emergenza ha finito spesso per travolgere quella necessaria
vigilanza che, soprattutto in presenza di cospicue erogazioni di denaro
pubblico, va portata nel prevenire ogni rischio di infiltrazione
criminale.
Purtroppo tali avvertimenti non hanno avuto
riscontro nell’atto pratico e le successive indagini della magistratura
non hanno potuto che confermare l’abbassamento del livello di
trasparenza dei procedimenti di scelta dei contraenti e lo stretto
contatto delle ditte appaltatrici con i vertici del clan dei casalesi.
E’ triste constatare come nonostante ci si trovasse ad operare in una
regione dove il movimento terra è da sempre settore di interesse dei
clan camorristici, le imprese di trasporto non sono state selezionate
con dovuta attenzione.
Lo stesso Prefetto Catenacci, nel corso
dell’audizione del 15 marzo 2005, ha significativamente osservato che
La criminalità organizzata sorride per l’andamento odierno della
situazione in Campania; infatti, sono aumentati i trasporti (…) ed il
ritardo nella costruzione delle discariche e dei siti di smaltimento
determina l’aumento dei viaggi in direzione di altre località. Le
indagini delle forze di polizia e della magistratura rivelano sospetti
di collusione o di condizionamento tra imprese di trasporto e
criminalità organizzata.
La Commissione Parlamentare, anche su tale
input, ha più volte evidenziato nei suoi rapporti le storture legate al
commissariamento e l’assenza di qualsivoglia criterio di trasparenza
nell’individuazione delle imprese di trasporto dei rifiuti, segnalando
il singolare modus procedendi seguito dalla struttura
commissariale, impegnata, per un verso, a delegare a vari soggetti
strumentali l’organizzazione di tali attività, e, per l’altro, attenta
ad indicare ai medesimi le imprese cui fare riferimento.
Peraltro la regione Campania non è certo
nuova a tali reati. Dal 1991, anno in cui è stata approvata la normativa
sul commissariamento delle amministrazioni infiltrate, al 2005, anno
dell’inchiesta della Commissione, la Campania ha fatto registrare, con
59 Comuni sciolti, il più alto numero di provvedimenti sanzionatori e
ben dieci dal 2001. A titolo esemplificativo si evidenzia in proposito
che dei cinque decreti di scioglimento emessi ai sensi dell’articolo 143
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, ben tre recano nella
motivazione riferimenti a fenomeni di condizionamento della criminalità
organizzata nel settore degli appalti relativi alla gestione dei
rifiuti.
Nel decreto concernente il Comune di
Afragola si legge che Numerose e gravi illegittimità sono state
riscontrate in ordine al servizio di raccolta rifiuti solidi urbani,
svolto da una società, individuata ed incaricata con deliberazione del
commissario straordinario del 17 novembre 2000, successivamente svolto
in regime di proroga su autorizzazione del commissario di governo
delegato per l’emergenza rifiuti. E’ stato, infatti, verificato che,
sebbene formalmente le società, tutte controindicate ai fini antimafia,
facenti capo al titolare della ditta che in passato ha gestito il
servizio, non risultano più attualmente affidatarie dello stesso,
tuttavia continuano a lucrare nell’ambito del servizio stesso concedendo
in uso gli automezzi all’attuale società affidataria. Anche i locali
adibiti ad uffici amministrativi della società affidataria risultano di
proprietà di soggetti contigui al clan dominante. Si soggiunge che la
fornitura di mezzi meccanici alla suddetta società è stata effettuata da
ditte nella disponibilità di soggetti molto vicini al predetto clan.
Altra situazione presa in esame, anche sotto
il profilo della gestione dei rifiuti, è quella del comune di Casoria,
dove è la società che svolge il servizio di igiene urbana a prevalente
capitale pubblico, ad essersi rivolta a ditte, senza avere previamente
acquisito le necessarie informazioni presso l’ufficio antimafia della
Prefettura.
Infine la dimostrazione della penetrazione
diffusiva del condizionamento criminale nell’apparato della pubblica
amministrazione, con riferimento anche al ciclo dei rifiuti, si ha,
secondo la Commissione parlamentare, con lo scioglimento, primo caso in
Italia, di una ASL, la n.4. Nel decreto in questione infatti, si
sottolinea che dagli accertamenti svolti sull’affidamento del
servizio di trasporto dei rifiuti ospedalieri risulta che
l’amministratore unico della ditta aggiudicataria è gravato da numerosi
precedenti penali per reati contro l’ambiente ed è contiguo, seppur
indirettamente, alla delinquenza organizzata.
Il quadro è davvero desolante, soprattutto
se si considera che la Campania è sotto tutela commissariale da così
lungo tempo, che “l’emergenza rifiuti” non è ancora stata risolta e che
dal 2003 è stato sottoscritto il “Patto di legalità per l’ambiente” in
virtù del quale il Prefetto di Napoli, il Questore della medesima città,
il Presidente della Provincia, il Presidente dell’Ente Parco Nazionale
del Vesuvio ed i sindaci dei comuni di Acerra, Brusciano, Camposanto,
Casamarciano, Castello di Cisterna, Cicciano, Cimatile, Comiziano,
Mariglianella, Marigliano, Nola, Roccarainola, San Vitaliano, Saviano,
Scosciano, Tufino e Visciano, si sono impegnati a promuovere un’efficace
azione repressiva dei fenomeni dell’illegalità e di contrasto dei reati
ambientali, attraverso l’elaborazione di strategie comuni.
Lo smaltimento abusivo
I reati possono avvenire ad ogni livello del
ciclo dei rifiuti: produzione, trasporto e smaltimento. Il produttore
può dichiarare il falso sulla quantità o sulla tipologia dei rifiuti da
smaltire, oppure incaricare dell’operazione imprese che lavorano
sottocosto essendo a conoscenza del fatto che utilizzeranno metodi
illegali.
A livello di trasporto, possono venire
manomessi i documenti in modo da far sparire il carico (come è
probabilmente successo nella c.d. “nave dei veleni” affondata nelle
acque calabre). Ma è nell’operazione di smaltimento che si ha la
maggiore possibilità di truffa: finte trasformazioni, bancarotte
fraudolente degli impianti di trasformazione con il risultato di
abbandonare sul posto i materiali, trattamenti inadeguati, abbandono dei
rifiuti in discariche abusive o, come abbiamo visto dai recenti fatti di
cronaca, affondamento nel mare.
Il sud Italia è l’area dove la maggior parte
di questi rifiuti vanno a finire, in particolare lungo le cosiddette
“rotta adriatica” e “rotta tirrenica” dal nord verso la Puglia e la
Campania - Calabria. Parte dei rifiuti viene sotterrata in cave abusive,
già oggetto di reati di escavazione. Ma c’è anche un traffico
internazionale di rifiuti che provenienti dai paesi europei, passano per
l’Italia con destinazione Nigeria, Mozambico, Somalia, Romania.
Ogni anno in Italia, su un volume
complessivo di 108mila tonnellate di rifiuti, 35mila vengono smaltite
attraverso modalità non corrette o del tutto illecite dalle
organizzazioni criminali come Cosa Nostra in Sicilia, la ‘Ndrangheta in
Calabria, la Sacra Corona Unita in Puglia o la Camorra napoletana. In
base a quanto emerso da indagini condotte dalle Procure di Asti e di
Roma, la maggior parte dei rifiuti tossici provenienti dall’Italia
finirebbe in Somalia. Alcuni testimoni, sentiti dai magistrati nel corso
delle inchieste, hanno dichiarato che la cosiddetta “strada dei pozzi”,
nota a tutti in Somalia come “strada della cooperazione italiana” è una
strada che non va e non viene da nessuna parte poiché unisce tre
gigantesche discariche abusive. Gli stessi testimoni narrano di
interramento di rifiuti tossici compiuti da operai italiani muniti di
apposite tute, ma più spesso, affidati a manodopera locale del tutto
ignara dei gravissimi rischi per la salute.
Altro luogo eletto per lo smaltimento
illecito dei rifiuti sembra essere il Mozambico, vera e propria
discarica mondiale. Secondo un’inchiesta della Direzione Distrettuale
Antimafia di Milano, in questo Paese opera dal 1996 una società (filiale
mozambicana di un gruppo argentino) specializzata nella installazione di
impianti per lo smaltimento di rifiuti di ogni genere. L’impresa ha
ottenuto tutte le necessarie autorizzazioni per importare rifiuti da
ogni parte del mondo, ma il problema è che non esiste nessun impianto e
migliaia di tonnellate di rifiuti giacciono in un enorme discarica a
cielo aperto.
Ma restiamo in Italia dove il fenomeno del
traffico illecito di rifiuti ha, come abbiamo visto, il suo epicentro
nel mezzogiorno.
Nell’area vesuviana la Guardia di Finanza ha
sequestrato un numero impressionante di discariche abusive, anche di
grosse dimensioni (una di queste presentava un’estensione di ben 4 km e
profondità di 30 metri) utilizzate per smaltire illegalmente sia i
rifiuti urbani che quelli tossico nocivi. Si tratta in genere di
discariche illegali realizzate all’interno di ex cave per l’estrazione,
altrettanto illegali, di sabbie inerti.
Tra i clan mafiosi delle province di Caserta
e Salerno si è infatti diffusa la pratica di ottenere l’autorizzazione
alla costruzione di vasche per l’itticoltura e la lombricoltura, da
utilizzare, invece, come discariche per liquami fognari e fanghi
industriali. Una grossa fetta del traffico di rifiuti provenienti dal
nord è destinato anche alla provincia di Matera, che presenta un
territorio particolarmente idoneo a questo tipo di attività in quanto
scarsamente abitato e con numerose vie di accesso.
Le modalità tipiche delle organizzazioni
mafiose, secondo anche le dichiarazioni di alcuni “pentiti”, soprattutto
appartenenti al clan dei casalesi, sarebbero le seguenti: i camion
carichi di rifiuti giungono nelle ore notturne in corrispondenza di
buche che, dopo essere state riempite, vengono immediatamente coperte. I
fanghi di depurazione e i rifiuti industriali liquidi, formalmente
destinati a inesistenti impianti di depurazione e riciclaggio, sono più
spesso sversati direttamente nel territorio. Accanto all’inquinamento
del suolo, occorre registrare anche quello delle acque marine: la
“carrette” dei mari – coperte da premi assicurativi contro tali
incidenti che consentono un doppio tipo di lucro – vengono affondate a
largo delle coste campane e calabresi in vere e proprie discariche
marine le cui testimonianze vengono trovate nei rifiuti che restano
impigliati nelle reti utilizzate per la pesca a strascico. Ma è sulla
terra ferma e precisamente sul “triangolo della mondezza” nella zona tra
Qualino, Giuliano e Villaricca, a circa 25 chilometri da Napoli, l’area
che dalla camorra è stata assegnata per la sepoltura illecita dei
rifiuti. Basta un giro per le strade che portano alle discariche nella
zona che va dal napoletano a Casal di Principe per accorgersi di
un’eccessiva quantità di camion accompagnati da Mercedes e l’assenza
delle forze dell’ordine. Si dice che chi è della zona sa quando può
passare e quando è meglio evitare. Del resto, come si legge su un
dossier pubblicato su “zonanucleare.com” …i rifiuti costituiscono
solo un segmento del ciclo di lavorazione della malavita organizzata.
Qui la camorra prima ha guadagnato scavando illegalmente la cave. Poi
riempiendo i buchi con i rifiuti pericolosi. Infine costruendoci sopra
le case. La tragedia è che questo sistema illegale è l’unico che qui dà
lavoro.
Tutto questo però comporta un pesante
prezzo da pagare: secondo alcuni rapporti i decessi per malattie
tumorali sono saliti in modo esponenziale, solo nell’agro aversano i
tumori per i quali è stata chiesta l’esenzione dal ticket sono passati
dai 131 casi del 1996 ai 560 del 1999.
Il triangolo della morte
Per triangolo della morte si intende la
vasta area della provincia di Napoli compresa tra i comuni di Acerra,
Nola e Marigliano, un tempo nota per essere tra le più fertili della
Campania, nella quale è stato riscontrato negli ultimi anni un forte
aumento della mortalità per cancro che, per alcune patologie, raggiunge
livelli molto più elevati della media italiana. La causa dell’aumento di
mortalità è attribuita all’inquinamento ambientale, principalmente
dovuto allo smaltimento illegale di rifiuti tossici da parte della
camorra. La definizione “triangolo della morte” la si deve alla
prestigiosa rivista scientifica internazionale The Lancet Oncology
che nell’agosto 2004 ha pubblicato uno studio di Kathryn Senior e
Alfredo Mazza (ricercatore del CNR di Pisa) dal titolo: Italian
“Triangle of death” linked to waste crisis (il “Triangolo della morte”
italiano collegato alla crisi dei rifiuti).
Nel Triangolo abitano circa 550.000 persone
e l’indice di mortalità, cioè il numero di morti l’anno per ogni 100
mila abitanti, per tumore al fegato sfiora il 38,4 per gli uomini e il
20,8 per le donne, dove la media nazionale è del 14. Come si vede dallo
schema riportato, la mortalità è più alta che nel resto dell’Italia
anche per quanto riguarda il cancro alla vescica e al sistema nervoso,
anche se in maniera più modesta. L’incremento viene attribuito
all’inquinamento causato dallo sversamento illegale di sostanze tossiche
di varia provenienza operato dalla camorra.
Nella tabella seguente sono riportati gli
indici di mortalità per i tumori che risultano più abbondanti nel
Triangolo della morte (ASL NA4) rispetto alla media italiana secondo lo
studio pubblicato da The Lancet Oncology:
TUMORE |
ITALIA |
CAMPANIA |
ASLNA4 |
Fegato
(uomini) |
14.0 |
15.0 |
38.4 |
Fegato
(donne) |
6.0 |
8.5 |
20.8 |
Vescica
(uomini) |
16.6 |
21.7 |
22.8 |
Vescica
(donne) |
3.8 |
4.2 |
4.3 |
Sistema nervoso
(uomini) |
6.2 |
7.1 |
8.5 |
Sistema nervoso
(donne) |
4.8 |
4.1 |
5.6 |
Un ulteriore studio del 2007,
dell’Organizzazione Mondiale della Santità, Istituto Superiore di
Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche e regione Campania che ha
monitorato in 196 comuni campani la mortalità per tumori e le
malformazioni congenite nel periodo dal 1994 al 2002 , ha evidenziato
che la mortalità per tutte le cause è risultata in eccesso
significativo (…) Le zone a maggior rischio identificate negli studi (…)
sono interessate dalla presenza di discariche e siti di abbandono
incontrollato di rifiuti…
Dalle confessioni di un boss legato al clan
dei casalesi, che per 20 anni ha lavorato per sversare in Campania
rifiuti tossici, si apprende che la maggior parte di tali rifiuti
proviene dal Nord. Nelle campagne campane e nel sangue di alcuni
abitanti sono state misurate alte concentrazioni di Policlorobifenili
(PCB) che sono prodotti da industrie chimiche assenti nella regione.
Fanghi industriali provenienti da Porto Marghera, per un ammontare di
ottomila tonnellate, sarebbero stati smaltiti nelle campagne di Acerra
dai casalesi, grazie ai proprietari dei terreni compiacenti,
mascherandoli da compost fertilizzante. A questo vanno aggiunti i roghi
appiccati per eliminare copertoni o per recuperare il rame dai cavi
elettrici. I fuochi producono diossina e sono diventati più frequenti
quando potevano essere confusi tra i numerosi roghi appiccati ai cumuli
di immondizia durante la famosa “emergenza rifiuti” a Napoli. La
presenza di roghi ha dato origine ad un altro triste soprannome all’area
nord di Napoli: la Terra dei fuochi, nome usato da Roberto
Saviano nel libro Gomorra come titolo del XI capitolo.
Nel marzo 2008 furono riscontrate presenze
di diossina nel latte di bufale provenenti da allevamenti del casertano,
attribuite all’inquinamento ambientale, tanto da causare la temporanea
sospensione delle esportazioni verso alcuni paesi. A seguito della
notizia la vendita di prodotti caseari della Campania è diminuita
significativamente, non solo in Italia ma anche all’estero, aggiungendo
ulteriori “costi” a quelli già pagati in termini di salute e di risorse.
E’ lecito chiedersi quante altre voci
dovranno essere aggiunte a questa “lista spese”.
FONTI
-
Atti della Commissione
Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite
ad esso connesse (www.camera.it)
-
Trattamento dei rifiuti in
Campania: impatto sulla salute umana (www.protezionecivile.it)
-
The Lancet Oncology vol.5 n.9
settembre 2004 (www.sciencedirect.com)
-
www.robertosaviano.it
-
www.legambiente.it
-
www.narcomafie.it
-
www.regione.campania.it
-
www.interno.it
-
www.repubblica.it
-
www.unità.it
Roma, ottobre 2009
Valeria Lupidi |