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O RATO

La rincorsa al titolo di Emerson Fittipaldi

di Roberto Maurelli 

 

Definire Emerson Fittipaldi un pilota brasiliano è alquanto difficile… La carta d’identità dice che è nato a San Paolo del Brasile il 12 dicembre 1946, ma le sue origini si perdono tra la Russia, la Polonia e perfino… l’Italia! Qualunque sia la sua provenienza, però, questa eterogeneità ci ha regalato uno dei piloti più veloci ed affascinanti che il circus della Formula 1 abbia mai conosciuto.

Anche lui, come tanti colleghi, entrò nel mondo delle corse dal basso, più precisamente dal fondo. Il suo primo impiego in pista fu come meccanico, poi si cimentò in qualche gara in moto (decisamente più economiche delle gare in auto) per dedicarsi, infine, al karting, prima, e alle vetture da competizione, in seguito.

I buoni risultati nelle categorie addestrative insospettirono “un certo” Colin Chapman che, sentendo il profumo del talento, decise di metterlo al volante della sua Lotus di Formula 2 e, lo stesso anno, della Lotus di Formula 1, anche se nella versione della passata stagione.

Già in quelle prime uscite, a soli 23 anni, Fittipaldi seppe mettere in mostra tutta la sua abilità nella gestione del mezzo in condizioni estreme e la sua capacità di mettere a punto la meccanica.

Purtroppo quell’anno, il 1970, il team Lotus visse uno dei momenti più difficili della sua storia. La sua prima guida, l’indimenticato Jochen Rindt perse la vita a Monza in un tragico incidente. Sarebbe stato incoronato Campione del Mondo postumo, ma la squadra si ritrovava senza il suo “faro”. Nemmeno il secondo pilota, John Miles, scosso dalla morte del compagno, riuscì a ricoprire quel ruolo: annunciò il suo ritiro immediatamente dopo la funesta notizia. L’attenzione e le aspettative per il futuro erano dunque tutte centrate su Emerson, giovane promessa che però aveva solo tre Gran Premi al suo attivo.

Nel paddock era soprannominato benevolmente “il topo”, per la particolare forma della sua dentatura. Eppure alla sua quarta gara, quando riuscì a dominare la gara al volante della sua Lotus (finalmente quella della stagione in corso…), nessuno si sentiva più di giocare troppo con il brasiliano. Il talento cristallino aveva avuto il sopravvento sull’inesperienza, l’ironia doveva cedere al rispetto.  

Il 1971 si annunciava come un anno estremamente promettente per il team inglese e per il brasiliano, ma le cose non sempre vanno come da pronostici… In quella stagione, infatti, le prestazioni della vettura furono penalizzate da uno sviluppo completamente sbagliato che non consentì ai due piloti di esprimersi al meglio delle loro possibilità. Alla fine il titolo andò all’esperto Jackie Stewart. 

L’anno dopo le cose cambiarono radicalmente. Colin Chapman non era tipo da commettere due volte lo stesso errore e, per il 1972, seppe approntare un mezzo molto competitivo che consentì al topo di aggiudicarsi un buon numero di vittorie e piazzamenti. Sul circuito di Monza, con due gare di anticipo sulla fine del mondiale, si laureò Campione del Mondo, a soli 25 anni (record battuto solo dopo 43 anni d Alonso!).

Il successo finale avrebbe potuto facilmente essere bissato l’anno dopo, ma una serie di eventi impedirono che ciò avvenisse. In primo luogo una serie di noie fisiche e meccaniche costrinsero Fittipaldi ad una lunga serie di ritiri che compromise irrimediabilmente il suo campionato, peraltro iniziato in modo vincente. Il nervosismo del campione brasiliano fu poi acuito dall’acerrima rivalità con Ronnie Peterson, il suo nuovo compagno di squadra che, in più di un’occasione, riuscì a stargli davanti.

Il clima di tensione nel team era così palpabile che alla fine il rapporto si incrinò e, per il 1974, Fittipaldi decise di trasferirsi alla McLaren. La scuderia di Woking sembrava avere ottime prospettive e, in effetti, mentre la Lotus affondava in una crisi di competitività, Fittipaldi riuscì ad avere delle buone prestazioni nell’arco di tutto il campionato. Fu una lotta serrata con le Ferrari e le Tyrrel, ma all’ultima gara il titolo fu nuovamente suo. E meritatamente, visto che in molto appuntamenti non disponeva di un mezzo all’altezza del podio.

Gli anni seguenti furono un insieme di delusioni. Sentitosi tradito dal team McLaren, nel 1976 fondò una sua scuderia, ma i risultati non arrivarono mai. Nel 1980, a 34 anni, annunciò il suo ritiro dalla Formula 1, per dedicarsi esclusivamente al ruolo di team manager. 

Nel 1984, però, ritenne di doversi buttare nuovamente nella mischia. Lo fece partecipando al campionato americano CART, dove rimase fino al 1996, anno in cui subì un grave incidente che lo costrinse al ritiro definitivo dalle corse.

In questi anni colse anche la vittoria nella 500 miglia di Indianapolis e divenne ben presto un idolo del pubblico statunitense. Ma la verità è che rimarrà sempre un idolo per tutti gli appassionati di questo sport.

 

Roberto Maurelli


 

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