|
Nucleare. Energia del passato senza
domani?
di Mirco Gigliotti
I potenti interessi
economici e politici che ruotano intorno al nucleare non si sono mai
sopiti, e anche in Italia sono tornati prepotentemente alla ribalta,
sfruttando la crescente spinta all’utilizzo di energie più vicine
all’ambiente e meno costose.
I fautori del nucleare
affermano che le centrali, non immettendo nell’atmosfera l’anidride
carbonica responsabile “dell’effetto serra”, siano il più valido
sostegno alla lotta contro le alterazioni climatiche. Ciò che evitano di
spiegare è il ciclo avvelenato del nucleare, i pericoli e i danni
ambientali gravi che avvengono nelle fasi di funzionamento dei reattori,
di trattamento e sepoltura dei prodotti di fissione e attivazione.
I reattori nucleari commerciali sono
alimentati, quasi ovunque, da uranio separato dai suoi minerali. Prima
di entrare nei reattori e generare elettricità, l’uranio è lavorato in
impianti che separano la parte fissile (uranio 235) da un residuo,
anch’esso radioattivo. L’uranio, così lavorato, è caricato nel reattore
dove una parte libera energia sotto forma di calore, subendo “fissione”,
un’altra parte da vita ad altri elementi radioattivi come il plutonio,
pericolosi per la salute umana, ma ricercati dall’industria bellica,
infatti, il plutonio può subire “fissione” liberando energia anche
esplosiva. Tutti questi prodotti di fissione (i principali sono atomi di
cesio, stronzio, iodio, e altre sostanze, che emettono radioattività per
secoli) possono essere conservati dentro “tubi” estratti dal reattore
nucleare dopo alcuni anni di funzionamento e seppelliti per evitare che
entrino in contatto con acqua e aria.
L’energia nucleare non solo non può essere
definita pulita, ma altresì non può essere definita economica, in quanto
se conteggiassimo all’interno del costo dell’elettricità nucleare i
costi indiretti, come i costi di smantellamento delle centrali, di
sistemazione-stoccaggio, nel lungo periodo, del combustibile nucleare e
delle scorie radioattive, oltre i possibili danni all’ambiente e alla
salute, i costi lieviterebbero sino a divenire insostenibili (la
campagna per combattere l’uso delle sigarette si è basata molto sui
costi sociali del fumo, e prendendo in considerazione i costi degli
interventi sanitari e le perdite di produttività causate dai lavoratori
che si ammalavano, ha determinato l’aumento costante della spesa per i
fumatori).
Per capirne gli oneri finanziari ci possiamo
trasferire in Finlandia, nell’isolotto di Olkiluoto, dove svetta il più
grande reattore nucleare mai costruito e concepito al mondo, realizzato
dal consorzio Franco-Tedesco Areva-Siemens - identico per potenza agli
impianti che dovrebbero essere costruiti sul territorio Italiano.
L’opera, partita nel 2005, doveva terminare entro il 2009, ma la
conclusione dei lavori è stata spostata al 2012. Anche i costi sono
lievitati, perché dai 3 miliardi previsti in avvio si è passati ai circa
6 miliardi attuali. Secondo l’ex Ministro dell’ambiente Finlandese
Kimmo Tiilikainen, la sicurezza è il tasto più dolente, perché sono
state riscontrate varie irregolarità, documentate dagli ispettori
pubblici; ad esempio nel 2005 fu modificata, senza autorizzazione, la
composizione del cemento alla base del reattore, e nel 2007 si scoprì
che l’involucro del reattore era stato saldato, per mesi, senza i dovuti
controlli.
Senza copiose sovvenzioni statali,
il
nucleare non è un valido
investimento, e di questo se ne accorse persino la Lady
di ferro Margaret Thatcher che nel 1992, durante le
privatizzazioni del settore pubblico, mise sul mercato tutte le centrali
di proprietà pubblica: carbone, gas e nucleari. Le vendette tutte tranne
quelle nucleari.
Inoltre, l’Uranio è una risorsa sempre più
rara e la produzione non è sufficiente a chiudere la forbice con i
consumi (diagramma 1). Per soddisfare la crescente domanda molti paesi
consumatori e produttori hanno iniziato a intaccare le cosiddette fonti
secondarie di uranio ossia le scorte accumulate nei depositi (al momento
l’apporto più consistente viene dallo smantellamento delle vecchie
testate nucleari).
Come risultato il prezzo dell’Uranio è aumentato sino a toccare i
115,50$ a libbra (circa mezzo chilo),
ed è destinato ad aumentare ancora. Con nuovi impianti la dipendenza
aumenterà, andando ad alimentare nuovi conflitti per il controllo delle
risorse energetiche, come ad esempio è stato (e lo è tuttora) per il
Congo, impoverito e violentato a causa della generosità del proprio
suolo, un paese gettato in una guerra per gli interessi di altri,
anche in nome di tecnologie incerte, fatte passare per fonti pulite.
Oltre ai costi, se
analizziamo l’enorme mole di documenti, inchieste e prove, riguardanti i
disastri che hanno alimentato la storia di questa tecnologia, definirla
“sicura” è quantomeno eccessivo, inoltre, se le centrali
nucleari sono così sicure per quale motivo non esistono Compagnie
Assicurative disposte a stipulare una RC (Responsabilità Civile) per
assicurarle? Forse proprio perché la casistica è ricca di scandali e
incidenti.
Il 26 aprile del 1986 l’interruzione della
circolazione dell’acqua di raffreddamento di uno dei 4 reattori nucleari
(del tipo uranio-grafite) della centrale di Chernobyl (ex
URSS oggi Ucraina), provocò un forte aumento della temperatura del
nocciolo del reattore.
Molte delle parti strutturali fusero, la
grafite prese fuoco e l’ondata di fumo sollevò in aria polveri
contenenti i prodotti di fissione dell’uranio, la maggior parte dei
prodotti ricadde al suolo, contaminando vaste estensioni di terra,
decine di migliaia di persone furono esposte a dosi di radioattività
tali da provocarne la morte e danni genetici irreversibili. Una parte di
questo materiale fu trasportato nell’atmosfera verso l’Europa Centrale,
per poi giungere anche in Italia.
I convinti nuclearisti minimizzarono la questione, puntando il dito
sull’arretratezza di quel reattore, definito una roba “comunista”,
con tanto di operatori ubriachi, mentre mai sarebbe potuto succedere un
disastro del genere nell’occidente evoluto. Però, tornando ancora più
indietro nel tempo, esattamente nel 1979, ci s’imbatte nella fusione del
nocciolo del reattore americano di Three Mile Island (sia pure di
diverso tenore e senza fuoriuscita di così tante sostanze radioattive),
il più grave incidente nucleare avvenuto negli Stati Uniti. Molti
reattori inglesi, così come quello in funzione a Latina, erano dello
stesso tipo di impianto in uso a Chernobyl, moderati a grafite, ma
raffreddati a gas, anziché ad acqua.
L’impianto di Chernobyl
non era sorpassato e tantomeno rappresenta il solo caso di “incidente”
accertato, se ne possono citare molti altri.
In Germania, in bassa Sassonia la
situazione è gravissima perché il deposito di fusti radioattivi stoccati
dentro una miniera di salgemma è minacciato da infiltrazioni di acqua
salata,
che ha cominciato a corrodere i fusti (in Italia volevano istallare un
sito simile a Scanzano Ionico, vicino al mare, in Basilicata,
praticamente in un giacimento di sale). In Francia la tv pubblica
France 3 ha mostrato l’utilizzo delle scorie radioattive in prima serata,
almeno 300 milioni di tonnellate di scorie radioattive sepolte nelle
campagne o usate per costruire asili, scuole, parcheggi, campi da gioco,
o affondate nell’Oceano Atlantico. In Giappone, omertà e carte
false della “Tokio Eletric” hanno foraggiato lo scandalo delle
falsificazioni. Nel 2002 sono stati posti sotto sequestro ben 17
reattori (su 55 totali nel paese), per aver falsificato i rapporti degli
ispettori e per nascondere l’esistenza di crepe nelle caldaie
pressurizzate dei reattori di varie centrali.
Il dossier di Greenpeace: “The toxic ship”,
racconta la storia dei container rinchiusi nel porto somalo di Eel Ma’aan,
scatoloni metallici abbandonati dopo la guerra e sotterrati nel piccolo
porticciolo, a dimostrazione del livello raggiunto dal traffico di
rifiuti tra l’Europa e il continente africano, divenuto una sorta di
pattumiera dei paesi industrializzati (quasi certamente motivo che ha
originato l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Rovatin), per non parlare
delle innumerevoli “carrette del mare”, affondate nel mediterraneo, e
altrove, con sostanze tossiche e radioattive a bordo.
Quanto al ritorno in auge del nucleare, si
deve invece far notare quanto questa “energia” così pulita ed
economica non stia facendo furore. Osservando le statistiche
dell’International Atomic Energy Agency
(ONU) si nota come, in Europa, dopo circa 20 anni di immobilismo, siano
previsti soltanto due nuovi reattori, quello di Olkiluoto in costruzione
e quello di Flamanville in Francia (vivo solo sulla carta). Rispetto ai
nuovi impianti, numerosi sono quelli che verranno chiusi. Ad esempio
nella stessa Francia è prevista la chiusura di ben 12 Centrali, e negli
USA, dove Obama ha stanziato 8 miliardi per due nuovi impianti in
Georgia (a fronte dei 160 miliardi stanziati per l’energia rinnovabile)
verranno dismesse 28 centrali, stesso discorso per il Giappone, che ne
dovrebbe avviare 1, chiudendone altri 5.
In tutto questo ci si chiede perché l’Italia
debba tornare all’atomo e, soprattutto, perché la volontà dei cittadini,
espressa con il referendum contro il nucleare del 1987, debba essere
ancora violata. Certo è che il nuovo “Piano Nucleare” del Governo
Berlusconi non pare abbia le basi così solide per portare avanti questo
progetto. A oggi c’è incertezza sia sull’Agenzia Nazionale per la
sicurezza nucleare sia sui siti che dovrebbero ospitare i nuovi
reattori, i tempi si allungano e nessuno pare chiedersi chi gestirà
questi nuovi impianti. Una delle sfide, infatti, sarà quella di trovare
personale qualificato, e in Italia è pressoché inesistente la categoria
di operai, ditte, manager, manutentori, ed esperti in ambito nucleare.
Intanto ci consoliamo con l’eredità del precedente nucleare: 4 reattori,
diversi impianti per la fabbricazione e trattamento del combustibile
nucleare, depositi di materiali tossici radioattivi e barre di
combustibile irraggiato, svariate migliaia di fusti di scorie
radioattive situati all'interno delle vecchie centrali ecc.
Senza calcolare che i soldi che occorrono per smantellare un impianto
nucleare sono 2-3 volte superiori ai soldi che occorrono per costruirlo.
Non abbiamo bisogno
di produrre più energia, ma abbiamo bisogno di rendere produttiva
l’energia che già generiamo, riducendone, innanzitutto, gli sprechi.
Mirco Gigliotti |