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L’estinzione delle specie e i rischi futuri:
le specie
aliene
di Stefano
Iunca
L’introduzione e la diffusione di
specie esotiche invasive, in aree estranee al loro areale originario,
rappresentano un fenomeno di scala globale, in grado di arrecare danni
sia all’equilibrio del patrimonio naturale e alla biodiversità, sia alla
salute e all’economia.
La letteratura giuridica sulla
Convenzione sulle acque di zavorra del 2004 (Convention on the
Control and Management of Ship’s Ballast Water and Sediments)
definisce le specie aliene come le specie non indigene o non native
colonizzano un habitat diverso da quello di origine. Le specie aliene
rispondono a tre specifici criteri: si tratta di presenze alloctone,
cioè specie che si diffondono in un’area nella quale non erano presenti
in precedenza; la loro diffusione è legata all’attività umana, come i
viaggi marittimi in quanto tali o il trasporto di merci; in terzo luogo
vi è una discontinuità geografica tra la loro area di origine e la nuova
area di colonizzazione. Vi sono anche esempi di specie aliene che
nascono in situ senza l’intervento umano, dando luogo a una
popolazione che si auto incrementa.
Naturalmente, non tutte le specie
aliene risultano dannose, dal momento che spesso esse possono
contribuire ad arricchire l’ambiente di destinazione dal punto di vista
della biodiversità.
Vi sono, comunque, alcune specie che
presentano un’elevata “invasività” e rappresentano una seria minaccia
per l'ecosistema se non incontrano predatori nell’habitat
colonizzato. Quando questi organismi vengono introdotti in un nuovo
habitat, infatti, i loro predatori naturali possono essere assenti e
le specie aliene possono competere quindi con quelle native, predandole
e causandone la riduzione e anche l’estinzione. Attualmente, le specie
invasive costituiscono la seconda causa di riduzione della biodiversità
dopo l’incremento della popolazione e delle relative attività.
L’International Maritime Organization
(IMO) considera le specie aliene come «one of the greatest threats to
Earth’s oceans, alongside marine pollution, overexploitation of marine
resources and the physical alteration/destruction of marine habitats»
(International Maritime Organization (IMO), Global Ballast Water
Management Programme, New York, 2006).
In natura, in assenza di interferenze da parte dell’uomo,
fenomeni di espansione delle specie al di fuori dell’areale non sono
frequenti e, quando avvengono, hanno un carattere di gradualità a causa
della presenza di barriere geografiche e climatiche. Negli ultimi 200
anni, a causa delle attività umane legate al commercio e ai trasporti,
gli spostamenti di specie animali e vegetali sono stati accelerati,
rendendo possibili immissioni, intenzionali o accidentali, da un Paese
all’altro e perfino da un continente all’altro. Inoltre oggi con la
globalizzazione questi fenomeni sono ancora più facilitati e possono
causare conseguenze non sempre prevedibili.
L’introduzione di specie aliene può
essere volontaria o involontaria. Il caso più comune di introduzione
volontaria è rappresentato dall’importazione di organismi da allevare
e/o coltivare in luoghi diversi da quello d’origine; in questo caso il
vettore di introduzione è l’uomo (può infatti avvenire che il vettore
sia l’animale migrante).
Spesso, però, l’introduzione di una specie
non nativa è involontaria o accidentale. In mare, i principali vettori
di introduzione accidentale sono rappresentati da tutti gli organismi
importati volontariamente, o per scopi d’acquicoltura, o per essere
direttamente commercializzati, e dalle navi. Infatti, con le specie
alloctone destinate all’acquicoltura possono essere introdotti
accidentalmente gli organismi ad esse associati (parassiti, epibionti e
commensali). Lo stesso rischio è legato anche ai molluschi destinati al
commercio che, spesso, vengono tenuti in mare per qualche giorno prima
di essere venduti e che possono diventare veicoli di specie alloctone in
contesti geograficamente lontani dal loro habitat naturale
(Consiglio nazionale delle ricerche, Individuazione e Monitoraggio di
Specie Alloctone nei mari italiani, Roma, 2008).
Oggi, peraltro, il fenomeno della
globalizzazione ha contribuito ad aumentare progressivamente le cause
accidentali o colpose delle immissioni mediante il trasporto marittimo.
Allo spostamento di potenziali specie invasive tra i vari continenti
contribuiscono, infatti, le acque di zavorra delle navi, gli imballaggi
delle merci e le merci stesse. Gli studi di ingegneria nautica sul
galleggiamento delle navi hanno portato in primo piano non solo il ruolo
delle acque di zavorra come veicolo di spostamento delle specie aliene,
ma anche come l’aumento dei traffici marittimi abbia accelerato il
fenomeno in modo rilevante. Ciò ha permesso alla Comunità Internazionale
di prendere consapevolezza degli effetti negativi legati al
trasferimento di questi organismi.
L’industria navale si fa carico
attualmente del trasporto di quasi l’80% dei beni spostati globalmente
dai Paesi produttori a quelli consumatori. Ciò determina un’ingente
quantità di flussi navali interoceanici, creando le condizioni perché le
specie aliene possano produrre forti alterazioni ecologiche negli
ambienti che invadono, agendo in vario modo sulle specie e sugli
ecosistemi: ad esempio, possono diventare predatori degli organismi
autoctoni o possono entrare in competizione con essi, possono ibridarsi
con specie autoctone, ridurre la disponibilità di alimenti e risorse,
alterare le catene trofiche, modificare gli stessi habitat. Le
conseguenze dell’introduzione di un organismo non nativo in una regione
sono generalmente imprevedibili. Spesso, la specie introdotta non assume
un carattere infestante, ma in alcuni casi, come quando diventa
rapidamente invasiva, può causare danni all’ambiente, alle attività e
alla salute umane. In tal modo si hanno rispettivamente danni:
a) all’ambiente, sostituendo le specie
native e provocando cambiamenti, anche notevoli, della struttura delle
comunità e delle catene trofiche locali. In questo modo viene alterata
la biodiversità e il funzionamento degli ecosistemi recettori;
b) alle attività umane, danneggiando le
attività di pesca, o come conseguenza indiretta delle alterazioni degli
ecosistemi, o soppiantando specie d’importanza commerciale;
c) alla salute umana: le microalghe
tossiche rappresentano anche una minaccia per la salute dei consumatori.
Nello specifico settore
dell’introduzione di specie aliene attraverso l’acqua di zavorra va
segnalata l’attività di sensibilizzazione promossa dall’International
Maritime Organization (IMO). Il dibattito nell’ambito dell’IMO ha
portato ad individuare nel cosiddetto Ballast Water Exchange il
sistema migliore di contrasto del trasferimento di specie aliene e
l’opzione di trattamento maggiormente applicata. Esso consiste nel
rilasciare in mare aperto l’acqua di zavorra prima che la nave arrivi a
destinazione, sostituendola con nuova acqua di mare. L’efficacia del
Ballast Water Exchange (Bwe) si basa sul presupposto che, scaricando
l’acqua, siano trascinati fuori bordo anche gli organismi contenuti in
essa.
Nell’ambito della lotta
all’inquinamento biologico dei mari, la comunità internazionale ha
adottato, il 13 febbraio 2004, la convenzione internazionale per il
controllo e la gestione delle acque di zavorra delle navi e dei relativi
sedimenti (BWM Convention), attualmente non in vigore per
l’insufficiente di ratifiche depositate dagli Stati firmatari. La
Convenzione del 2004 opera su tre piani:
a) i diritti dello Stato di bandiera, che
deve richiedere ed assicurare il rispetto della Convenzione attraverso
la certificazione e il controllo della nave, stabilendo sanzioni per
ogni violazione;
b) i diritti dello Stato costiero, che è
legittimato a stabilire sanzioni anche sulla base del proprio
ordinamento nazionale per violazioni della Convenzione;
c) i diritti di ispezione: lo Stato
costiero ha un diritto generale di ispezione delle navi immatricolate
negli agli Stati parti. L’ispezione è comunque limitata alla
certificazione rilasciata dallo Stato di bandiera e allo stato delle
acque di zavorra. Se il risultato di questo controllo o informazioni
ricevute da altri porti o terminale indichino che la nave rappresenti
una minaccia per l’ambiente, la salute umana, le risorse ecc., lo Stato
costiero è vincolato dalla Convenzione a proibire il versamento delle
acque di zavorra.
Stefano Iunca |