IMPATTO AMBIENTALE DELLE ESTRAZIONI PETROLIFERE IN
BASILICATA
di
Antonio Florio
L’argomento petrolio oggi riveste una grande importanza
non solo a scala mondiale o nazionale, ma anche a livello regionale o
municipale. Quest’ultimo aspetto riveste un’importanza altrettanto
rilevante, perché le scelte locali sono quelle che si ripercuotono anche
nel breve periodo sulle singole comunità o addirittura sui singoli
cittadini. È possibile che amministrazioni poco lungimiranti, o piegate
ad interessi diversi da quelli delle popolazioni scelgano di
intraprendere strade che non rispondono ai bisogni dei territori e
dell’ambiente. La Basilicata, al cui interno si situano i territori
interessati dal programma di sfruttamento petrolifero è una tra le
regioni più piccole d’Italia (9992 km2),
poco popolata (607.000 abitanti), con una densità di 60,08 ab./km2;
Ha un territorio prevalentemente montuoso e collinare, scarsamente
pianeggiante; Ha 131 comuni, due province, Matera e Potenza. È dotata di
uno schema viario in via di completamento, che costituisce una specie di
turbamento per la regione ed i suoi amministratori da sempre
preoccupati per l’isolamento geografico e socio economico. Attualmente
circa il 90% del territorio della regione Basilicata è interessato da
perforazioni, da permessi di ricerca, di coltivazione e da istanze di
permessi di ricerca delle compagnie petrolifere. Le società petrolifere
a seguito delle estrazione versano nelle casse delle amministrazioni le
c.d. Royalties ( aliquote del prodotto di coltivazione)
disciplinate dal D.Lgs. n.652 del 1996. L’Articolo 19 del citato decreto
stabilisce che il titolare di ciascuna compagnia è tenuto a
corrispondere annualmente allo Stato il valore di un’aliquota del
prodotto di coltivazione pari al 7%. Tale aliquota è così ripartita: 30%
per lo Stato, 55% per le Regioni, 15% per i Comuni. Il ruolo delle
Royalties dovrebbe essere quello di favorire lo sviluppo del territorio,
in termini, ad esempio, di infrastrutture, occupazione e di risanamento
ambientale. La Basilicata che per altri versi soffre di uno sviluppo
ancora insufficiente, è peraltro ricca di risorse ambientali; tali
risorse non solo possono attivare un ciclo economico positivo grazie al
turismo, ma rappresentano una fonte economica significativa grazie al
ricavato che si ha dalla loro esportazione, si pensi ad esempio alla
risorsa idrica.
Il contrasto più forte con la scelta di consentire lo
sfruttamento del petrolio è, probabilmente, dato dalla volontà di
costituire il Parco Nazionale della Val d’Agri. Sono molti anni che si
definisce imminente l’istituzione del Parco, ma finora il dibattito ha
purtroppo riguardato solo l’eventuale perimetrazione di quest’ultimo,
senza tener conto dell’individuazione contestuale di tutti gli strumenti
programmatici, finanziari e di risorse umane e materiali per consentire
un progresso reale del territorio salvaguardando l’ambiente. Il quadro
argometato precedentemente rende evidente che le politiche ambientali
non sono politiche di pura conservazione, ma consistono in una
integrazione di strumenti di protezione e tutela e in strumenti che
attivano processi di innovazione in grado di migliorare il sistema di
produzione di beni e servizi e di smaltimento. L’uso ottimale delle
risorse costituisce un asse portante di un corretto approccio alla
questione ambientale: in altri termini è fortemente limitativo discutere
di un problema ambiente, di un problema petrolio, di un problema acque,
di un problema turismo e così via come problemi separati.
Bisognerebbe
pertanto chiarire la compatibilità delle attività petrolifere in
relazione alle aree in cui esse dovrebbero essere localizzate,
includendo tutti i problemi legati a perforazione, estrazione,
trattamento, trasporto; verificare la sostenibilità delle estrazioni in
relazione all’intero contesto regionale in materia ambientale in
riferimento non solo alle politiche di tutela e protezione, ma anche in
riferimento alle politiche “attive” di promozione ambientale. Oggi sono
evidenti gli effetti negativi delle estrazioni, ne sono un esempio le
numerose aziende agricole, spesso piccole e piccolissime, che hanno
dovuto chiudere, o lo scarsa appetibilità che hanno i prodotti agricoli
della zona di Viggiano, comune nel quale è istallato il Centro Oli
dell’Eni. Una vicenda recente di carattere simbolico riguarda la
notizia della posa in opera di un oleodotto dell’Eni nell’azienda
agrituristica “il Querceto” che si trova nel Comune di Villa
d’Agri, questi lavori si ritiene che possano pregiudicare l’attività
dell’azienda stessa. Finalmente, dopo l’acclarata inefficacia delle
“politiche del petrolio” la Commissione degli Esperti incaricata dalla
Regione Basilicata si poneva l’interrogativo della compatibilità tra
ambiente e petrolio. Nel Rapporto Finale sui lavori della Commissione si
legge che “dal punto di vista dei risvolti economici appare evidente
che lo sfruttamento petrolifero è tendenzialmente conflittuale con lo
sviluppo turistico e può avere impatti negativi sullo sviluppo della
filiera agroalimentare”, nel medesimo rapporto si ricorda ai
decisori che la Val d’Agri (e la Basilicata) sono aree
“sismogeneticamente attive colpite da vasti fenomeni di dissesto
idrogeologico”, in relazione al rischio di incidente e di contaminazione
delle falde idriche. In tale rapporto viene inoltre riportato il
riassunto degli impatti delle attività petrolifere che segue:
1)
Impatto da attività
ordinarie:
- Impatto paesistico durante la fase di perforazione;
- Sottrazione di territorio valutabile in circa 25000 m2
per ogni postazione petrolifera cui va aggiunta la
sottrazione di spazio per la realizzazione delle strade di accesso;
- Sottrazione di territorio derivante dalle condotte con
il Centro Oli valutabile in circa 33000 m2/km;
- Rumore dovuto all’attività dei motori elettrogeni;
- Sottrazione di territorio per la realizzazione
dell’oleodotto;
- Produzione di grandi quantità di detriti ed inerti da
opere civili;
- Produzione di reflui derivanti dalle attività di
perforazione;
- Produzione di reflui derivanti dalle attività di
trattamento che si svolgono nel Centro Oli;
- Emissioni in atmosfera durante le fasi di perforazione
ed estrazione;
- Emissioni in atmosfera conseguenti alle attività di
trattamento nel Centro Oli;
2)
Impatti legati ad
incidenti; quelli che possono causare i danni maggiori sono:
- Relativamente all’attività dei pozzi:
- inquinamento di falda durante la perforazione;
- blow-out;
- Relativamente all’attività di trasporto:
- fuoriuscita di petrolio;
- Relativamente al centro oli:
- incidenti in fase di rieniezione dell’acqua di
processo;
- esplosioni e sversamenti.
Può essere utile riportare la produzione media dei
rifiuti prodotti da una piattaforma di perforazione da 4000 m di
profondità in fase di perforazione: RSU (t) 43 - FANGHI ESAUSTI (m3)
10 - DETRITI DI PERFORAZIONE (t) 7,5 - ACQUE REFLUE (m2
lavati) 8 - RIFIUTI SPECIALI (m3)
14 - LIQUAMI CIVILI (m3)
2.
Nell’attuale quadro è difficile pensare che le attività
petrolifere possano stimolare quelle politiche attive nel campo
ambientale che costituiscono parte integrante di un corretto approccio
ai problemi ambientali; in definitiva, mentre i vantaggi che derivano
dallo sfruttamento del petrolio investono soprattutto le compagnie, gli
impatti ed i rischi investono soprattutto gli ambiti in cui hanno luogo
tali attività; in altri termini il petrolio si pone come una risorsa
tendenzialmente conflittuale con le altre risorse endogene di immediato
utilizzo da parte delle popolazioni locali.
La valutazione attenta ed approfondita dell’impatto
ambientale dovuto alle attività petrolifere porta infatti alla
conclusione che i rischi per le acque, il suolo, l’atmosfera, la flora e
la fauna sono talmente rilevanti da compromettere in modo irreversibile
non solo i valori naturalistico-ambientali dell’intero territorio, ma
anche il suo patrimonio culturale e le risorse economiche tradizionali
rendendo pura utopia non solo la loro convivenza con un parco nazionale
ma anche la semplice possibilità di salvaguardare le valenze ecologiche
in esso esistenti. E questo in nome di una risorsa quale quella
petrolifera destinata nel breve- medio termine ad essere sostituita da
altre fonti energetiche, come attestano le varie stime degli esperti e
l’aumento della ricerca delle stesse compagnie petrolifere verso il
settore delle energie rinnovabili. In definitva la Regione Basilicata
non è stata in grado di valorizzare al massimo, dal punto di vista
finanziario, la risorsa petrolio, o meglio ancora, la risorsa Gas
Naturale, nonostante si sia avvalsa di esperti che hanno espresso non
poche perplessità sulla vicenda.
Le perplessità non si placano, anzi si
confermano, se si osserva la problematica dal punto di vista ambientale;
il petrolio è risultato essere in forte contrasto con il territorio
interessato alle perforazioni. In definitiva si può sostenere che alla
luce delle problematiche relative alle attività petrolifere da un lato e
alla vicenda del Parco Nazionale o, più in generale, della tutela e
valorizzazione dell’Ambiente dall’altro, segue che la presunta
compatibilità dei due eventi è assai difficile da sostenere. Se lo
sviluppo sostenibile implica la massimizzazione dei benifici netti
sociali sotto il vincolo del mantenimento dei servizi e della qualità
delle risorse naturali nel tempo, non si può che constatare
l’insostenibilità dello sviluppo sinora realizzato in Val d’Agri per
effetto dell’estrazione petrolifera.
Vi è un aspetto che probabilmente meriterebbe una più
forte attenzione, e riguarda la scelta del modello di “sviluppo” che si
vuole perseguire. Questo significa che le decisioni non si possono
prendere con approssimazione, soprattutto quando si ripercuotono su
numerosi aspetti, quali quelli sociali, economici, politici, ambientali,
culturali. Pertanto un modello di sviluppo altro è necessario per la Val
d’Agri, ma probabilmente per tutta la Basilicata. Si tratta di scegliere
ma anche di farsi partecipi di una svolta culturale oggi davvero
cruciale, che veda in prima linea il risparmio energetico e fonti
d’energia sostenibili, quali, proprio in strettissimo riferimento al
territorio lucano, il vento, il sole, o l’acqua.
Fortunatamente, anche alla luce dei pessimi risultati
ottenuti in Val d’Agri, alcune amministrazioni locali iniziano a
rigettare il “modello petrolio” (come i Comuni di Brienza e Sasso di
Castalda), e a perseguire, seppure tra molte difficoltà, la scelta di un
rapporto con il territorio basato sul turismo, l’agricoltura di qualità,
la tutela ambientale.
Antonio Florio |