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FORMULA MAGICA

Alla scoperta dei 12 cilindri

di Roberto Maurelli

 

Dopo esserci occupati dei motori a sei e ad otto cilindri, mi sembrava opportuno illustrare il funzionamento anche del dodici cilindri. Le ragioni di questa scelta sono tanto razionali quanto passionali. Da un lato, c’è la necessità di far conoscere agli appassionati questo tipo di frazionamento che tanto ha dato alla storia dell’automobilismo sportivo. Dall’altro, c’è la voglia di porre l’accento su uno dei fiori all’occhiello della produzione ingegneristica italiana, una specie di marchio di fabbrica che richiama subito alla mente il mito del Cavallino rampante e del suo fondatore, Enzo Ferrari.

Tanto per cominciare, come molti già sanno, aumentando il frazionamento del propulsore, a parità di cilindrata, si ottiene una potenza superiore. In altre parole, un otto cilindri va meglio di un quattro cilindri di eguale cubatura, un quattro cilindri meglio di un tre, e così via.

Al crescere del frazionamento della cilindrata, infatti, aumenta la superficie dei pistoni che influisce direttamente sui regimi di rotazione e, quindi, sulla potenza massima ottenibile.

Discorso opposto vale  per il rendimento meccanico e per quello termico. È evidente, infatti, che, quando aumentano le superfici di strisciamento, aumentano gli attriti ed anche le perdite di calore, con un non trascurabile calo delle prestazioni.  

Proprio perché l’aumento del frazionamento influisce sulla potenza massima, diversi costruttori di modelli sportivi hanno scelto di costruire dei dodici cilindri, considerati, in via generale, come il limite massimo oltre il quale non conviene spingersi, onde evitare progetti troppo complessi, ingombranti e pesanti. Inutile dire che anche il costo di produzione cresce in modo esponenziale, e questo spiega perché sia sostenibile solo per case di un certo livello e per modelli di prestigio.   

Rispetto al passato, fortunatamente, oggi esistono dei fenomenali strumenti elettronici di calcolo, che consentono di ridurre notevolmente le difficoltà in fase di progettazione e realizzazione, soprattutto per quanto riguarda gli allineamenti, essenziali per scongiurare gli attriti ed il conseguente scadimento delle prestazioni.

La soluzione più ovvia a livello di manovellismo è quella che prevede un albero a gomiti analogo a quello di un sei cilindri in linea, ma con perni di manovella di maggiore lunghezza, su ciascuno dei quali vengono affiancate due bielle

L’architettura di un motore a dodici cilindri è, per così dire, vincolata. Per motivi di ingombro, non sarebbe neppure pensabile di realizzare un’unità con i cilindri in linea.

La soluzione più logica è quella di disporli a V, con un angolo tra le bancate variabile a seconda delle indicazioni dei progettisti. In genere, l’apertura più gettonata è quella a 60°, che consente di ottenere un ingombro trasversale contenuto ed una perfetta equilibratura. Nelle competizioni di massimo livello hanno adottato questa soluzione, oltre alla Ferrari, anche la Honda, la Maserati, la BRM, la Matra, la Gurney-Weslake, Renault, Lamborghini. Nel corso degli anni, però, ci sono stati anche esempi di ottime realizzazioni a cilindri contrapposti, che hanno avuto anche un impiego sportivo in Formula Uno sulle Ferrari portate al successo da Lauda e Sheckter.

Non a caso parlare di dodici cilindri equivale a parlare di Ferrari, la casa costruttrice che è da sempre stata la più fiera sostenitrice delle unità di questo tipo. Ancora oggi, quando in Formula Uno le Rosse sono obbligate dai regolamenti a montare motori ad otto cilindri, il frazionamento a dodici continua ad essere impiegato sulle vetture di alta gamma e su Sport e Prototipi.

Anche altre case, tuttavia, si sono cimentate nella produzione di dodici cilindri. Tra queste la Mercedes, con le sue mitiche “Frecce d’argento”, l’Auto Union, l’Alfa Romeo, l’Aston Martin, la Rolls Royce, perfino la Porsche. Ognuna di queste realizzazione sarebbe degna di una apposita trattazione.

Non va dimenticato, poi, che i motori a dodici cilindri hanno avuto un impiego notevole anche in campo aeronautico, per le imbarcazioni, per i locomotori, per i mezzi militari…

Ancora oggi, sebbene il suo impiego in campo sportivo diventi sempre più raro, ascoltare il canto di un V12 è ancora un’emozione senza paragoni. La sua voce assordante, con un timbro alto e vivace, a volte quasi elettrico, la si sente salire ad ogni accelerata.

Chissà che un giorno non si torni a questa soluzione così raffinata anche in Formula Uno. Sicuramente farebbe felici molte persone dalle parti di Maranello…

 

 

 

Roberto Maurelli

 


 

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