“GRINDT”
Il coraggio e la velocità di Jochen Rindt
di Roberto Maurelli
Credete
davvero che non si possa vincere un mondiale senza partecipare alle
ultime quattro gare del campionato? Preparatevi a sovvertire queste
certezze, perché questo è esattamente quello che è successo a Jochen
Rindt, l’unico campione del mondo postumo della storia della F1.
Jochen Karl
Rindt nacque ad
Achum, in Austria, il
18
aprile
1942. Le sue prima esperienze nel
mondo delle corse risalgono al
1962, quando gareggia nei rally con una
Simca Monthlery.
Dopo questa breve
parentesi, si dedicò alla pista, in particolare al campionato turismo,
dove militava con una “nostra”
Giulietta Ti, una delle vetture più
performanti dell’epoca. Nel
1963 arrivò, finalmente, il momento del
suo debutto in monoposto con la
Formula Junior e poi, nel 1964, con la
Formula 2.
Sono anni in cui tutto il suo talento viene esaltato dalla
competizione con quelli che sarebbero stati i campioni della Formula 1
del futuro: Jackie Stewart, Graham Hill e Jim Clark.
In realtà molto spesso il pilota austriaco
riuscì a mettersi alle spalle questi temibili rivali, guadagnandosi gli
onori della cronaca in più di un’occasione, come quando li mise tutti in
fila nella gara inglese di Crystal Palace. Anche le statistiche sono
dalla sua parte: in pochi anni di carriera riuscì a mettere insieme 45
vittorie, oltre ad un numero significativo di pole positions.
Furono proprio questi numeri, che
dimostravano il suo incredibile talento per la velocità, a suscitare
l’interesse del circus della Formula 1 nei suoi confronti.
Dopo un primo assaggio nel 1964, sul
circuito casalingo di Zeltweg, il primo volante stabile gli fu assegnato
per la stagione 1965. La vettura era una Cooper, alla guida della quale
ottenne, l’anno dopo, diversi piazzamenti sul podio e il terzo posto
nella classifica generale.
Gli anni immediatamente successivi non
furono così ricchi di soddisfazioni. La scarsa competitività della
Brabham, scuderia presso cui si era accasato, non favorì di certo la
conquista di risultati di rilievo. Il ritardo nella classifica, unito
alla obiettiva mancanza della prima vittoria in carriera, cominciarono a
far considerare Jochen come un pilota velocissimo, ma dotato di scarsa
capacità di concentrazione. Tra i più critici il celeberrimo giornalista
inglese Denis Jenkinson, il quale promise di tagliarsi la barba qualora
Rindt fosse riuscito a vincere anche solo una gara. A dimostrazione del
fatto che i cattivi risultati non erano da attribuire a “Grindt” (questo
uno dei suoi soprannomi dovuti al temperamento focoso), Jenkinson
dovette tagliarsi la barba un anno dopo…
Alla fine del 1968, infatti, Rindt,
entrò nel team della Lotus al fianco di
Graham Hill. Dopo un grave incidente al
GP
di Spagna, dove si ruppe la mascella e
subì una
commozione cerebrale, conquistò il suo
primo successo sul
circuito di Watkins Glen..
Nel
1970, a seguito del ritiro di Hill
dalle corse, diventò il pilota di punta della
scuderia e riuscì a vincere ben cinque
gare, di cui quattro consecutive, alla guida della sua Lotus 72.
La vittoria finale sembrava una pratica
ormai chiusa, eppure il Gran Premio d’Italia aveva in serbo la più
brutta delle sorprese.
Durante la sessione di qualificazione del
sabato perse il controllo della vettura appena prima della Parabolica,
andando a sbattere contro il guard-rail.
Le cause dell'impatto sono tutt'ora ignote.
Molto probabilmente l’assenza degli alettoni (voluta per contenere la
differenza di prestazione con le Ferrari) rese la monoposto così fragile
da esporla a cedimenti strutturali.
Evidentemente la vettura di Rindt
accusò un cedimento netto dell'impianto frenante, schiantandosi
direttamente sul guard-rail.
La forza dell’impatto e la deformazione
delle componenti meccaniche fecero scempio del corpo del povero Jochen
che, in pratica, morì sul colpo.
Clinicamente, in realtà, il paziente era
ancora vivo al momento dei soccorsi, ma era già intervenuto un arresto
cardiaco e le speranze di mantenerlo in vita erano assolutamente nulle.
La folle corsa in ospedale fu del tutto inutile, perché ogni speranza
cessò dopo pochi minuti che era stato caricato sull’ambulanza.
Nonostante questo tragico epilogo della sua
carriera, riuscì comunque a conseguire quello che per molti piloti è il
sogno di una vita.
Nelle quattro gare successive nessun pilota fu in
grado di colmare l’enorme divario in classifica e la corona di alloro fu
attribuita proprio a Rindt, nonostante la sua prematura scomparsa.
Una cosa del genere non è mai più capitata
in Formula 1.
Come spesso avviene, era necessario che morisse un
campione perché venissero adottate misure di sicurezza più restrittive.
Il suo sacrificio rimane, comunque, uno degli eventi più tragici di
questo sport.
Roberto Maurelli |