I DISASTRI AMBIENTALI
di
Alfredo Belgio
Mai
come in questi giorni, assistendo al triste spettacolo delle coste del
Messico e della Lousiana invase dal petrolio fuoriuscito da quel che
ormai resta della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon affondata
nel Golfo del Messico a seguito di un incendio, l’espressione
disastro ambientale ha assunto contorni così evidenti.
Osservando la marea nera che avanza, mettendo a rischio la sopravvivenza
di migliaia di specie animali, non possiamo non chiederci come siamo
giunti a questo punto. E di fronte ai fallimenti dei tecnici della Bp e
di tutti gli altri, intervenuti per cercare di fermare il flusso di
greggio che si riversa nell’oceano e che non accenna a diminuire, ci
chiediamo senza dubbio se tutto questo poteva essere evitato.
Questo della marea nera è stato definito il peggior disastro ambientale
degli Usa. Il peggiore, ma non l’unico. Né gli Usa sono stati l’unico
Paese interessato da questo tipo di evento. Anche l’Italia ha avuto la
sua parte, basti ricordare il recente caso del fiume Lambro.
Per
maggiore chiarezza è opportuno chiarire che con l’espressione disastro
ambientale si intende un fenomeno con una vasta ricaduta sull'ambiente,
che si configura come catastrofico per la vastità del territorio
interessato e/o per la numerosità degli organismi viventi coinvolti e/o
per la gravità degli effetti sugli individui interessati. I disastri
ambientali possono sì essere causati dall'uomo, ma anche da razze
animali, generalmente autoctone, che distruggono un habitat nel quale
sono giunti diverso tempo dopo la sua formazione. Va, inoltre, detto che
i disastri ambientali non vanno assolutamente confusi con le catastrofi
naturali, anche se spesso queste vengono poi ingigantite dagli
interventi umani. Ad esempio le fabbriche e le
centrali
termoelettriche di tutto il nostro pianeta, oltre a produrre
enormi quantità di
inquinamento,
possono essere causa di disastri ambientali spesso catastrofici.
Gli
eventi che si possono citare al riguardo sono veramente un numero
enorme: questi colpiscono zone sparse per tutto il globo, a ulteriore
testimonianza dell'enorme diffusione di industrie che operano in una
totale mancanza di rispetto per l'ambiente.
Ed
infatti un noto sito americano ( Treehugger) ha classificato i peggiori
disastri ambientali che la terra ha dovuto subire ad’opera dell’uomo.
Questa singolare
hit parade del "male" vede al
primo posto la guerra.
I conflitti a
fuoco sono infatti la principale causa, anche indirettamente, di tante
catastrofi.
Che si tratti di completare la devastazione operata da
armi nucleari o di una
pratica antica come spargere sale sulla terra dei nemici sconfitti, la
guerra è per sua stessa natura distruttiva. Inoltre, i frutti (negativi)
della guerra non si raccolgono solo immediatamente: a tal proposito
basti pensare alle sostanze
chimiche che ci lasciano in eredità alcuni tipi di armi.
Queste
scorie
producono problemi a noi attraverso malattie e malformazioni, ma
soprattutto contaminano per decenni l'ambiente sbilanciando il suo
eco-sistema naturale.
Al
secondo posto troviamo il disastro chimico di Bhopal (India) datato 3
dicembre 1984.
in quel giorno vi fu una
fuga di pesticidi da una fabbrica
della Union Carbide. I
morti stimati furono
circa 4.000,
deceduti in seguito ad una "nebbia mortale" che abbracciò tutta la zona.
Più di 50.000
furono, invece, i contaminati
che subirono dei gravissimi danni come la
cecità, insufficienza renale e
malesseri permanenti degli apparati interni. Gli
attivisti hanno stimato che nel corso degli anni i morti causati
indirettamente dall'incidente chimico furono quasi
20.000.
Nel
gradino più basso di questo nefasto podio troviamo lo scoppio del
reattore nucleare di Cernobyl.
Il 26
aprile 1986, in seguito al tentativo di testare una nuova teoria,
qualcosa non andò come sarebbe dovuto. Ci fu una reazione
nucleare che si incendiò fino ad esplodere diffondendosi ben
400 volte in maniera maggiore rispetto alla quantità di radiazioni della
bomba di Hiroshima. Oggi fino a 30 chilometri dalla zona non vi è più
nulla e l'area è totalmente disabitata.
Quando si parla di tristi primati, non poteva certo mancare all'appello
l'Italia che occupa il quarto posto. E' il 10 luglio 1976 quando una
nube di tetraclorodibenzoparadiossina (TCDD) viene rilasciata da una
nota fabbrica di pesticidi nel comune di Seveso, nella Brianza.
Circa 37.000 persone furono esposte ai livelli più alti mai registrati
di diossina. La zona circostante venne quasi completamente attraversata
da una serie di sostanze ritenute tossiche e cancerogene, anche in
micro-dosi. Oltre 600 persone vennero obbligate ad evacuare e altre
diverse migliaia subirono l'avvelenamento da diossina, evidenziando
soprattutto gravi casi di cloracne. Più di 80.000 animali furono
macellati per evitare che le tossine potessero entrare nella catena
alimentare. L'incidente è ancora in fase di studio e i dati sulle
esposizioni della diossina non sono ancora perfettamente decifrabili
Al
quinto posto incontriamo un incidente di una petrolifera: la Exxon
Valdez
Questa petrolifera il 24 marzo 1989, al cui comando c'era il capitano
Joseph Hazelwood, si arenò su Prince William Sound's Bligh Reef,
versando 40,9 milioni di litri di petrolio greggio sulla costa asiatica
prossima all'Alaska. La National Oceanic and Atmospheric Administration
ha stimato che oltre 26.000 litri di olio aderiscono tuttora ai fondali
oceanici. Questo incidente un beneficio (seppur magro), però, lo portò:
da allora il regolamento dei trasporti marittimi mutò, obbligando le
società di tutto il mondo ad adottare una nuova tecnologia, molto più
sicura, a doppio scafo.
Si
posiziona al sesto posto, invece, il Love Canal.
E' un'opera mai portata a compimento e
sviluppata da William Love (da qui il nome) alla fine del 19esimo
secolo: concepita come fonte di energia idroelettrica è situata nei
pressi delle cascate del Niagara. Non essendo mai andata in porto, però,
la genialità dell'uomo l'ha riadattata come enorme discarica di rifiuti.
Fu infatti per circa un decennio teatro di stoccaggio di 21.000
tonnellate di prodotti e rifiuti chimici, compresi clorurati e diossine,
da parte dell'azienda americana
Hooker Chemicals
and Plastics. Nel 1953 la Hooker la vendette, al costo di un
dollaro, al Board of Education (città di Niagara Falls, New
York) e scrisse nell'atto un diniego della responsabilità di danni
futuri dovuti alla presenza dei prodotti chimici sepolti. La zona si
sviluppò, venne estesamente abitata, sorsero scuole e servizi. Problemi
di strani odori, anche dai muri degli scantinati delle case, sorsero fin
dagli anni '60 e aumentarono nel decennio successivo, evidenziandosi
anche nell'acqua potabile, contaminata dalla
falda freatica
inquinata. In seguito avvennero percolazioni fino a portare gli
inquinanti nel fiume Niagara, tre miglia sopra i punti di prelievo degli
impianti di trattamento acque. Le diossine passarono dalla falda a pozzi
e torrenti adiacenti. Nel rapporto federale del novembre 1979 il governo
americano indicò che le probabilità di contrarre il cancro da parte dei
residenti era di 1/10.
E' la Great
Pacific Garbage Patch ad occupare il settimo posto.
A questo nome
corrisponde un vortice marino ad altissima intensità, promulgatore di
inquinamento e capace di attirare rifiuti e spazzatura. Questo singolare
fenomeno galleggia e sta galleggiando nei mari del Pacifico al sud di
Giappone e Hawai. La maggior parte dei rifiuti è di plastica ed è
oggetto di continui monitoraggi di esperti e studiosi che sperano che,
esplorando il fenomeno, possano trovare un modo per risolvere il
problema. Tuttavia fino ad ora si è ancora, paradossalmente, in alto
mare.
Chiude questa singolare classifica la Mississippi Dead
Zone.
Quando uno studio dell'università di Santa Barbara rilevò
che il delta del Mississippi
era il più sporco del mondo
(peggiore di quello del Gange e del Mekong) gran parte della popolazione
statunitense ne rimase shoccata. Conseguentemente molte aziende
defluirono in altre zone facendo nascere, appunto, una vera e propria
zona morta ai piedi del fiume più grande d'America. Alcuni studiosi
hanno affermato che, volendo risolvere il problema, si deve innanzitutto
ridurre del 45% l'azoto in modo da non continuare a distruggere la
vegetazione presente e sperare che l'ecosistema limitrofo possa tornare
tale.
(Giu. 2010)
Alfredo Belgio |