Tesi di MASTER in
“GESTIONE E SICUREZZA AMBIENTALE ”
IMPATTI AMBIENTALI
di Salvatore Lo Presti
INTRODUZIONE
Stupidità? Istinto? Inconsapevolezza? O magari ci si illude di essere
superiore a tutto e a tutti (Madre Natura compresa)?
Il passato ci insegna
che il fatto dell’uomo di intervenire spesso anche contro natura gli ha
risolto enormi problemi di sopravvivenza e di evoluzione sociale e
civile. Un esempio realistico è stato la rivoluzione anti-ecologica
dell’uomo nell’invenzione dell’agricoltura, e cioè il primo esperimento
biotecnologico di massa, che altro non è che l’intervento dell’uomo
sulla natura per provvedersi di cibo più abbondante e risolvere quindi
il problema della fame. Il problema etico nei riguardi dell’ambiente non
è solo la predicazione e la sua traduzione socio-politica di
comportamenti umani volti a salvaguardare l’habitat naturale e a
rispettare la natura,senza però farne una specie di divinità pagana.
Crescere oltre il numero
sostenibile è una minaccia onnipresente, poiché gli esseri umani
prendono spunto dalle opportunità che risultano apparenti
nell’immediato, e sono facilmente ingannati dai cambiamenti. Contando su
ciò che è prossimo nello spazio o nel tempo, calcoliamo la inesorabile
progressione dell’impoverimento delle risorse naturali. Allo stesso
modo, non è lecito esaurire una risorsa non rinnovabile (ad esempio, i
combustibili fossili) o danneggiare in modo irreversibile il patrimonio
naturale o culturale, vanificandone la possibilità di fruizione da parte
delle generazioni future.
Il principio
d’integrazione tra ambiente e sviluppo impone radicali innovazioni
culturali e politiche a tutti i livelli, individuali e di sistema,
sociali e istituzionali.
IMPATTI AMBIENTALI
Nel
corso degli ultimi decenni i problemi di inquinamento e di
deterioramento delle risorse naturali si sono aggravati notevolmente.
Ciò ha prodotto una intensificazione delle iniziative di politica
ambientale, sia a livello nazionale che internazionale, e la necessità
di perseguire lo sviluppo sostenibile, ossia uno sviluppo in grado di
garantire i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la
capacità delle generazioni future di soddisfare i propri.
I
motivi che hanno determinato questo aumento di attenzione sono
riconducibili ad aspetti ed impatti ambientali, purtroppo negativi, e
sicuramente tutti collegati l’uno all’altro quali:
·
assottigliamento dello strato di ozono stratosferico;
·
riscaldamento globale;
·
piogge acide;
·
deforestazione;
·
degrado del suolo;
·
impoverimento delle risorse naturali;
·
inquinamento atmosferico;
·
inquinano di falde, fiumi, laghi e mari;
·
riduzione della biodiversità;
·
eccessiva produzione di rifiuti;
·
disastri ecologici.
UN GRIDO D’ALLARME
Dobbiamo
obbligatoriamente costruire il nostro futuro
Le previsioni sono molto
catastrofiche e fino a questo momento i governi hanno privilegiato, un
pò ovunque e soprattutto in Italia, gli strumenti amministrativi , ossia
l'utilizzo di norme di legge per imporre determinati comportamenti e
standard, seguite da meccanismi di controllo e sanzione. Nel nostro
Paese la normativa in materia ambientale, derivante quasi esclusivamente
dal recepimento di direttive comunitarie, si sta evolvendo in senso
sempre più restrittivo e vincolante, con controlli sempre più incisivi e
sanzioni sempre più pesanti, gli obblighi ci sono, come pure le leggi,
ma appare evidente che tutto ciò non basta.
E’
vero che siamo noi i responsabili dell’inquinamento ma è altrettanto
vero che a ciò ci siamo abituati, seguendo spesso un stile di vita, una
metodologia, che ci è stata fatta accettare anche consapevolmente ma
passivamente. Bisogna ripartire, bisogna rifare sotto certi aspetti un
ritorno al passato, adottando stili di vita meno inquinanti e evitando
sprechi di qualunque genere. Piccoli passi e piccole cose, ma che
sicuramente nel tempo porteranno ottimi risultati. L’azione prioritaria
deve partire dalla fase di creazione per passare successivamente alla
fase del consumo.
OBBLIGHI PER LE
IMPRESE
Molte imprese hanno
aderito a partire dal 1991 alla “Carta delle Imprese per uno Sviluppo Sostenibile”,
tale adesione dal punto di vista gestionale significa:
·
riconoscere nella gestione dell'ambiente un'importante priorità
aziendale;
·
migliorare
continuamente il comportamento e le prestazioni ambientali;
·
formare e
motivare il personale ad una conduzione ambientalmente responsabile
della propria attività;
·
valutare e
limitare preventivamente gli effetti ambientali delle attività
aziendali;
·
orientare
in senso ambientale le innovazioni tecnologiche e la ricerca;
·
dialogare
con i dipendenti e il pubblico affrontando insieme i problemi
ambientali;
·
orientare
i clienti, i fornitori e subappaltatori nella gestione corretta dei
prodotti e dei servizi.
Questi impegni
consentono alle imprese di raggiungere un certo grado di compatibilità
ambientale, che non implica automaticamente il perseguimento della sostenibilità, per la
quale occorre un impegno di tutte le imprese e di tutti i cittadini, ma
sicuramente la favorisce. Lo sviluppo economico va rivalutato come
strumento primario di benessere e, conseguentemente, di crescita
culturale delle popolazioni; in quanto tale, rappresenta uno dei valori
fondamentali che un sistema politico deve perseguire. Si deve però
evitare che l’espansione del benessere si traduca in una catastrofe
ecologica.
Le economie dovranno
perciò essere orientate verso obiettivi di qualità, per garantire la
sostenibilità ecologica dello sviluppo. Altra conseguenza di rilievo è
la necessità di tener conto delle implicazioni ambientali delle diverse
politiche e delle loro interrelazioni.
Dal principio di
precauzione discende il fatto che la presenza di incertezze
scientifiche su un
determinato problema ambientale, sui nessi causali e sugli effetti, non
esime dall’intervenire in modo cautelativo.
Il principio di
prevenzione ha il merito storico di aver operato un rovesciamento dell’approccio, che ha
improntato per lungo tempo le politiche pubbliche per l’ambiente.
Sempre maggiore
importanza sta assumendo il principio del "chi inquina paga", sia con l’estensione del
concetto di responsabilità del produttore, sia con la definizione delle
fattispecie di danno ambientale, sia con gli indirizzi in materia d’internalizzazione
dei costi esterni. Non si tratta certamente di criteri meramente
punitivi, né di licenze d’inquinare a pagamento, quanto piuttosto
dell’utilizzazione di strumenti economici atti a orientare verso la
sostenibilità le attività di produzione e consumo, premiando le attività
virtuose e penalizzando quelle difformi.
Di rilievo è anche il
principio di sussidiarietà, e non solo per le concrete applicazioni già in atto
all’interno dell’Unione Europea, quanto soprattutto per il forte potenziale d’innovazione
nell’articolazione dei poteri e nel rapporto pubblico/privato all’interno degli Stati.
Le problematiche
relative alla condivisione delle responsabilità, infine, hanno un ruolo centrale
nell’attuazione delle strategie di sostenibilità che, non rispondendo
alla logica del
comando/controllo, richiedono una ridefinizione sostanziale dei ruoli,
delle responsabilità e dei
diritti dei diversi attori.
L'approccio della
sostenibilità non si propone, quindi, di bloccare il progresso delle società umane, ma di
guidarlo nel rispetto dei vincoli dati dalla capacità di rigenerazione
delle risorse e di assorbimento dei rifiuti e dell'inquinamento da parte
dell'ambiente naturale.
Sullo sviluppo
sostenibile esistono varie teorie, approcci, punti di vista e
significati:
proprio perché non
esiste una sola soluzione a un dato problema ambientale, lo sviluppo
sostenibile può essere realizzato con successo soltanto se i vari punti
di vista forniscono il loro contributo alla soluzione.
Lo sviluppo sostenibile
non nega la crescita e considera lecito e necessario per il suo
perseguimento l’intervento dell’uomo sulla natura, almeno finché ne
preserva o meglio ancora ne accresce senza danni la capacità di
sostenere la presenza della specie umana.
Per
le imprese quindi crescono le difficoltà dovendosi adeguare ad una
legislazione in continua evoluzione. Le norme in materia ambientale non
possono, quindi, essere più disattese in quanto possono essere notevoli
le conseguenze negative sia in termini di costi legati ad incidenti
ambientali, incidenti sul lavoro, sanzioni, sia in termini di immagine
negativa, cattivi rapporti con i dipendenti, ostilità della popolazione
locale, ecc. La variabile ambiente sta diventando, quindi, sempre più
importante e critica per l'impresa, anche di piccole e medie dimensioni,
ai fini della sua competitività e della sua redditività.
Per questo
motivo le aziende sono sempre più impegnate a ridurre i consumi di
materiali, eliminare i prodotti e le sostanze nocive, trovare materiali
riutilizzabili e altri iniziative ambientali, al punto che l’ambiente
può essere considerato un fattore di competitività che può creare nuove
opportunità di mercato verso clienti maggiormente sensibili alle
problematiche ambientali. Può essere quindi proficuo adottare un
approccio proattivo, volto all’aumento di efficacia e di efficienza
nella gestione delle problematiche ambientali, per individuare delle
soluzioni strategiche e operative innovative, in modo tale che
l'ambiente possa essere vissuto non solo come un vincolo ma anche come
una fonte di opportunità, come un fattore attraverso il quale recuperare
competitività e migliorare l'immagine aziendale.
CONTAMINAZIONI
La diffusa
contaminazione di ecosistemi terrestri e acquatici dovuta all’immissione di composti di origine
antropica ad elevata persistenza è ormai è un problema che sta assumendo una rilevanza
sempre maggiore.
Le cause della
contaminazione possono essere molteplici, ma senza dubbio le attività industriali
rappresentano la prima causa di rischio. Tali attività, infatti, se
attuate senza adeguati sistemi di contenimento in fase di produzione e
di smaltimento dei sottoprodotti e rifiuti del ciclo produttivo possono
generare la contaminazione del suolo, del sottosuolo e delle acque
sotterranee; per tutti questi fattori si rende ancor più evidente la
necessità di salvaguardare l’ambiente.
Ogni azienda ha dunque
delle responsabilità in materia di ambiente e ciò implica un impegno tecnico,
organizzativo e finanziario.
In questo quadro, uno
degli strumenti in grado di garantire un controllo delle variabili ambientali è
rappresentato dai sistemi di gestione ambientale.
SOSTENIBILITA’
Secondo la
sostenibilità ambientale l’uso delle risorse ambientali,
per essere sostenibile, deve
rispettare i vincoli dati dalla capacità di rigenerazione e di
assorbimento da parte dell’ambiente naturale. La finalità di fondo è
data non dalla necessità di mantenere un equilibrio statico, che di per
sé non esiste in natura, ma di salvaguardare e non compromettere i
processi dinamici di autorganizzazione dei sistemi bioecologici.
Tale
riflessione ha favorito l’elaborazione di nuovi indicatori, quali ad
esempio lo spazio ambientale e l’impronta ecologica, che consentono di
calcolare e di valutare l’impatto delle comunità umane, a livello locale
e nazionale, sul sistema naturale globale.
Grazie all’utilizzo di questi
indicatori che rilevano, da un punto di vista quantitativo e
qualitativo, il livello di utilizzo delle risorse naturali (aria, acqua,
suolo) è possibile elaborare politiche realmente sostenibili in grado di
guidare le attività umane senza mettere a rischio i delicati equilibri
ecologici del pianeta.
La sostenibilità
economica presuppone di integrare nel calcolo economico
di un intervento oltre ai due
tradizionali parametri del capitale e del lavoro anche il capitale naturale, dato
dall’insieme dei sistemi naturali (mari, fiumi, laghi, foreste, fauna,
flora, territorio), dai prodotti della natura (agricoltura, caccia,
pesca) e dal patrimonio artistico costruito dalle società umane.
La
dimensione economica della sostenibilità richiede, in particolare, di
porre l’accento e l’attenzione sulla qualità e non sulla quantità della
crescita attraverso una maggiore efficienza nell’uso dell’energia e
delle materie e una riduzione delle emissioni di sostanze nocive e nella
produzione di scarti e rifiuti. Il principio di riferimento è produrre
gli stessi beni e servizi utilizzando meno risorse naturali, attraverso
una maggiore efficienza sia nell’uso dell’energia e delle materie prime,
sia una riduzione delle emissioni di sostanze nocive e della produzione
di rifiuti.
La tecnologia diventa in questa azione una grande alleata
dell’ambiente e già oggi è in grado di dare delle risposte positive ed
innovative (lampadine a fluorescenza, elettrodomestici a basso consumo
di acque ed energia, ecc.). L’ecoefficienza significa anche sfida per le
imprese, sempre più
chiamate a soddisfare e
stimolare una crescente domanda di beni e servizi di qualità. La qualità
è da considerarsi il valore aggiunto per le imprese da spendere sul
mercato con un duplice risultato positivo: da un lato ampliare i margini
di crescita e quindi di guadagno per l’impresa e dall’altro diminuire
l’impatto ambientale della produzione e del consumo.
La
sostenibilità sociale,
infine, pone l’accento sulla necessità di migliorare le condizioni di vita
attraverso un migliore accesso ai servizi sanitari, educativi, sociali,
al lavoro, ma anche il riconoscimento e la valorizzazione del pluralismo
culturale e delle tradizioni locali, il sostegno e la ricerca della
partecipazione popolare, nonché un cambiamento sostanziale negli stili
di vita dei consumatori, promuovendo comportamenti sociali e
istituzionali sostenibili. Ciò significa, soprattutto nei paesi ricchi
(economicamente), promuovere comportamenti sociali e istituzionali che
favoriscano l’assunzione di nuovi valori, attitudini, stili di vita in
modo da modificare le scelte di consumo ed i modelli di comportamento.
Si tratta di responsabilizzare il cittadino, l’utente, il consumatore
sia per l’influenza diretta che le sue scelte hanno nei confronti
dell’impatto ambientale e sociale (ad esempio il consumo energetico
domestico, l’uso dell’auto, i prodotti fabbricati sfruttando il lavoro
minorile), sia perché la sua scelta può influenzare in via indiretta le
scelte a monte delle imprese, acquistando o meno un prodotto o un
servizio, e decretando così il successo dello stesso sul mercato. Grande
impegno deve essere rivolto nell’azione informativa e formativa dei
cittadini, che devono essere messi nelle condizioni di poter conoscere e
saper distinguere i beni e servizi socio ed ecocompatibili.
“MIGLIORE” GESTIONE
DEI RIFIUTI SOLIDI URBANI
NORMATIVA A LIVELLO
EUROPEO
L’attuale politica di
gestione dei rifiuti dell’Unione Europea si basa sul cosiddetto concetto della
“gerarchia dei rifiuti”: in altri termini, in primo luogo c’è la
prevenzione ossia ridurre la produzione di rifiuti; qualora non sia
possibile, i rifiuti devono essere riutilizzati, riciclati e recuperati,
nell’ordine, ove ciò risulti fattibile, mentre lo smaltimento in
discarica deve essere il più possibile limitato.
Lo smaltimento in
discarica è la soluzione peggiore per l’ambiente, perché rappresenta una perdita
di risorse.
Per i rifiuti,
l’obiettivo specifico è ridurre la quantità finale del 20% entro il 2010
e del 50% entro il 2050.
Le azioni previste dal
VI Programma d’Azione per l’Ambiente sono:
·
elaborare
una strategia per la gestione sostenibile delle risorse, fissando
priorità e riducendo il consumo;
·
stabilire
un onere fiscale sull’uso delle risorse;
·
eliminare
le sovvenzioni che incentivano l’uso eccessivo di risorse;
·
inserire
considerazioni di uso efficiente delle risorse nella politica integrata
dei
prodotti, nei
programmi di etichettatura ecologica, nei sistemi di valutazione ambientale,
ecc.;
·
elaborare
una strategia per il riciclo dei rifiuti;
·
migliorare
i sistemi vigenti di gestione dei rifiuti ed investire nella prevenzione quantitativa e
qualitativa;
·
integrare
la prevenzione dei rifiuti nella politica integrata dei prodotti e nella
strategia comunitaria sulle sostanze chimiche.
La Strategia tematica
dell’Unione Europea sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti, approvata
nel dicembre del 2005, è basata su due premesse principali :
·
La
politica sui rifiuti deve essere incentrata sull’impatto ambientale
derivante dall’uso delle risorse:
la politica sui rifiuti deve essere collegata alla politica sulle risorse, il problema
principale non è la scarsità delle risorse, ma l’impatto ambientale derivante dal loro
utilizzo.
·
La
politica sui rifiuti deve adottare un approccio orientato al ciclo di
vita: la politica sui rifiuti
deve essere collegata anche alla politica integrata dei prodotti (IPP).
Quest’ultima è intesa a
ridurre gli impatti ambientali dei prodotti durante il loro intero ciclo di vita adottando,
se possibile, un approccio di mercato. Essa mira a integrare fra loro le
diverse politiche e gli strumenti che incidono sui prodotti nell’arco
del loro ciclo di vita – dalle
misure per una progettazione ecocompatibile e le valutazioni del ciclo di vita, passando
attraverso gli appalti pubblici e le campagne di informazione fino ai meccanismi
basati sul principio della responsabilità del produttore – per far sì che prodotti “più verdi”
occupino quote sempre maggiori di mercato.
Il raggiungimento di
tali obiettivi richiede grande impegno da parte dei produttori, dei consumatori e dei
governi. Le misure di prevenzione dei rifiuti e le azioni volte a promuovere il
riciclaggio non devono quindi generare effetti perversi in altre fasi
del ciclo di vita dei
prodotti.
La strategia infine
prevede una razionalizzazione della legislazione attuale in materia di
rifiuti, al fine di migliorarne l’attuazione.
Il primo è la modifica
della direttiva quadro sui rifiuti che sarà fusa con le direttive sui
rifiuti pericolosi; in questo contesto verrà introdotto il concetto del
ciclo di vita, saranno chiariti il concetto di quando un rifiuto cessa
di essere tale e le definizioni di “recupero” e “smaltimento”, sarà
introdotta la definizione di “riciclaggio” e verrà risolto il problema
della sovrapposizione tra vari atti legislativi sui rifiuti e altre
normative ambientali. In secondo luogo sarà abrogata la direttiva sugli
oli usati (esausti) e alcune delle disposizioni in materia di raccolta
contenute in quel testo saranno inserite nella nuova direttiva quadro
sui rifiuti. Sarà poi presentata una proposta di rifusione delle tre
direttive sui rifiuti provenienti dall’industria del biossido di
titanio.
NORMATIVA
A LIVELLO NAZIONALE
La gestione dei rifiuti
in Italia è regolamentata dalla parte IV (articoli 177-266) del D.Lgs. 3 aprile 2006,
n.152 (Norme in materia ambientale), in vigore dal 29 aprile 2006,
emanato in recepimento delle direttive comunitarie in materia di
rifiuti, rifiuti pericolosi, imballaggi e rifiuti di imballaggio. Dalla
stessa data il provvedimento ha abrogato e sostituito, tra gli altri, il
D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.22 (cd. Decreto Ronchi).
Dell’uscente quadro
normativo sui rifiuti rimarranno in vigore, in base ad un regime transitorio che
andrà fino all’emanazione delle regole di attuazione del nuovo D.Lgs. 152/2006, le
norme tecniche regolamentali predisposte in base all’uscente D.Lgs.
22/1997.
Il D.Lgs. identifica
come finalità principale della gestione dei rifiuti la necessità di assicurare un elevato
grado di protezione dell’ambiente e controlli efficaci, tenendo conto
della specificità dei rifiuti.
Il decreto è ispirato ai
principi di precauzione, prevenzione, proporzionalità, responsabilizzazione e
cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella
distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui si originano
rifiuti.
Particolare importanza
riveste il principio in base al quale è vietato abbandonare e depositare in modo
incontrollato rifiuti sul suolo e nel suolo, oltre che immetterli nelle
acque superficiali e sotterranee (art.192).
Si tratta di un divieto
che si pone alla base di tutta la normativa in tema di rifiuti, in quanto, proprio in
virtù del fatto che non è consentito abbandonare i rifiuti o depositarli in maniera
incontrollata, essi dovranno essere avviati, dai loro produttori o
detentori, ad impianti
di recupero o di smaltimento, debitamente autorizzati le procedure
indicate nel D.Lgs. 152/2006. Un altro importante divieto è quello di
miscelazione di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi, ovvero di
categorie diverse di rifiuti pericolosi tra loro (art.187).
Il D.Lgs. disciplina le
attività di gestione del rifiuto in modo tale da favorire la riduzione della
produzione e della pericolosità dei rifiuti ed incentivarne il
riciclaggio ed il recupero per ottenere prodotti, materie prime o
combustibili o altre fonti di energia. Il recupero è privilegiato
rispetto allo smaltimento, che costituisce pertanto solo la fase
residuale della gestione dei rifiuti, in quanto, in base all’art.182,
comma 1, l’autorità competente deve effettuare una verifica
sull’impossibilità tecnica ed economica di esperire le operazioni di
recupero.
In sintesi il
D.Lgs.152/2006 prevede:
·
la
ridefinizione delle priorità nella gestione dei rifiuti (in accordo a
quelle stabilite a livello Ue);
·
una
rivisitazione della materia delle autorizzazioni;
·
la nascita
dell’Albo nazionale gestori ambientali (in sostituzione dell’Albo
nazionale gestori rifiuti)
·
la nascita
di un’Autorità d’ambito, che coordini i rapporti tra gli Enti locali e
gli Ato (peraltro, anche la disciplina degli Ambiti territoriali
ottimali viene profondamente rivista);
·
una
ridistribuzione delle competenze tra Stato, Regioni, Province e Comuni;
·
una
rivisitazione (ed una moltiplicazione) dei Consorzi (obbligatori e non);
·
una
diversa definizione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani;
·
agevolazioni burocratiche per le imprese “virtuose”;
·
modalità
per la gestione di particolari categorie di rifiuti (elettrici ed
elettronici,
sanitari,
veicoli fuori uso, prodotti contenenti amianto, pneumatici fuori uso,
combustibile
derivato da rifiuti).
MAGGIORE INCRIMINATO “LA PLASTICA”
I numeri che girano
intorno al mercato della plastica sono sorprendenti; nel 2008 in Europa
il consumo di materie plastiche ha raggiunto i 48.5 milioni di
tonnellate, con Germania, Italia, Francia, Spagna e Inghilterra che
hanno inciso da sole sul 66% dell’intero consumo europeo. Considerando
che i rifiuti derivanti da plastica sono circa il 10-15% dei rifiuti
urbani prodotti e che, nel caso specifico italiano la produzione pro
capite di rifiuti urbani si aggira intorno ai 546 kg/abitante , ognuno
di noi produce mediamente ogni anno circa 65 kg di plastica.
A prescindere
dall’efficacia (o meno) della legislazione italiana nell’applicazione di
importanti normative in campo di tutela ambientale, l’interesse verso le
plastiche biodegradabili è una tematica molto sentita a livello globale
e l’attuale panoramica di prodotti disponibili è decisamente vasta.
Batteri, mais, rape,
patate, pomodori e tanti altri prodotti della Natura costituiscono un
pool “bio” potenzialmente vastissimo per la creazione di nuovi materiali
plastici biodegradabili che potrebbero essere la salvezza per la nostra
civiltà, innegabilmente inserita, senza troppi giri di parole, in una
vera e propria “età della plastica”.
RIFIUTI: fare la
spesa senza plastica
Solo trent’anni fa si
andava a fare la spesa sotto casa con la sporta o con la retina di tela
appallotolata in fondo alla borsetta. Poi sono arrivati gli iper e i
super mercati da scorta settimanale, i centri commerciali, spesso fuori
città e raggiungibili solo in macchina. Le sporte di plastica, prima
gentilmente “regalate” dopo non più, alle casse, hanno avuto il
sopravvento.
Il sacchetto uscirà tra
non molto dalle nostre vite: dal 1 gennaio 2011 (salvo ennesime
proroghe!) l'Italia dovrebbe infatti decretarne il divieto. Alcuni Paesi
come la Cina lo hanno fatto già. L'Irlanda ne scoraggia il consumo
applicando una tassa di 22 centesimi per ogni shopper acquistato.
Alcuni negozi e
magazzini sono già corsi ai ripari sostituendo, in tutto o in parte, le
buste di plastica con borse riutilizzabili.
Il sacchetto in cifre
Oggi in Europa, secondo
la Commissione, si producono ogni anno circa 100 miliardi di sacchetti
di plastica, per produrre i quali servono 910 mila tonnellate di
petrolio.
Gli italiani ne sono tra
i più assidui utilizzatori, con un consumo di circa 20 miliardi, 300
all'anno a testa, neonati compresi, pari all'emissione di circa 8 kg di
CO2 a famiglia.
Solo l'1% nel mondo
viene riciclato e, d'altra parte, riciclarli costa di più che produrli.
Il resto finisce in discarica, negli inceneritori, in gran parte
abbandonato nell’ambiente.
Un nemico per tutti
Un sacchetto di plastica
può rimanere nell’ambiente fino a 1000 anni, a fronte di una “vita
media” brevissima, il tempo necessario al trasporto della spesa fino a
casa e, quando va bene, al riutilizzo come contenitore della spazzatura.
La sua capacità di
viaggiare anche per centinaia di migliaia di chilometri, sospinto dal
vento e dalle correnti, fa sì che sia tra le cause principali
dell’inquinamento dei mari e della morte di diverse specie animali. Si
stima che ogni anno i sacchetti uccidano 1 milione di uccelli e oltre
100mila esemplari tra mammiferi marini e tartarughe, che li inghiottono
scambiandoli per cibo o che vi rimangano intrappolati, morendo per fame
o asfissia.
L’indistruttibilità
della plastica ne fa un serial killer dagli effetti potenzialmente
illimitati: dopo la morte dell’animale, torna infatti libera
nell’ambiente, capace di nuocere ancora.
E anche quando si
degrada alla luce e al calore, non smette di fare danni: le minuscole
frazioni in cui il sacchetto si scompone vanno a contaminare il suolo e
le acque penetrando nella catena alimentare a partire dagli organismi
più piccoli.
Imparare a farne a
meno
In attesa che lo stop ai
sacchetti di plastica diventi realtà anche nel nostro Paese, vale la
pena cominciare ad organizzarsi fin da ora.
• Evitiamo di
richiederli alla cassa del negozio e arriviamo già muniti di borse
riutilizzabili. In commercio ormai se ne possono trovare di tutte le
dimensioni e di tutti i materiali. Disegnate o a sfondi colorati, di
juta, di cotone (anche equosolidale) o di plastica riciclata o
resistente. Sono pratiche, lavabili e non corrono il rischio di rompersi
quando trasportiamo oggetti pesanti o di vetro.
Unica accortezza:
portarsele dietro quando si fa la spesa. Per non dimenticarsi, basterà
lasciarle in macchina, in ufficio o ripiegate in borsa, pronte all'uso e
riuso.
• In alternativa e se ci
si è dimenticati del sacchetto, chiediamo quelli di carta o di plastica
di origine vegetale, come il “mater-bi”, brevetto italiano di plastica
da granoturco. I sacchetti in mater-bi si degradano molto più
velocemente di quelli in polietilene (entro sei mesi la degradazione è
del 90%) e possono essere usati, in caso di raccolta differenziata, come
contenitori della frazione organica. In quest'ultimo caso, oltre che
degradabili, i sacchetti a base di amido sono anche compostabili:
degradando assieme all'umido contribuiscono a produrre il fertilizzante
(vedi scheda).
• I carichi più pesanti
e ingombranti, possono essere trasportati, più agevolmente e con meno
fatica, anche da trolley e carrellini.
• Se al supermercato
andiamo in bicicletta, una valida soluzione può essere quella di
attrezzarla con un rimorchio, da montare e smontare all'occorrenza.
Se, invece, utilizziamo
la macchina, può essere comodo lasciare nel baule una o più scatole di
cartone: usciremo con il carrello pieno di spesa, ma senza più borse di
plastica. In alternativa, alcuni grandi magazzini vendono borse che si
agganciano ai bordi del carrello della spesa. Una volta fatti i nostri
acquisti, la borsa potrà essere sfilata dal carrello e riposta nel
bagagliaio dell'auto.
Cosa fare
• evitare di chiedere
sacchetti di plastica al negozio e arrivare già muniti di borse
riutilizzabili, per i carichi più pesanti munirsi di pratici carrellini,
attrezzare la propria bici con un rimorchio per trasportare la spesa.
• nei Comuni dove si
effettua la raccolta dell'umido, utilizzare sacchetti in plastica di
origine vegetale, degradabili e compostabili, oppure quelli in carta.
• fare attenzione alle
proprie scelte d'acquisto: prediligere prodotti sfusi o con imballaggi
ridotti e facilmente riciclabili, informarsi presso i negozi se fanno il
“vuoto a rendere”, bere acqua del rubinetto
INTERVENTI MOLTO
LIMITATI
Week-end di iniziative
davanti ai supermercati ma anche blitz, convegni e appuntamenti per
promuovere buone pratiche di riduzione dei rifiuti. E’ questo il
programma di “Ridurre si può” la campagna di Legambiente che, intende
sensibilizzare alla diminuzione degli innumerevoli sprechi nella
produzione dei beni e negli acquisti e per promuovere acquisti
consapevoli, privi di imballaggi inutili, favorendo prodotti sfusi, alla
spina, con confezioni monomateriali riciclate o riciclabili, ma anche
per incentivare l’uso degli shopper in bioplastica e delle sportine
riutilizzabili in tessuto.
Sono tanti i milioni di
tonnellate di rifiuti prodotti in Italia , di cui il 50% circa è stato
smaltito in discarica e solo il 27,5% avviato alle raccolte
differenziate. L’immondizia che produciamo non accenna a diminuire, anzi
negli ultimi due decenni nel nostro Paese è cresciuta di anno in anno.
La produzione dei
rifiuti riguarda prima dei consumi gli aspetti della produzione e della
distribuzione, il cui marketing di vendita è legato al confezionamento
dei prodotti.
Sono moltissimi, infatti, i prodotti in cui il packaging
viene utilizzato in un modo esagerato, spesso con confezioni inutili che
hanno l’unica funzione di rendere appariscenti gli oggetti che
acquistiamo. Evitare di comprare imballaggi inutili oltre a non
incentivarne la produzione, favorisce anche un’ottimizzazione del
trasporto, con packaging ridotti e merci compresse e trasportabili in
numero maggiore per ogni viaggio. La ricerca di nuovi materiali e
soluzioni ci permette di avere prodotti quasi totalmente disimballati e
certamente più “leggeri” perché meno impattanti in termini di consumo di
risorse. Nuovi ed evoluti materiali, anche in plastica rigenerata, ci
consentono di ridurre gli spessori dei sacchi e degli imballi garantendo
prestazioni tecniche eccellenti e preservando integralmente le
caratteristiche funzionali dei nostri prodotti.
Il vantaggio è
sicuramente di carattere ambientale ma anche economico. Un buon esempio
in proposito è rappresentato dal latte alla spina: in Italia esistono
ormai 1250 distributori di latte crudo alla spina e grazie ad essi si
risparmia in media il 30% rispetto al prodotto imbustato.
Dopo anni di battaglie
ambientaliste e la recente proroga di un anno da parte del governo,
finalmente anche nel nostro Paese dal 1° gennaio 2011 i sacchetti non
biodegradabili saranno messi al bando, per lasciare il posto agli
shopper biodegradabili, ricavati da materie prime rinnovabili come il
mais (ne basta mezzo chilo per produrre 100 buste) e con infiniti
vantaggi.
Ridurre l’impatto
sull’ambiente è una possibilità concreta,e per farlo bisogna promuovere
e progettare eventi e sistemi a basso impatto ambientale, limitando le
emissioni di CO2 ed il consumo di energia non rinnovabile.
E’ pure vero che ridurre
può anche significare crisi economica, ma è un prezzo che in un certo
modo dobbiamo pure pagare.
E’ necessario trovare un
equilibrio fra i vari obiettivi che spesso sono in conflitto tra loro.
Non c’è sviluppo sostenibile se non esiste integrazione e equilibrio fra
le tre dimensioni e cioè: sviluppo sociale, sviluppo economico e
sviluppo ambientale.
In questo particolare
momento, Stati Uniti e Cina hanno un modo di gestire tutto a loro modo,
e le classi politiche sono poche attenti a questi temi.
(Dic. 2010)
Salvatore Lo Presti |