Gli incentivi per installare in Italia un impianto fotovoltaico sono tra i più alti d'Europa.
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Con il sole si possono fare buoni affari. Gli incentivi proposti dalla legislazione italiana a chi avvia un impianto di energia fotovoltaica in questo momento sono i più ricchi d’Europa: ogni chilowattora prodotto viene remunerato tra i 35 e i 48 centesimi di euro, a seconda del tipo di impianto.
Secondo uno studio del Politecnico di Milano, il tasso interno di rendimento (Tir) medio a 25 anni di un impianto solare domestico è del 9 per cento. Considerando il punto di vista di un’azienda medio-grande in un impianto fotovoltaico, da 1.000 MW di potenza e 5 milioni di euro di costo, uno studio dell’Università Bocconi ha stimato il tasso interno di rendimento tra l’8,8 e il 7,5% a seconda della quota di autoconsumo.
L’opportunità c’è, ma bisogna essere rapidi: il Conto Energia, la norma introdotta nel 2007 per regolare gli incentivi, continuerà a funzionare finché non si raggiungerà la soglia di 1.200 Megawatt complessivi installati. Oggi siamo già a quota 500 megawatt, probabilmente entro la fine del 2010 si arriverà al tetto. Dopo quel momento ci saranno ancora 14 mesi per avviare un impianto incentivabile (ma per le autorizzazioni al progetto sarà troppo tardi), altrimenti bisognerà attendere la nuova normativa.
Prima cosa: il solare non è per tutti. Ogni chilowatt di picco di potenza installato costa in media 6mila euro. Per i consumi di una famiglia servono impianti da circa 2,8 chilowatt. Il budget di partenza è allora di circa 16.800 euro, escludendo l’Iva, che in questi casi è al 10%. La manutenzione ordinaria dell’impianto costa altri 150 euro all’anno, e dopo una decina d’anni occorre fare una manutenzione straordinaria che in genere richiede un costo che si aggira attorno al 10% del valore dell’impianto. La vita media del sistema è compresa tra i 25 e i 30 anni. Facendo due conti, il costo di un impianto fotovoltaico che duri 30 anni è di circa 25mila euro.
I prezzi però dovrebbero scendere. Arturo Lorenzoni, docente di Economia dell’energia all’Università di Padova e alla Bocconi, nello studio Il valore dell’energia fotovoltaica in Italia scrive che nel 2010 un impianto costerà in media 3.733 euro per chilowatt di picco, nel 2020 sarà sceso fino a 2.178 euro. Il costo è determinato al 70% dai moduli, molti dei quali (almeno il 40%) arrivano dalla Cina.
Per costruire un impianto serve l’autorizzazione. Dovrebbero arrivare presto le linee guida per semplificare il processo attraverso “l’autorizzazione unica”, già prevista dal Dlgs 387 del dicembre 2003: le nuove norme dovrebbero garantire un processo autorizzativo che duri al massimo 180 giorni. Nell’attesa le norme correnti sono differenti da regione a regione. Chi vuole realizzare un impianto deve informarsi in Comune, ma di solito per impianti piccoli (fino a 20kW) basta fare la “dichiarazione di inizio attività”, presentando al Comune il progetto firmato da un tecnico abilitato. Se, dopo 30 giorni, l’ufficio tecnico del Comune non ha presentato obiezioni si possono avviare i lavori.
Serve anche un po’ di spazio. Teniamo sempre l’esempio di un impianto fotovoltaico domestico da 2,8 Kw di picco. I moduli, che sono il cuore dell’impianto, su un tetto spiovente occupano 20 metri quadrati se sono in silicio monocristallino, 25,5 metri quadri se sono in silicio policristallino e 56 metri quadri se sono in film sottile (silicio amorfo). Dimensioni che salgono rispettivamente a 46, 58 e 129 metri quadri se il tetto è piano e addirittura a 98 metri quadrati solo per il monocristallino per i pannelli a inseguimento.
Sono differenze importanti. In pratica i moduli sono formati da un certo numero di celle collegate elettricamente in serie. Colpite dalla luce del sole producono energia elettrica. I pannelli in silicio monocristallino costano di più dei moduli in policristallino, ma hanno anche una resa migliore (il 12% contro il 16% del monocristallino). Il silicio amorfo è ancora meno efficiente (la resa è di circa il 10%) ma costa ancora meno. A prescindere dai materiali dei moduli, si può scegliere un impianto a inseguimento, che segue l’orientamento della luce solare generando una resa anche del 30%. Ma i costi (e gli spazi necessari) lievitano ulteriormente.
Altra discriminante è l’integrazione architettonica. I pannelli possono essere integrati architettonicamente, parzialmente integrati o non integrati. Esempio: un pannello è integrato se fa parte di un edificio, magari inserito nel tetto; un pannello parzialmente integrato (sono i più frequenti) è invece appoggiato sul tetto ma non inserito nell’edificio. I pannelli non integrati sono invece per terra o collocati su tetti piani senza essere inclinati. Più l’impianto è integrato più ricco è l’incentivo pubblico.
Bisogna anche tenere conto di altri fattori. La potenza nominale di un impianto difficilmente si può raggiungere. Conta l’effettivo irraggiamento solare (che solitamente aumenta più si scende verso l’equatore) e contano anche i problemi delle possibili ombre che possono coprire l’impianto. Una misura dell’irraggiamento nella propria zona si può ottenere consultando l’atlante italiano della radiazione solare dell’Enea. Il software Simulare 8.3, realizzato dall’ingegnere Alessandro Scaffarelli, aiuta a calcolare la perdita di efficienza dovuta all’ombreggiamento.
Altri problemi sono il “mismatching” (con una perdita media del 4,25%), che si ha quando i vari sottocampi di un campo fotovoltaico non sono omogenei dal punto di vista del funzionamento elettrico; l’”effetto temperatura” (4,25% standard), quando ci sono più di 25 gradi centigradi; i “quadri in continua” (1,75%), ossia perdite di cablaggio locale e globale; le perdite riconducibili all’inverter (5,75%); e quelle per “polluzione” (0,75%), che dipendono dalle condizioni meteo.
Una volta costruito l’impianto ci si rivolge al Gse per avere gli incentivi. Bisogna mandare la domanda di incentivazione e da essa arriva la remunerazione dell’energia prodotta. Gli incentivi possono valere 35 centesimi a chilowattora nei casi peggiori e 48 centesimi nei casi migliori. All’incentivo si aggiunge il meccanismo dello scambio sul posto (che permette di non pagare le bollette) o, in alternativa, la vendita dell’energia al mercato. Gli incentivi durano 20 anni, e vengono aggiornati ogni anno: nel 2009 sono stati ridotti del 2%, l’anno prossimo avranno un altro taglio del 2%.
Finiti i 20 anni, l’impianto fotovoltaico continuerà ad avere diritto della remunerazione economica derivante dall’esercizio commerciale in regime di “scambio sul posto” o la vendita al mercato. Con lo scambio sul posto si lascia nella rete tutta l’energia prodotta e non direttamente consumata per poi poterla utilizzare in futuro, scontandola dalla bollette. Nel regime di vendita alla rete, invece, l’energia in eccesso viene acquistata dal Gse.
Se sugli edifici si fanno
altri lavori, che permettono un risparmio
energetico almeno
del 10%, le agevolazioni possono aumentare fino
al 30%. Attualmente in Italia sono stati
installati circa 40mila impianti.
Sugli incentivi del Conto Energia non si paga
l’Iva. Nemmeno il sistema di scambio sul posto,
gli impianti sotto i 20 kW non sono considerati
fiscalmente rilevanti. In sistemi maggiori
invece l’immissione di energia nella rete è
considerata un’attività commerciale e quindi
rilevante ai fini Iva e altre imposte (Ires e
Irap).
Prendendo come riferimento un impianto da 1 kW di potenza nominale, con orientamento e inclinazione ottimali e assenza di ombreggiamento, non dotato di dispositivo di “inseguimento” del sole, in Italia il Gse stima le seguenti producibilità annue massime: regioni settentrionali 1.000 – 1.100 kWh/anno; regioni centrali 1.200 – 1.300 kWh/anno; regioni meridionali 1.400 – 1.500 kWh/anno.
Secondo il Gse l’investimento rientra, di norma, in 11-13 anni per gli impianti domestici del Nord Italia, in 9-11 anni per quelli collocati nell’Italia centrale, in 7-9 anni per quelli del Sud Italia.
Angelo Spena, direttore dei laboratori di fisica tecnica ambientale dell’Università Tor Vergata di Roma e coordinatore del dottorato in Ingegneria delle fonti di energia dice che le aziende comunicano continui aumenti delle potenze installate, ma sull’energia effettivamente prodotta non c’è informazione. E se l’impianto non lavora, i kilowattora sono zero. Uno studio sui dati del Gse del 2007-8, i soli che riportano i kilowattora prodotti all’anno dalle potenze incentivate in Italia, rivela che le ore di funzionamento effettive degli impianti solari sono sotto le mille ore. In un anno ci sono 8.760 ore.
Gli incentivi sono finanziati con la componente A3 delle fatture energetiche pagate dai cittadini italiani. Attualmente la componente A3 arriva al 7,5%, ma è destinata ad aumentare per rispettare gli obiettivi presi a livello europeo.
L’Italia nel 2008 è diventato il quinto paese al mondo come capacità fotovoltaica installata dopo Germania, Spagna, Giappone e Stati Uniti.
Oggi gli incentivi italiani sono considerati i migliori al mondo. In Germania, al secondo posto in Europa, il massimo incentivo arriva a 32 centesimi per Kwh.
La Spagna aveva incentivi
migliori dei nostri, fino al gennaio di
quest’anno. Il
governo Zapatero ha incentivato la realizzazione
di oltre 2 gigawatt di campi solari, il 42% dei
nuovi impianti del 2008. L’incentivo spagnolo
garantiva 48 centesimi per chilowattora
prodotto. Per contenere i costi è stato ridotto
del 35%, a 32 centesimi. L’industria del solare
spagnolo si è del tutto fermata. Si sono perse
decine di posti di lavoro.
Per evitare che si ripeta il caso spagnolo,
Confindustria Anie/Gifi (Gruppo imprese
fotovoltaiche italiane), chiede al governo di
evitare tagli drastici degli incentivi alla fine
del programma Conto Energia. Per il quinquennio
2011-2015 Confindustria vuole portare il limite
di potenza incentivabile dagli attuali 1.200 Mw
ad almeno 7mila Mw e chiede di tagliare gli
incentivi, a seconda della potenza, di una quota
compresa tra il 5 e il 20%. Dal 2012 fino al
2015 le tariffe potrebbero poi subire una
ulteriore riduzione annua pari al 5%,
continuando comunque a garantire adeguati
profitti agli investitori e alla filiera
industriale.
Senza il contributo pubblico, comunque, l’energia solare sarebbe molto più cara di quella ottenuta dalle fonti tradizionali. La bolletta energetica italiana in media si aggira sui 20 centesimi di euro per Kwh. Ancora secondo lo studio Il valore dell’energia fotovoltaica in Italia, per gli impianti domestici il costo della produzione di elettricità varia dai 51,3 centesimi per Kwh nel Nord del Paese, dove le ore di insolazione annue sono 1.100, ai 37,6 euro del Mezzogiorno (1.500 ore di sole).
Il Sole 24 Ore cita il caso della famiglia Zardi di Casatenovo (Lecco): nei 12 mesi tra maggio 2008 e maggio 2009 il risparmio sulla bolletta ottenuto grazie al loro impianto fotovoltaico è stato di 543 euro, a cui si sono aggiunti 1.329 euro ricevuti per il Conto energia. Totale: 1873 euro. Di questo passo i 16.306 euro dell’investimento iniziale per l’impianto da 2,45 kWp si recuperano in meno di nove anni. In vent’anni, a questi ritmi, il guadagno al netto dell’investimento sarà di poco superiore ai 21mila euro.
(Nov. 2009)