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Anno XIV num.4
Lug./Ago. 2015

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L'INQUINAMENTO E L'ENERGIA EOLICA

di Giuseppe Bellia

 

Le maggiori fonti di produzione dell’inquinamento atmosferico sono la produzione di elettricità, i trasporti, le lavorazioni industriali e gli edifici residenziali e commerciali inoltre gli inquinanti prodotti sono detti clima-alteranti in quanto hanno la capacità di alterare e modificare la temperatura terrestre producendo quindi dei cambiamenti climatici.

Oggi, oltre l’80 % dell’energia utilizzata nel mondo viene prodotta bruciando combustibili fossili, quali petrolio, carbone e metano.

È ormai accertato che proprio l’utilizzo di tali combustibili fossili genera la produzione di gas inquinanti che una volta immessi in atmosfera danneggiano l’ambiente.

Annullare totalmente le fonti di inquinamento di origine antropica è di fatto impossibile; ciò che invece è auspicabile, per la salute e per il benessere dell’uomo, è la riduzione di questi.

Negli ultimi anni molto è stato fatto, anche a livello politico, per fronteggiare i diversi problemi ambientali: dall’impegno a perseguire un modello di sviluppo sostenibile alla ricerca degli strumenti più adeguati a conciliare la crescente domanda di energia e, quindi, il crescente consumo di combustibili fossili, con la salvaguardia dell’ambiente.

Ne sono conseguite una serie di decisioni a livello governativo e parlamentare, fra cui le innovazioni introdotte dal Decreto 79/99, noto come Decreto Bersani, che applica in Italia la direttiva europea per la liberalizzazione del sistema elettrico, sulla base di una nuova direttiva europea.

Il decentramento della gestione energetica implica, indirettamente, la valorizzazione delle fonti rinnovabili in quanto tutte a carattere spiccatamente locale: energia solare, eolica, da biomasse, idroelettrica, ecc..

L’impiego in favore della promozione del ricorso alle fonti rinnovabili nasce dal fatto che il loro sfruttamento non produce emissioni dannose per l’atmosfera e contribuisce quindi al rispetto delle azioni contenute nel protocollo di Kyoto.

L’impiego dell’energia eolica per la produzione di energia elettrica è ormai una realtà e rappresenta un caso di successo tra le nuove fonti rinnovabili.

L’energia eolica è l’energia posseduta dal vento.

Sin dall’antichità, l’uomo ha impiegato la forza del vento per muovere le pale dei mulini a vento; i moderni mulini a vento sono gli aerogeneratori.

Il principio di funzionamento degli aerogeneratori è lo stesso dei mulini a vento con la differenza che il movimento di rotazione delle pale viene trasmesso ad un generatore che produce elettricità.

Ai fini dello sfruttamento dell'energia eolica mediante sistemi di conversione elettrica è importante conoscere le variazioni di direzione e di potenza del vento, indipendentemente da quale sia il tipo di vento.

Il metodo più immediato per quantizzare un vento consiste nel misurarne la velocità.

A tale scopo sono stati costruiti gli anemometri o anemografi, cioè degli strumenti che, basandosi su principi fisici diversi, riescono a misurare il vento.

Fra gli anemometri più usati, il più semplice è il cosiddetto anemometro a coppe.

In tale anemometro il vento, soffiando sulle coppe, le pone in rotazione attorno ad un asse verticale; un contatore, elettrico o meccanico, misura il numero di giri che esse eseguono in un certo intervallo di tempo e mediante opportune tabelle di taratura è possibile risalire alla velocità del vento.

Altri tipi di anemometri sono quelli a laser o ad ultrasuoni, che individuano lo sfasamento del suono o la coerenza della luce riflessa dalle molecole dell’aria.

Anemometri a filo caldo individuano la velocità del vento attraverso la differenza di temperatura al minuto tra i fili piazzati al vento e i fili piazzati sottovento.

Il  vantaggio di anemometri non meccanici è che essi sono meno sensibili alle gelate e al ghiaccio.

La potenza del vento è particolarmente forte laddove non sussistono ostacoli, nelle

superfici piane, lungo le coste e in mare aperto.

La velocità del vento, quindi, oltre che dai parametri atmosferici, dipende anche dalla conformazione del terreno; più un terreno è rugoso più il vento incontrerà ostacoli che ridurranno la sua velocità.

 

La scelta del sito deve essere seguita da un'efficace disposizione delle macchine (layout), che vanno opportunamente distanziate sul terreno o in mare per evitare eventuali reciproche interferenze fluidodinamiche che ne riducono la producibilità.

Gli impianti eolici sono gli impianti industriali per lo sfruttamento del vento ai fini della produzione di energia elettrica.

Essi sono costituiti dall’insieme degli aerogeneratori, dall’intera rete dei cavidotti di collegamento, dalle torri anemometriche, dalle cabine d'impianto e di trasformazione, dalle piste di servizio e di accesso all'impianto.

Tra essi si distinguono gli impianti eolici in-shore, cioè localizzati sulla terra, e gli impianti eolici off-shore, allocati cioè in mare a varie distanze dalla costa.

Una centrale eolica è una vera e propria centrale elettrica costituita dall’insieme di più generatori, ognuno di essi è una macchina completa, in grado di funzionare autonomamente e di produrre energia elettrica da immettere in rete, previa la necessaria trasformazione della tensione.

Un aerogeneratore si presenta come una torre in acciaio alla cui sommità è fissata la “navicella” da cui sporge il rotore multipala. La navicella contiene al suo interno un generatore elettrico asincrono, il sistema di riduzione/moltiplicazione dei giri e il sistema frenante.

Esistono aerogeneratori diversi per forma e dimensione che possono avere una, due o tre pale di varie lunghezze ad asse orizzontale o verticale.

Il tipo di aerogeneratore più utilizzato,  che rappresenta ormai lo standard, è quello a tre pale, con rotore sopravvento a mozzo rigido, collocato tra la direzione da cui spira il vento e la torre

La tipica configurazione di un aerogeneratore ad asse orizzontale è la seguente:

la torre di sostegno porta alla sua sommità la navicella (o gondola), costituita da un basamento e da un involucro esterno; nella gondola sono contenuti l'albero di trasmissione lento, il moltiplicatore di giri, l'albero veloce, il generatore elettrico e i dispositivi ausiliari. All'estremità dell'albero lento e all'esterno della gondola è fissato il rotore, costituito da un mozzo, sul quale sono montate le pale. Il rotore può essere posto sia sopravvento che sottovento rispetto al sostegno.

La navicella è in grado di ruotare rispetto al sostegno allo scopo di mantenere l'asse della macchina sempre parallelo alla direzione del vento (movimento di imbardata).

Opportuni cavi convogliano al suolo l'energia elettrica prodotta e trasmettono i segnali necessari per il funzionamento.

Negli ultimi anni la politica di produzione eolica ha rivolto la sua attenzione alla realizzazione di parchi eolici offshore, in quanto questi presentano una maggiore efficienza da un punto di vista dello sfruttamento del potenziale eolico e sono caratterizzati da impatti ambientali e visivi, generalmente, inferiori rispetto agli impianti installati a terra.

L’idea di spostare a mare i tradizionali impianti eolici on-shore nasce dalla considerazione che in mare, dove né gli alberi né i palazzi sono fonte di disturbo, l’intensità del vento è molto più costante e si riesce, quindi, a sfruttare il doppio dell’intensità del vento, conseguentemente le turbine in mare riescono ad ottenere un’energia otto volte superiore rispetto a quelle su terra.

Questo è l’enorme vantaggio di una centrale costruita in mare aperto, il problema però sta nel trovare un sito, al largo della costa, della giusta profondità dove potere installare delle turbine.

Si pensa che nel futuro più prossimo si andranno sempre più espandendo gli impianti offshore, infatti secondo studi effettuati del centro meteorologico europeo di Reading (Ecmwf) sull’analisi del modello di circolazione generale e dal confronto con le misure sperimentali rilevate su boe, isole e navi in varie regioni del Mediterraneo, le aree di maggiore ventosità sono quelle circostanti gli stretti (Stretto di Gibilterra, Bocche di Bonifacio, Stretto di Messina), il versante ovest e sud-ovest di Corsica, Sardegna e Sicilia, le coste del basso Adriatico e dello Ionio, le coste greche e gran parte delle isole dell'Egeo, le coste occidentali e meridionali turche e quasi tutti i litorali nord-africane.

Per valutare se un sito è potenzialmente utilizzabile occorre considerare oltre al vento anche la profondità del mare e la distanza dalla costa.

Per ragioni ambientali e di protezione da impatto visivo, tale distanza, per la Sicilia, non può essere inferiore a 2 miglia marine (pari a circa 3,7 km).

Oggi le tecnologie disponibili per le fondazioni a mare ci permettono di raggiungere

fondali fino a un massimo di 40–50 m anche se si pensa che nel 2020 si potranno raggiungere profondità di oltre 50 m e che potranno esistere centrali eoliche galleggianti ancorate a fondali di qualsiasi altezza.

Tuttavia, al momento tale distanza dalla costa è un fattore che interviene pesantemente sulla fattibilità e sui costi di realizzazione di un impianto off-shore, naturalmente se le aspettative per il 2020 non verranno deluse questo porterà ad un significativo aumento delle aree utilizzabili delle coste siciliane.

Si può quindi affermare che lo sviluppo dell’eolico offshore in Italia implica anche lo

sviluppo della tecnologia delle fondazioni (tecnologia di cui già l’Italia è molto competente).

Secondo le stime della European Wind Energy Association (EWEA) nel 2020 la produzione europea di energia dal vento potrebbe raggiungere i 180.000 MW e quasi il 40% di questo totale potrebbe essere prodotto off-shore.

Anche se la tecnologia offshore per la produzione di energia elettrica deriva direttamente da quella onshore esistono delle differenze tra le due tipologie di turbine.

Innanzitutto, la prima differenza sta proprio nel diverso ambiente in cui operano le macchine. Infatti, è da non sottovalutare il fatto che a mare le condizioni ambientali tendono ad essere più dure ed aggressive, rispetto a quelle su terra, per cui le apparecchiature utilizzate devono essere in grado di resistere all’ambiente più corrosivo; una soluzione è quella di utilizzare delle pale in fibra di carbonio rivestite con resina epossidica.

Per quanto riguarda la parte elettrica tutti i cavi provenienti dalle turbine del parco eolico offshore, sono collegati ad una prima piattaforma di trasformazione (posta a mare) la quale è collegata ad un secondo trasformatore (su terraferma) che a sua volta è collegata alla rete elettrica locale.

Naturalmente i cavi sono tutti interrati per proteggerli da eventuali danni provocati da particolari tipi di pesca o dall’ancoraggio delle navi.

La manutenzione a mare è molto più complessa, infatti in caso di guasto di una turbina sarà necessario attendere le condizioni meteorologiche più sicure e  raggiungere, tramite un’idonea imbarcazione, la zona del guasto.

Questo è il motivo per cui gli aerogeneratori a mare sono progettati per funzionare in modo più attendibile possibile e con una durata di circa 30 anni contro i 20 delle turbine su terra.

Ma la differenza più significativa, sia da un punto di vista di incidenza economica che realizzativo, tra un impianto offshore ed uno su terraferma, è rappresentata dalle fondazioni.

Su terra la realizzazione di fondazioni di una turbina è un aspetto relativamente semplice mentre a mare è molto più complesso e dipende sia dal tipo di terreno con cui si ha a che fare sia, soprattutto, dalle profondità (che a loro volta dipendono dalla distanza dalla linea di costa) a cui si trovano i fondali.

Di conseguenza il costo delle fondazioni per gli impianti offshore assume un aspetto fortemente incidente sulla valutazione di realizzazione in base al rapporto costi di realizzazione/energia annua producibile.

Sicuramente il vantaggio principale che si riscontra a mare è la maggiore velocità e stabilità del vento.

Ad una certa distanza dalla costa, infatti, il vento può avere una velocità superiore anche del 20-25% rispetto alla terraferma e poiché, come già detto in precedenza, la potenza elettrica ottenibile è proporzionale al cubo della velocità del vento stesso, il rendimento di un impianto off-shore potrebbe teoricamente superare di oltre il 70% quello di una macchina eolica in-shore.

In mare, inoltre, è possibile avere una produzione energetica piuttosto costante, grazie al più regolare regime dei venti ed alla mancanza, generalmente, di periodi di calma assoluta (ove si verifichino, sono comunque di breve durata).

Un altro vantaggio è che in mare la turbolenza, ossia la rapida variazione di velocità intorno al suo valore medio, è inferiore rispetto al suolo. Infatti, mentre a terra la radiazione solare colpisce solo lo strato superficiale, che diventa quindi molto caldo, nella massa d'acqua essa penetra per diversi metri. Di conseguenza, le variazioni di temperatura tra la superficie del mare e l'atmosfera sovrastante, così come tra strati di aria a diversa quota, risultano minori che a terra. Tale condizione, diminuendo le sollecitazioni meccaniche subite dalle pale, riduce la necessità di manutenzione e consente una durata più prolungata delle turbine, che potrebbero raggiungere i 25-30 anni di attività rispetto ai circa 20 anni di quelle in-shore.

Inoltre è da notare che a differenza di quanto avviene per gli impianti tradizionali, che vedono la loro migliore collocazione in aree marginali, generalmente con problemi di connessione alla rete, la localizzazione degli impianti offshore può avvenire in prossimità di aree industrializzate, limitando la dispersioni nella trasmissione elettrica.

Ovviamente questa tecnologia ha dei fattori che limitano le reali possibilità di sfruttamento della risorsa, di cui bisogna tener conto nella scelta dei siti, quali: l'altezza delle onde, che può giungere anche a parecchi metri; le condizioni del fondo marino in cui va installata la base dell'aerogeneratore; la diversa utilizzazione delle zone interessate (pesca, turismo, rotte di navigazione, esercitazioni militari, aree marine protette, piattaforme petrolifere, passaggio di oleodotti ecc.).

Vanno, inoltre, considerati altri limiti, quali le procedure autorizzative, l’inevitabile impatto visivo che tali strutture provocano; un maggiore investimento dovuto ai tipi di fondazione da utilizzare, le procedure di installazione e montaggio molto più complesse che per quelle su terraferma, la profondità dell'acqua, la distanza dalla costa, la difficoltà di connessione alla rete elettrica e la presenza delle zone cosiddette “sensibili” o “escluse” cioè sottoposte a particolari vincoli di tipo ambientale.

 

Giuseppe Bellia

 


 

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