INQUINAMENTO
DA DIOSSINE: “CHI CERCA TROVA…”
di Ciancimino Loredana
INTRODUZIONE
Con il termine generico di diossine si
indica un gruppo di 210 composti chimici aromatici* policlorurati,
costituiti da carbonio, idrogeno, ossigeno e cloro, suddivisi in due
famiglie: dibenzo-p-diossine (PCDD o propriamente diossine) e
dibenzo-p-furani (PCDF o furani).
Si tratta di molecole particolarmente
stabili e persistenti nell’ambiente, tossici per l’uomo, gli animali e
l’ambiente stesso, riconosciute inquinanti organici. (Figura 1).
Figura SEQ Figura \* ARABIC 1: Formula di struttura
delle diossine
La tossicità*
delle diossine dipende dal numero e dalla posizione degli atomi
di cloro sull’anello aromatico, le più tossiche sono costituite da 4
atomi di cloro legati agli atomi di carbonio β dell’anello aromatico e
pochi o nessun atomo di cloro legato agli atomi di carbonio α
dell’anello aromatico.
Nella terminologia corrente il termine diossina, al
singolare questa volta, viene usato come sinonimo della
2,3,7,8-tetracloro- dibenzo-p-diossina
(TCDD), ossia del congenere*
maggiormente tossico l’unico riconosciuto possibile cancerogeno per
l’uomo) che ha 4 atomi di cloro nelle posizioni β e nessuno in α.
Tutte queste caratteristiche chimico-fisiche, rendono
questi composti facilmente trasportabili soprattutto dalle correnti
atmosferiche e in misura minore, dai fiumi e dai mari, permettendo così
la contaminazione di luoghi lontani dalle sorgenti di emissione.
1. BIOACCUMULO DELLE DIOSSINE
Le diossine, ubiquitarie nell’ambiente, a causa della
loro persistenza e liposolubilità*,
tendono ad accumularsi, nel tempo, negli organi e nei tessuti grassi
degli esseri viventi (bioaccumulo*).
Il meccanismo primario di ingresso delle diossine è
nella catena alimentare terrestre: la deposizione atmosferica in
fase di vapore avviene sulle foglie delle piante e sul terreno, per cui
se erba e suolo contaminati vengono ingeriti da animali da pascolo e da
allevamento si manifesta un accumulo di queste sostanze nei grassi
delle loro carni e nei grassi del latte prodotto, inoltre, le diossine,
possono essere trasportate dalle acque superficiali e raccolte nei
sedimenti e raggiungere quindi la fauna ittica.
Salendo nella catena trofica alimentare, si
potrebbe verificare un aumento della concentrazione di tali sostanze, in
questo caso si parla di biomagnificazione *, esponendo a maggior rischio
il vertice di detta catena.
Figura 2 : Trasporto delle diossine
L’ingresso delle diossine nella catena
alimentare acquatica avviene invece mediante il cosiddetto
particolato cioè deposizione secca ed umida, erosioni, scarichi,
ecc., nell’ambiente acquatico.
Gli animali acquatici assumono le diossine
attraverso la bioconcentrazione * nell’acqua ed il trasferimento nelle
reti trofiche, concentrazioni che dipendono, inoltre, dalla percentuale
di contenuto in grasso nei loro tessuti.
Le diossine, dunque, possono considerarsi
dei contaminanti ubiquitari, per cui, tutti gli esseri viventi hanno
accumulato una quantità di diossine più o meno significativa che
varia in funzione dello stile di vita, delle caratteristiche fisiche,
dell’alimentazione, delle caratteristiche ambientali.
Fortunatamente non tutte le diossine
presenti nell’ambiente sono biodisponibili in forma tale da passare
nella catena alimentare ed arrecare danni alla salute.
Nelle aree non coinvolte da emissioni a
carattere industriale, la presenza di diossine nell’ambiente
deriva, piuttosto, dall’accumulo, continuo e prolungato di quantità
anche piccole di questi contaminanti nelle cosiddette riserve
ambientali.
2. EFFETTI SULLA SALUTE
L’uomo può venire in contatto con le
diossine attraverso tre principali fonti di esposizione:
ambientale, occupazionale, accidentale.
L’esposizione ambientale, può interessare
ampie fasce della popolazione ed avviene, attraverso il contatto o
l’inalazione di polvere o attraverso l’alimentazione con cibo
contaminato.
L’esposizione occupazionale riguarda gruppi
di persone professionalmente esposte alla produzione di pesticidi o
particolari prodotti chimici, mentre l’esposizione accidentale è dovuta
ad incidenti.
La figura 3 riporta le percentuali di cibo
contaminato da diossine.
Figura 3: esposizione a PCDD
L’assunzione di latte e latticini
contaminati rappresenta approssimativamente il 37% dell’esposizione,
tuttavia una percentuale apprezzabile del totale deriva dall’assunzione
di carni bovine, suine e di pesce. I prodotti di origine vegetale
contribuiscono in piccola percentuale.
Il metodo migliore per ridurre l’esposizione
a queste sostanze risulta essere, ad oggi, l’adozione di un regime
alimentare povero di grassi animali.
L’uomo, essendo al vertice della catena
trofica, risulta esposto ai rischi di tali sostanze contaminanti anche a
concentrazioni basse, addirittura bassissime.
Gli effetti maggiormente noti
sull’organismo, sviluppano delle patologie conseguenti a esposizioni
acute tipiche di eventi incidentali e/o esposizioni professionali.
3. PATOLOGIE LEGATE ALLE DIOSSINE
La cloracne è stata storicamente la prima
patologia collegata all’esposizione alle diossine, essa fu infatti
individuata per la prima volta nel 1897 e segnalata come malattia
occasionale tra i lavoratori addetti agli impianti per la sintesi dei
policlorobifenili (PCB) e tra i lavoratori addetti alla produzione dei
primi pesticidi degli anni 30.
La malattia si manifesta con eruzioni
cutanee e pustole simili a quelle dell’acne giovanile, ma con
possibile localizzazione estesa all’intera superficie corporea e con
manifestazioni protratte, nei casi più gravi, per diversi anni.
Studi condotti su animali e sull’uomo
evidenziano le alterazioni a carico del sistema immunitario indotte da
diossine anche a dosi molto limitate, tali alterazioni consistono nella
riduzione e nel danneggiamento dei linfociti, cellule coinvolte nella
funzione importante di difesa dell’organismo.
Altri importanti effetti delle diossine sono
stati rilevati a livello del sistema endocrino, quest’ultimo
interferisce con la produzione, rilascio, trasporto,metabolizzazione,
legame, azione o eliminazione di ormoni naturali del corpo.
Altri studi clinici evidenziano gli effetti
particolarmente dannosi delle diossine durante lo sviluppo fetale
determinando alterazioni sia in senso immunodepressivo che
ipersensibilizzante.
Nei feti esposti a concentrazioni di
diossine pari o lievemente superiori ai valori di base durante la fase
gestazionale sono stati riscontrati effetti sullo sviluppo del sistema
nervoso e sulla neurobiologia del comportamento.
Sono stati osservati effetti tossici, sia
cronici che acuti, che consistono generalmente in una riduzione della
fertilità, disturbi della crescita, immunotossicità e cancerogenità in
esemplari della fauna selvatica esposti alle diossine nel proprio
ambiente, anche a livello delle prime fasi di vita (uova, embrioni, fasi
larvali).
Molto spesso, fuori dal laboratorio è
impossibile dimostrare chiaramente un
rapporto causa/effetto tra l’esposizione
alle diossine ed i fenomeni osservati.
La tetraclorodibenzodiossina è stata
riconosciuta quale agente cancerogeno per l’uomo (classificata gruppo
1) dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.
L’esposizione cronica subletale alla TCDD,
ad esempio, provoca un accumulo di porfirine nel fegato (porfiria:
malattia che provoca una serie di effetti tra i quali distruzione di
globuli rossi e fotosensibilità) ed un incremento dell’escrezione
urinaria di queste sostanze.
Nei casi conclamati, l’accumulo di porfirine
si estende anche alla milza ed ai reni.
La TCDD risulta irritante per gli occhi, la
cute e il tratto respiratorio. La sostanza può determinare effetti,
anche in tempi ritardati rispetto all’esposizione, sul sistema
cardiovascolare, sul tratto gastrointestinale, sul fegato, sul sistema
nervoso e sul sistema endocrino. Contatti ripetuti o prolungati con la
cute possono causare dermatiti.
Occorre inoltre osservare che, in alcuni
casi, la relazione causa- effetto tra esposizione alla contaminazione ed
effetti sull’organismo non è stata pienamente accertata.
4. LE SORGENTI DELLE DIOSSINE
Le diossine non vengono prodotte
intenzionalmente, ma sono sottoprodotti indesiderati di una serie di
processi chimici e/o di combustione.
Esse si originano da processi chimici di
sintesi dei composti clorurati e da processi di combustione non
controllata che coinvolgono vari prodotti quali:
materie plastiche, termoplastiche,
termoindurenti, ecc., rifiuti contenenti composti clorurati, per cui
tali processi vengono indicati come sorgenti primarie.
Le diossine, sono soggette a vari destini
ambientali, una volta immesse nell’ambiente, danno origine a processi di
accumulo in specifici comparti ambientali come suoli e sedimenti, a
processi di bioaccumulo in specifici prodotti quali latte e vegetali a
foglia larga ed organismi come la fauna ittica e gli erbivori, per
divenire a loro volta sorgenti secondarie.
Le sostanze che producono diossine a
seguito della loro combustione vengono indicate come precursori, mentre
quelle che presentano tracce/residui di diossine in conseguenza del loro
processo di produzione costituiscono delle riserve in grado di
rilasciare diossine nell’ambiente con modalità dipendenti dal
tipo di utilizzazione e gestione.
Tra i processi chimici prevalgono,
soprattutto, quelli di produzione delle plastiche, dei composti chimici,
della carta e degli oli combustibili e come tali sono anche i
responsabili diretti nella produzione sia di precursori sia di
riserve.
I processi di combustione si possono
distinguere in: combustioni incontrollate, combustioni controllate e
quindi volontarie, combustioni controllate per la produzione di energia.
Fanno parte delle combustioni incontrollate:
incendi accidentali, varie combustioni all’aperto di materiali
eterogenei, quali rifiuti urbani, pneumatici, ecc., il cui contributo
risulta di difficile quantificazione e valutazione; reflui e rifiuti
derivanti da processi di sintesi dei composti clorurati, diserbanti,
pesticidi, ecc., incendi boschivi in presenza di composti chimici
clorurati per la combustione di lignina e cellulosa; eruzioni vulcaniche
con meccanismo di produzione di diossine analogo agli incendi
boschivi.
Tra le combustioni controllate volontarie vi
fanno parte: rifiuti solidi urbani, carburante/combustibili nei processi
di fusione dei metalli ferrosi e non ferrosi, carburante/combustibili
nei processi di produzione del cemento, fanghi (incenerimento).
Tra le combustioni controllate per la
produzione di energia: trasporti (per le riserve, invece,
sono costituite da composti clorofenossilici come il vecchio diserbante
2,4,5-T o acido triclorofenossiacetico o il più attuale 2,4-D o acido
diclorofenossiacetico, da composti intermedi di sintesi per i
disinfettanti quali l’esaclorofene, da composti clorurati alifatici* che
contengono tracce/residui di diossine come sottoprodotti indesiderati
formati durante i processi produttivi.
Altre importanti l’utilizzo di combustibili
che contengono composti clorurati), combustione di legno trattato,
combustione di oli combustibili.
Tra i precursori troviamo: le
termoplastiche, le cloroparaffine negli oli usati, i pentaclorofenoli
(PCP/PCP-Na), i policlorobifenili (PCB), il cloro inorganico.
Questi composti chimici vengono utilizzati
per la produzione di conservanti del legno, di pesticidi,
nell’industria del cuoio e della pelle in generale e nell’industria
delle plastiche.
Le riserve sono costituite da composti
organici alogenati utilizzati nell’industria della plastica come il
cloruro di vinile monomero , il polistirene (polistirolo) e il
dicloroetilene che contengono anche essi tracce/residui di PCDD/F
formatisi come sottoprodotti indesiderati durante i processi produttivi.
Si è osservato che circa il 42% delle
emissioni è da imputare al macrosettore industria che riguarda le
seguenti sottocategorie di combustione:
·
processi di combustione con
contatto;
·
forni di processo senza
contatto;
·
combustione nelle caldaie,
turbine e motori a combustione interna.
Circa il 26% delle emissioni è da imputare
invece ai processi di produzione che comprende le seguenti
sottocategorie:
·
processi nell’industria
petrolifera;
·
produzione di idrocarburi
alogenati ed esafluoruro di zolfo.
·
processi nelle industrie
chimiche inorganiche;
·
processi nelle industrie
chimiche organiche;
·
processi nell’industria del
legno, pasta per la carta, alimenti, bevande e altro;
·
processi nelle industrie del
ferro e dell’acciaio e nelle miniere di carbone;
·
processi nelle industrie di
metalli non ferrosi.
Circa il 13% delle emissioni è da attribuire
ai processi di trattamento smaltimento rifiuti, che comprende le
seguenti sottocategorie:
• incenerimento rifiuti;
• interramento di rifiuti solidi;
• incenerimento di rifiuti agricoli ;
• cremazione;
• altri trattamenti di rifiuti.
Circa il 10% delle emissioni è da attribuire
al macrosettore della combustione non industriale, che comprende le
seguenti sottocategorie:
·
impianti in agricoltura,
silvicoltura e acquicoltura;
·
impianti commerciali ed
istituzionali;
·
impianti residenziali;
I processi di combustione rappresentano
dunque le attività macrosettoriali maggiormente responsabili delle
emissioni in atmosfera di diossine.
Da una stima effettuata dall’Unione Europea
sul rilascio di diossine sulla matrice suolo, risulta che l’apporto
maggiore della contaminazione è attribuibile alla produzione di
pesticidi e agli incendi incontrollati (accidentali/dolosi).
4.1 Sorgenti primarie.
Le sorgenti primarie originano
diossine tramite due
tipologie di processo: i processi chimici-industriali, per effetto di
sintesi chimiche ed i processi termici, per effetto del calore.
4.1.1 Processi chimici-industriali.
In tali processi chimici le reazioni
avvengono generalmente allo stato liquido ed il prodotto è trattenuto
all’interno dell’impianto di reazione. Le alte temperature, un ambiente
basico, la presenza di raggi ultravioletti e la presenza di radicali
nelle reazioni chimiche favoriscono la formazione di diossine.
Nei processi chimici, la tendenza a generare
tali sostanze decresce nel seguente ordine:
clorofenoli > clorobenzeni > composti
clorurati alifatici > composti clorurati inorganici, queste sostanze
costituiscono delle riserve
poichè vengono prodotte e utilizzate con
tracce/residuo di diossine
le cui concentrazioni possono variare secondo
diversi ordini di
grandezza.
I raggi ultravioletti, tendono sia a
degradare le diossine in presenza di idrogeno (ad esempio sulle foglie
verdi delle piante) sia a contribuire alla loro formazione.
In passato, la principale fonte d’origine
era individuata nella produzione e nell’uso di prodotti chimici
clororganici utilizzati nell’industria della carta, tra l’altro, era
stata inoltre rilevata una concentrazione rilevante di diossine nei
prodotti finali del processo (pasta di carta, carta) e nei fanghi
derivanti dagli stessi.
Con l’uso di nuove e migliori tecnologie,
insieme ad una diversa utilizzazione delle varie sostanze, ha portato ad
una riduzione delle concentrazioni di diossine nei prodotti finali e nei
fanghi delle cartiere.
Altri prodotti contaminati dall’utilizzo di
queste sostanze-riserve sono il legno, i prodotti in pelle e i prodotti
di sughero trattati con pentaclorofenolo,i prodotti tessili, i fluidi
dielettrici che contengono policlorobifenili ed altri additivi
clorurati.
L’industria chimica contribuisce alla
produzione di diossine
anche attraverso anche la produzione di precursori quali
prodotti, reflui e rifiuti contenenti composti clorurati.
Tra i precursori particolare rilevanza
assumono le materie plastiche, termoplastiche e termoindurenti. Le
plastiche termoindurenti, in particolare, per la loro caratteristica di
essere lavorate ad alte temperature, in fase di produzione e
successivamente solidificate tramite raffreddamento, tendono ad
inglobare le diossine
e a liberarle nell’ambito di una successiva combustione
del materiale, accanto a quelle prodotte ex novo.
4.1.2 Processi di combustione.
Nelle combustioni le emissioni sono da
attribuire alla presenza di precursori o di diossine nei
prodotti/sostanze immesse attraverso determinate reazioni chimiche, alle
temperature al di sopra dei 250°C e le diossine
formatesi tendono ad essere rilasciate allo
stato gassoso.
La Tabella 1 presenta le principali sorgenti
termiche suddivise in puntuali, più facilmente misurabili e
controllabili e diffuse, difficilmente misurabili e controllabili.
Tabella 1:
Sorgenti di diossine da combustione |
|
Sorgenti puntuali |
• Incenerimento rifiuti: rifiuti
solidi urbani, ospedalieri, combustione di residui plastici
generati da pratiche agricole, combustione di gomme o
pneumatici, rifiuti incontrollati, fanghi da acque reflue. |
• Industria dell’acciaio:
acciaierie, impianti di sintesi, produzione lastre d’acciaio. |
• Impianti di riciclaggio: metalli
non ferrosi (fusione; Al, Cu, Pb, Zn, Sn) |
• Produzione di energia: impianti
alimentati con combustibili fossili, legno, biogas da discarica. |
Sorgenti diffuse |
• Traffico: automobili e mezzi
pesanti. |
• Riscaldamento domestico: carbone,
olio, gas, legno. |
• Casuali: combustione PCB, incendi
negli edifici, incendi boschivi, incendi di materiali vari
all’aperto,eruzioni vulcaniche. |
Incenerimento di rifiuti solidi
urbani.
La presenza di elevate concentrazioni di
diossina nei gas combusti dei processi di incenerimento dei rifiuti, ha
portato le autorità nazionali ad una maggiore cautela nei riguardi delle
tecnologie adottate.
A partire dagli anni ‘70 i livelli di
concentrazione sono diminuiti del 99,8% grazie alla realizzazione di
inceneritori che adottano delle metodologie di incenerimento più
efficienti.
Combustione nei motori (trasporti).
Il cloro nel carburante degli
autoveicoli è causa della formazione di diossine
nel processo di combustione.
Studi di valutazione sulle emissioni
di diossine relative
ai trasporti su strada, mettono in risalto che il contributo è più alto
per le automobili alimentate a benzina con piombo, mentre per i diesel e
le auto alimentate a benzina senza piombo le emissioni sono molto più
basse.
Nella Tabella 2 sono evidenziati i risultati
relativi alle emissioni nella categoria trasporti.
Tabella 2:
Emissioni di aria categoria trasporti stradali.
Sorgente di emissione
Emissioni (g I-TEQ*
/anno) |
Veicoli alimentati con benzina con
piombo 97,8 |
Veicoli alimentati con benzina senza
piombo 7,8 |
Veicoli alimentati con gasolio
5,5 |
Incenerimento di fanghi di
depurazione.
Il contenuto di microinquinanti
organoclorurati nei fanghi di depurazione, è inferiore rispetto a quello
rilevato nei rifiuti solidi urbani, essendo presumibilmente presenti nei
fanghi minori quantità di precursori come polivinilcloruro,policloribifenili,
policloronaftaleni ecc.
Con l’utilizzo di forni cosiddetti a piani,
la camera di post-combustione ha il compito di riportare i fumi ad alta
temperatura e di giungere alla completa combustione delle sostanze
organiche presenti.
Combustione del legno.
In presenza di donatori di cloro la
combustione del legno produce diossine
con concentrazioni dipendenti dal fatto che la
combustione interessi legno naturale o legno trattato con
pentaclorofenolo.
4.1.3. Sorgenti di combustione
incontrollate.
Incendi accidentali ed all’aperto.
E’ abbastanza difficile effettuare una stima
precisa dei fattori di emissione specifici per questa categoria di
sorgente, a causa della molteplicità dei materiali che possono bruciare
come carta, plastica, cibo, vestiti, metalli, ecc. e della diversa
natura degli incendi possibili come ad esempio incendi di edifici, di
automobili, ecc.
Incendi boschivi.
Da studi svolti risulta che la
concentrazione di diossine nei gas derivanti dalla combustione
naturale di una foresta sia dovuta alla presenza di composti clorurati
presenti in basse concentrazioni nell’ambiente, prima del verificarsi
della combustione.
4.1.4 Processi di raffinazione e fusione
dei metalli.
Le diossine prodotte da processi di
raffinazione e fusione dei metalli sono dovute sia al tipo di
combustibile bruciato nei forni per ottenere temperature
sufficientemente alte da fondere i metalli sia alle materie immesse nel
forno metallurgico. Le cause possono essere circoscritte nella presenza
di frazioni aromatiche, residui pesanti suscettibili di cracking, ecc.
Inoltre, tutti i processi di rifusione di
rottami non ferrosi e ferrosi possono potenzialmente dar luogo ad
emissioni di diossine per la presenza di plastiche, oli, varie
sostanze chimiche e PCB presenti nei componenti elettrici
vecchi.
4.1.5 Processi per la produzione di
cemento.
I fattori responsabili della formazione di
diossine sono: la fase di cottura che è la parte centrale della
produzione cementiera, durante la quale i forni raggiungono temperature
di 1450°C ed è difficile, tra l’altro, ottenere una distribuzione
uniforme della temperatura in ogni parte del forno, e quindi, può subire
brusche variazioni per la grande quantità di materiali solidi presenti
ed un sufficiente apporto di ossigeno.
5. Bioaccumulo.
Con il termine
bioaccumulo si indica quel
fenomeno di accumulo irreversibile di una sostanza nei tessuti degli
organismi viventi: esso viene utilizzato, indirettamente, come parametro
per la determinazione degli effetti tossici delle diossine.
Il bioaccumulo delle sostanze tossiche
può avvenire o direttamente dall’ambiente in cui l’organismo vive, in
questo caso le concentrazioni della sostanza nei tessuti dell’organismo
diventano progressivamente più alte di quelle presenti nell’ambiente da
cui è stata assorbita, oppure il bioaccumulo si può verificare
attraverso l’ingestione lungo le catene trofiche oppure in entrambi i
modi: nel primo caso il fenomeno viene definito
bioconcentrazione, nel secondo
caso biomagnificazione.
Nel caso della bioconcentrazione le
concentrazioni della sostanza nei tessuti dell’organismo diventano
progressivamente più alte di quelle presenti nell’ambiente da cui e
stata assorbita.
Il fattore di bioconcentrazione viene
definito come il rapporto all’equilibrio, tra la concentrazione di una
sostanza tossica nell’organismo e quella nel mezzo circostante.
Elevati fattori di bioaccumulo sono
responsabili del fenomeno di amplificazione delle concentrazioni, che
portano quantità e concentrazioni nei comparti ambientali
potenzialmente preoccupanti.
6. Fattore di Tossicità Equivalente
(TEF*).
Il fattore di tossicità equivalente esprime
la tossicità dei singoli congeneri, in quanto solitamente, le diossine
vengono rilevate come miscele complesse dei diversi congeneri, anche
se non tutti i congeneri sono tossici o lo sono alla stessa maniera.
Il legame tra le diossine ed il
recettore Ah* è il passo chiave per il successivo innescarsi degli
effetti tossici: la relazione tra struttura e attività è responsabile di
un unico meccanismo d’azione, che determina i numerosi effetti tossici
delle diossine e dei composti diossino-simili. Tali composti sono
infatti tutti caratterizzati da una struttura chimica planare, che
permette loro di interagire con lo stesso recettore citoplasmatico, il
recettore arilico per gli idrocarburi AhR. L’affinità di legame tra
molecola e recettore è direttamente proporzionale al numero di atomi di
cloro sostituiti nelle posizioni laterali e risulta massima con tutte le
posizioni occupate mentre diminuisce all’aumentare del numero di atomi
di cloro in posizioni non laterali. Se ne deduce che la
2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCCD) è il composto con maggiore
affinità di legame per il recettore.
La sostanza tossica entra all’interno della
cellula attraverso la membrana plasmatica, legandosi con il recettore
citosolico AhR. In seguito a tale legame si presume che AhR vada
incontro ad un cambiamento di conformazione che permette una
traslocazione del complesso nel nucleo. Il complesso ligando-AhR
subisce, quindi, una dimerizzazione con una proteina nucleare ARNT (AhR
Nuclear Translocator): tale processo converte l’AhR nella forma DNA
legante ad alta affinità.
Il legame del complesso multimerico ligando:AhR:ARNT,
stimola la trascrizione di alcuni geni con conseguente produzione di
mRNA per il citocromo P4501A1 e quindi induzione enzimatica, inoltre
vengono sintetizzati anche mRNA per proteine responsabili di svariate
manifestazioni cliniche.
Tuttavia, sebbene il ruolo di AhR negli effetti biologici e tossici
prodotti dai ligandi di AhR sia ben documentato, gli esatti eventi
biochimici responsabili per i vari effetti avversi di tali sostanze
chimiche rimangono ancora da chiarire. Il ruolo fisiologico di AhR
rimane una questione chiave ed ancora non sono stati identificati
ligandi endogeni ad alta affinità.
Probabilmente la maggiore esposizione ai ligandi di AhR si ha mediante
l’alimentazione. In effetti la maggior parte dei ligandi “naturali”
identificati finora sono ricollegabili all’alimentazione o prodotti
alimentari delle piante, tra questi composti ritroviamo i flavonoidi, i
carotenoidi e i fenoli, anche se la maggior parte di essi presenta solo
una debole attività. In ogni caso è stata riportata la presenza di
ligandi per questo recettore in diversi tipi di vegetali, frutti, erbe e
anche nel the. La cosa preoccupante è che diversi tipi di indoli
alimentari quali il triptofano, possono essere convertiti, all’interno
del tratto digerente dei mammiferi, in composti molto più potenti
nell’attivazione della via di segnale di AhR.
Figura 4: Meccanismo d’azione della
diossina (TCDD)
I TEF, quindi vengono calcolati confrontando
l’affinità di legame dei vari composti organo clorurati con il recettore
Ah, rispetto a quella della 2,3,7,8-TCDD, considerando l’affinità di
questa molecola come il valore unitario di riferimento.
Per esprimere la concentrazione complessiva
delle diossine nelle diverse matrici si è introdotto il concetto
di tossicità equivalente (TEQ) che si ottiene sommando i prodotti
tra i valori TEF dei singoli congeneri e le rispettive concentrazioni,
espresse con l’unità di misura della matrice in cui vengono riscontrate.
Le unità di misura della concentrazione
vengono espresse, generalmente in:
suolo/sedimenti: mg/kg – g/kg – ng/kg;
acque: mg/l – g/l – ng/l;
aria: mg/m3 - g/m3 - ng/m3.
I fattori di emissione sono, invece
espressi, in generale, su base oraria o giornaliera .
7. COMPORTAMENTO E DISTRIBUZIONE
AMBIENTALE
7.1 Ambiente atmosferico.
Per comprendere il comportamento delle
diossine nei diversi comparti ambientali occorre capire le leggi che
regolano ne il loro movimento nell’ambiente atmosferico e quali
caratteristiche chimico-fisiche devono essere considerate per
individuare i possibili effetti sugli ecosistemi e il destino
ambientale.
Le diossine sono composti definibili
semivolatili e nell’atmosfera, sono presenti sia in fase vapore che come
particolato.
La deposizione sul suolo, sulla vegetazione
e sulle superfici acquatiche di questi contaminanti può avvenire
attraverso meccanismi di deposizione secca e umida.
La deposizione umida è il meccanismo
primario attraverso il quale il particolato di piccole dimensioni viene
rimosso dall’atmosfera, contaminando suolo, corpi idrici e vegetazione
in due modi: o si dissolvono nelle precipitazioni o sono associate al
particolato rimosso dalle precipitazioni.
La deposizione secca può avvenire nei due
seguenti modi:
• deposizione umida (rimozione attraverso
precipitazioni);
• deposizione secca di particolato (caduta
gravitazionale delle particelle) ed infine deposizione secca della fase
vapore (assorbimento di queste sostanze in fase vapore dalla
vegetazione).
7.2 Ambiente terrestre.
L’ambiente terrestre può ricevere gli
inquinanti ambientali attraverso le seguenti vie:
• deposizione atmosferica;
• spandimento di fanghi e composti;
• spandimento di sedimenti provenienti da
esondazioni;
• erosione da aree contaminate nelle
vicinanze.
Nel suolo la diossina, ad esempio, non
presenta mobilità significativa in quanto è adsorbita dal carbonio
organico del suolo stesso, una volta adsorbita, rimane relativamente
immobile ed a causa della bassa solubilità in acqua non mostra tendenza
alla migrazione in profondità.
La via di fuga più probabile della diossina
che si trova sulla superficie del suolo umido è la volatilizzazione e
l’adsorbimento può attenuare tale processo.
La sua persistenza di negli strati
superficiali del suolo è stimata con un’emivita pari a 9-15 anni, mentre
l’emivita stimata per gli strati più profondi è di 25- 100 anni, il
suolo, dunque, rappresenta un importante mezzo di accumulo.
7.3.Ambiente acquatico.
Le diossine sono molecole scarsamente
idrosolubili, ma trovano nell’acqua un’ottima via di diffusione una
volta adsorbite sulle particelle minerali ed organiche che si trovano in
sospensione su di essa.
L’ambiente acquatico può ricevere le
diossine attraverso:
1. deposizione atmosferica,
2. immissione di reflui industriali,
3. dilavamento di suoli contaminati.
Una volta immesse nei corpi idrici le
diossine possono bioaccumularsi negli organismi, o volatilizzare
e quindi rientrare in atmosfera, o adsorbirsi ai sedimenti.
7.4 Assorbimento e contaminazione nei
vegetali.
L’assorbimento dei composti organici da
parte delle piante è controllato da vari fattori:
• caratteristiche delle piante;
• fattori ambientali, come temperatura,
contenuto di carbonio organico nei terreni, contenuto di acqua nel
suolo;
• proprietà chimico-fisiche del composto,
come peso molecolare, solubilità in acqua, coefficiente di ripartizione
ottanolo-acqua, pressione di vapore* .
I vegetali possono essere contaminati da
sostanze inquinanti attraverso tre importanti meccanismi:
1. deposizione atmosferica direttamente
sulle foglie;
2. assorbimento radicale con il
trasferimento dell’inquinante dal suolo alla parte alta della pianta
attraverso l’assorbimento da parte delle radici;
3. volatilizzazione dal suolo.
La concentrazione totale di contaminante
presente nelle piante si ottiene con la somma di contaminante assunto
attraverso tutti questi meccanismi.
Figura 5: la contaminazione delle
piante da diossina
7.4.1 Deposizione atmosferica.
La deposizione atmosferica può essere
classificata secondo tre diverse tipologie:
• deposizione secca di gas;
• deposizione secca di particolato;
• deposizione umida.
L’incidenza di queste tre vie di
contaminazione dipende dalla ripartizione
gas/particolato di PCDD/F in atmosfera.
Il trasferimento sulla vegetazione di tutti
i congeneri delle diossine, avviene attraverso meccanismi di deposizione
secca della fase vapore, mentre i congeneri epta e octa sostituiti
contaminano suolo e vegetazione attraverso meccanismi di deposizione
secca e umida di particolato.
La deposizione atmosferica di queste
sostanze rappresenta una via di contaminazione molto significativa per i
vegetali, poichè le diossine che si depositano sulla loro
superficie, vengono assorbite dalla cuticola cerosa presente sulla
superficie fogliare.
Una volta che le diossine sono
fissate sulla superficie delle foglie non vengono assorbite all’interno
della pianta, in quanto non vi sono meccanismi in grado di trasportare
queste sostanze all’interno dei tessuti dei vegetali.
I fattori principali che controllano la
deposizione di diossine nella fase vapore sono la concentrazione
in atmosfera di PCDD/F, la superficie di esposizione, la quantità e la
qualità delle strutture cerose ed altre caratteristiche delle piante:
dati sperimentali indicano che, per un breve periodo di esposizione,
maggiore è la superficie specifica di esposizione della foglia, maggiore
è la quantità di diossine assorbita.
7.4.2 Assorbimento radicale.
L’assorbimento radicale di diossine da parte
delle piante rappresenta una via di contaminazione poco significativa,
poichè nel suolo sono fortemente adsorbite al carbonio organico e quindi
risultano poco disponibili per le piante.
Fa eccezione la famiglia delle cucurbitacee
(zucche ecc.), le quali rilasciano particolari essudati radicali che
mobilizzano le diossine in prossimità delle radici rendendole
disponibili all’assorbimento radicale, da lì vengono trasportate,
tramite i sistemi vascolari delle piante, dalle radici ai frutti.
Mentre per i vegetali che crescono
sottoterra, come patate e carote, l’assorbimento radicale è
trascurabile, i bulbi vengono coinvolti solo da un assorbimento
superficiale dovuto al contatto diretto delle diossine presenti
nel suolo e quindi la rimozione della buccia comporta l’eliminazione del
contaminante.
7.4.3 Volatilizzazione di diossine dal
suolo.
La volatilizzazione di diossine dal suolo ed
il conseguente assorbimento del vapore da parte delle foglie rappresenta
un’altra via di contaminazione dei vegetali, anche se quest’ultima è
rilevante nel momento in cui il suolo presenta alte concentrazioni di
diossina.
Oltre alle zucchine, anche spinaci e mais
possono presentare alte concentrazioni di diossina.
8.La politica ed i programmi
internazionali di controllo.
Le conoscenze scientifiche hanno permesso
che le autorità nazionali e la comunità internazionale sviluppassero una
legislazione sempre più restrittiva, per la produzione, l’immissione sul
mercato e lo smaltimento di prodotti contenenti diossine.
A livello internazionale le principali
iniziative sono le seguenti:
• la dichiarazione adottata nel 1990 dalla
Conferenza del Mare del Nord che ha stabilito una riduzione del 70%
delle emissioni di diossine;
• la revisione del Protocollo della
Convenzione di Barcellona sulla salvaguardia del Mediterraneo
dall’inquinamento prodotto da fonti situate a terra, che contiene un
elenco di sostanze da limitare, tra cui anche le diossine;
• La
convenzione di OSPAR (Oslo e Parigi), stipulata nel 1998,
per la protezione dell’ambiente marino dell’Atlantico
nordorientale, con lo scopo di eliminare le emissioni, gli scarichi e le
perdite di sostanze pericolose entro il 2020 e raggiungere cosi
concentrazioni “quasi zero” di composti come diossine
nell’ambiente marino.
• La convenzione di Stoccolma,
adottata il 23 maggio 2001, firmata da oltre
120 nazioni, è un trattato internazionale che vieta la produzione, l’uso
ed il rilascio di sostanze chimiche pericolose conosciute come
inquinanti organici persistenti.
Tale trattato rappresenta una svolta per
l’industria e per i programmi ambientali, poichè si riconosce, per la
prima volta, che il rilascio degli inquinanti tossici non può essere
controllato e quindi deve essere impedito per proteggere la salute
pubblica e l’ambiente.
La Convenzione di Stoccolma oltre a
prevedere l’eliminazione di dodici composti ritenuti prioritari
soprannominati “la sporca dozzina”, tra cui le diossine, regola anche
l’immissione sul mercato di nuovi composti chimici che abbiano
caratteristiche di tossicità.
La lista nera continua, includendo anche:
DDT, esaclorobenzene, toxafene, mirex, aldrin, endrin, dieldrin,
clordano, eptacloro. Si tratta di pesticidi agricoli, sostanze chimiche
industriali e sottoprodotti della combustione praticamente ubiquitari.
9.La normativa Comunitaria
La Comunità europea è parte contraente di
molte convenzioni a livello internazionale, l’intervento Comunitario su
queste tematiche è legittimato dall’art. 152 del trattato della Comunità
europea che prevede: “nella definizione e nell’attuazione di tutte le
politiche ed attività della Comunità è garantito un livello elevato di
protezione della salute umana”.
Poi vi è l’articolo 174 che stabilisce che
la politica della Comunità in materia ambientale debba contribuire alla
salvaguardia, alla protezione e alla promozione della qualità
dell’ambiente e della salute umana.
In ambito comunitario sono state emanate
numerose direttive, si tratta in particolare della legislazione in
materia di:
-
restrizioni d’immissione sul mercato e di uso dei prodotti chimici (Direttiva
85/467/CE
che proibisce l’immissione sul mercato e l’uso di tali
sostanze);
-
incenerimento dei rifiuti: Direttiva 2000/76/CE:
tale Direttiva/testo unico, superando con effetto abrogativo dal 28
dicembre 2005 le precedenti 89/369/CEE sui nuovi inceneritori per
rifiuti urbani, 89/429/CEE sugli inceneritori esistenti per i rifiuti
urbani e 94/67/CEE sull’incenerimento dei rifiuti pericolosi, accorpa in
forma compiuta tutte queste categorie di rifiuti;
-tutela delle acque (Direttiva
2000/60/CE, direttiva quadro sull’acqua;
-Direttiva
98/83/CE relativa alla qualità delle acque
destinate al consumo umano;
-Direttive comunitarie 91/271/CE
sulle acque reflue urbane e
91/626/CE sull’inquinamento
da nitrati in agricoltura);
-
controllo dei pericoli legati agli incidenti rilevanti (Direttiva
96/82/CE che mira a prevenire i pericoli e
limitare le conseguenze degli incidenti);
-alimenti
(Regolamento 466/2001/CE
sui tenori massimi per alcuni contaminanti nei prodotti
alimentari;
-Regolamento 2375/2001/CE;
Direttiva
2002/69/CE che stabilisce
metodi di campionamento e d’analisi per il controllo di diossine
nei prodotti alimentari);
-
alimentazione e mangimi per animali (Direttiva
del Consiglio 1999/29/CE sulle sostanze e
prodotti indesiderabili nella nutrizione degli animali;
-Regolamento
102/2001/ CE;
Direttiva 2005/7/CE che
stabilisce i requisiti per la determinazione dei livelli di diossine
nei mangimi per animali).
10.LE NORME E I LIMITI PER LE DIOSSINE
10.1 Normativa in campo alimentare.
Le diossine sono contaminanti che
permangono inalterati nell’ambiente per molti anni e riescono,
direttamente o a mezzo di catene trofiche, ad arrivare fino agli
alimenti, infatti oltre il 90% dell’esposizione umana alle diossine
è riconducibile agli alimenti, tra i quali, i prodotti della pesca
ed altri prodotti di origine animale determinano oltre l’80%
dell’esposizione totale.
Il comitato scientifico dell’alimentazione
umana (Scientific Commitee on Food SCF65) dell’Unione Europea ha
espresso, un parere sulla valutazione dei rischi delle diossine nei
prodotti alimentari: stabilendo un valore cumulativo per la dose
tollerabile settimanale (Tolerable Weekly Intake, TWI*) di diossine
pari a 14 picogrammi (pg*) di equivalente tossico (TEQ*) per
chilogrammo di peso di corporeo.
Dati rappresentativi sull’assunzione
settimanale indicano che i valori medi di
diossine assunti con la dieta alimentare
nell’Unione Europea sono compresi tra 8,4 e 21 pg di equivalente tossico
(TEQ)/kg di peso corporeo/settimana, il che significa che una notevole
parte della popolazione europea si troverebbe ancora al di sopra del
limite della dose tollerabile settimanale.
Il Regolamento
CE 2375/2001 del Consiglio,
definisce i tenori massimi di taluni contaminanti, tra cui le diossine,
presenti nelle derrate alimentari.
Per le diossine (Tab 3) i livelli massimi
sono fissati principalmente per prodotti alimentari di origine animale.
Tabella 3: Livelli massimi di
diossine nei prodotti alimentari
Prodotti
Livelli
massimi di diossine (pg WHO-PCDD/F-TEQ/g
grasso o prodotto) |
Carne e prodotti a base di carne di: |
- ruminanti (bovini,
ovini)
3pg
WHO -PCDD/F-TEQ/g
grasso |
- pollame e selvaggina
d’allevamento
2 pg WHO
-PCDD/F-TEQ/g grasso |
-
suini
1 pg WHO
-PCDD/F-TEQ/g grasso |
Fegati e prodotti
derivati
6 pg WHO
-PCDD/F-TEQ/g grasso |
Muscolo di pesce e prodotti della
pesca e loro derivati 4 pg
WHO -PCDD/F-TEQ/g peso fresco
|
Latte e prodotti lattiero-caseari,
compreso grasso butirrico 3 pg
WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso
|
Uova di gallina e
ovoprodotti
3 pg WHO
-PCDD/F-TEQ/g grasso |
Oli e grassi: |
- Grasso animale: |
- di
ruminanti
3 pg
WHO -PCDD/F-TEQ/g
grasso |
- di pollame e
selvaggina
2pg WHO -PCDD/F-TEQ/g
grasso |
- di
suini
1pg
WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso
|
- miscela di grassi
animali
2pg
WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso
|
- Olio
vegetale
0,75 pg
WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso |
- Olio di pesce destinato al consumo
umano 2pg
WHO -PCDD/F-TEQ/g grasso
|
|
Nessun livello massimo, invece, si applica
alla frutta e agli ortaggi, ai cereali, poiché tali prodotti alimentari
presentano generalmente bassi livelli di contaminazione e quindi
costituiscono un fattore che contribuisce solo marginalmente
all’esposizione complessiva dell’uomo alle diossine.
Poichè la contaminazione di alimenti quali
carne, latte e uova è direttamente correlata alla contaminazione dei
mangimi, è stato ritenuto indispensabile definire non soltanto un
livello massimo di tollerabilità di diossine negli alimenti
animali ma anche misure volte a ridurne le emissioni nell’ambiente.
In Italia il D.Lgs. 10/5/2004 n.149 fissa i
limiti massimi di sostanze e prodotti indesiderabili nell’alimentazione
degli animali: tale decreto recepisce le Direttive comunitarie n.
2001/102/CE, n. 2002/32/CE, n. 2003/57/CE e n. 2003/100/CE.
Tabella 5 : valori diossine OMS
Diossine
(somma di dibenzo-p-diossine e di dibenzofurani
espressi in equivalenti di tossicità dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (O.M.S.)
|
Prodotti destinati
Contenuto massimo in ng WHO
-
all’alimentazione degli
animali PCDD/F-TEQ/kg di mangime
al tasso di umidità del 12% |
Tutti i componenti dei mangimi di
origine vegetale 0,73
compresi gli oli vegetali e
sottoprodotti
|
|
Minerali intesi conformemente
all’allegato
della direttiva 96125/CE relativa
alla circolazione
ed all’utilizzo di materie prime per
mangimi
1 |
|
Argilla caolinitica, solfato di
calcio biidrato,
vermiculite, natrolite-fonolite,
alluminati di calcio sintetici,
clinoptilolite di origine
sedimentaria
e perlite appartenente al gruppo
degli agenti leganti,
antiagglomeranti
e coagulanti autorizzati in
conformità alla direttiva 70/524/CE
0,75
|
|
Grasso animale compresi i grassi
del latte e delle uova
2
|
|
Altri prodotti di animali terrestri
compresi il latte ed i prodotti
lattiero-caseari,
nonché le uova e gli ovoprodotti
0,75 |
|
Olio di
pesce
6 |
Pesce, altri animali marini, loro
prodotti
e sottoprodotti ad eccezione
dell’olio di pesce
e degli idrolisati proteici di
pesci contenenti
oltre il 20% di grasso
(1)
1,25 |
|
Mangimi composti, ad eccezione dei
mangimi per animali da pelliccia,
per animali da compagnia e per
pesci
0,75
|
|
Mangimi per pesci, animali da
compagnia
2,25
|
Idrolisati proteici di pesci
contenenti oltre il 20% di grasso
2,25
|
(1) Il pesce fresco consegnato direttamente
e utilizzato senza trattamento intermedio per la produzione di mangimi
destinati ad animali da pelliccia è esentato dal limite massimo ed un
tenore massimo di 4,0 ng OMS PCDD/FTEQ/ kg di prodotto è applicabile al
pesce fresco destinato ad essere direttamente somministrato ad animali
da compagnia e ad animali da zoo o da circo. I prodotti, proteine
animali lavorate, prodotte a partire da questi animali (animali da
pelliccia, animali da compagnia, animali da zoo e da circo) non possono
entrare nella catena alimentare e ne è pertanto vietata la
somministrazione agli animali da allevamento tenuti, ingrassati o
allevati per la produzione di alimenti.
11.Normativa e linee guida in campo
ambientale.
11.1 Emissioni in atmosfera.
Il D.M. 12/07/1990,
recante linee guida per il contenimento delle emissioni inquinanti degli
impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione,
stabilisce valori di emissione per varie tipologie di sostanze
inquinanti. Secondo tale decreto i valori limite di emissione delle
diossine sono di 0,01 mg/m³.
Il D.M. 25/02/2000 n. 124,
recante i valori di emissione e le norme tecniche riguardanti le
caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di
incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi, in attuazione
della Direttiva 94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, fissa
valori limite di emissione in atmosfera per varie sostanze.
Tale decreto prevede che gli impianti di
incenerimento siano progettati, equipaggiati e gestiti in modo che
durante il periodo di effettivo funzionamento dell’impianto, comprese le
fasi di avvio e di spegnimento dei forni ed esclusi i periodi di arresti
o guasti, non vengano superati dei valori limite di emissione
nell’effluente gassoso. In ogni caso il valore limite di emissione di
tali sostanze non può essere superiore a 0,1 ng/m³, come valore medio
rilevato per un periodo di campionamento di 8 ore.
Il D.M. 19/11/1997 n. 503,
regolamento recante norme per l’attuazione delle
Direttive 89/369/CEE e 89/429/CEE
concernenti la prevenzione dell’inquinamento atmosferico provocato dagli
impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e la disciplina delle
emissioni e delle condizioni di combustione degli impianti di
incenerimento di rifiuti urbani, di rifiuti speciali non pericolosi,
nonchè di taluni rifiuti sanitari, fissa dei valori limite di emissione
per gli impianti di incenerimento la cui costruzione è stata autorizzata
precedentemente o successivamente alla sua entrata in vigore il cui
limite di emissione e pari a 0,004 mg/m³ (I-TEQ).
Agli impianti di incenerimento la cui
costruzione viene autorizzata successivamente alla entrata in vigore del
presente decreto i valori limite per le sostanze è pari a 0,1 ng/m³
come valore medio rilevato per un periodo di campionamento di 8 ore.
La Direttiva
2000/76/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio sull’incenerimento dei rifiuti prevede una serie di valori
limite di emissioni per varie sostanze.
Gli impianti di coincenerimento devono
essere progettati, costruiti, attrezzati e fatti funzionare in maniera
da non superare i valori limite di emissione per i gas discarico e
prevede per le diossine i seguenti valori:
• disposizioni speciali relative ai forni
per cemento che coinceneriscono rifiuti: 0,1 ng/m³;
• disposizioni speciali per impianti di
combustione che coinceneriscono rifiuti: 0,1 ng/m³,
• disposizioni speciali per settori
industriali che coinceneriscono rifiuti precedentemente non contemplati:
0,1 ng/Nm³ (I-TEQ*).
Tutti i valori medi sono misurati in un
periodo minimo di campionamento di 6 ore e massimo di 8 ore.
Tale Direttiva fissa anche dei valori limite
di emissione relativi agli scarichi di acque reflue derivanti dalla
depurazione dei gas di scarico evacuate da un impiantondi incenerimento
o coincenerimento. Per le diossine tale valore è pari a 0,3 ng/l.
Il D.M. 5/02/1998,
recante individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle
procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33
D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, fissando dei valori limite per le
emissioni, convogliate in atmosfera, conseguenti al recupero di materia
dai rifiuti non pericolosi.
11.2 Acque destinate al consumo umano.
Il D. Lgs.
2/2/2001 n. 31, recante attuazione della
Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al
consumo umano, fissa per una serie di sostanze i valori massimi
ammissibili. Nella lista di queste sostanze non c’e riferimento alle
diossine.
11.3 Acque superficiali.
La normativa italiana non presenta obiettivi
di qualità per le acque superficiali.
Ma va comunque segnalato che per la Laguna
di Venezia, rappresenta un ecosistema di rilevante importanza
socio-economica ed ambientale, è stato emanato appositamente il D.M.
26/05/99, che individua delle tecnologie da applicare agli impianti
industriali ai sensi del punto 6 del D.M. 23/04/98 relativo ai requisiti
di qualità delle acque e caratteristiche degli impianti di depurazione
per la tutela della laguna di Venezia. Tale decreto infatti riconosce la
pericolosità di vari inquinanti, tra cui le diossine ed è finalizzato a
ridurre le emissioni e l’impatto sull’ambiente.
11.4 Acque sotterranee.
Il D.M.
25/10/1999 n. 471, recante criteri, procedure
e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino
ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs.
5-2-97 n. 22 e successive modifiche ed integrazioni, fissa dei valori di
concentrazione limite accettabili nelle acque sotterranee. Per le
diossine tale valore e pari a 4 pg/l.
11.5 Sedimenti.
Le diossine, a causa delle sue
caratteristiche chimico-fisiche mostrano un’elevata affinità verso i
sedimenti.
La normativa italiana e quella
comunitaria, non definiscono i limiti di concentrazione nei sedimenti,
infatti il D.Lgs. 11/5/1999 n. 152,
recepimento della Direttiva 91/271/CEE e della Direttiva 91/676/CEE,
recante disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento,
stabilisce solo che le analisi sui sedimenti sono da considerarsi delle
analisi supplementari eseguite, se necessario, per avere, ulteriori
elementi utili a determinare le cause di degrado ambientale di un corso
d’acqua e considera le diossine tra i microinquinanti e le
sostanze pericolose prioritarie da ricercare nei sedimenti.
Il D.M.
6/11/2003 n. 367, regolamento concernente la
fissazione di standard di qualità nell’ambiente acquatico per le
sostanze pericolose, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del D.Lgs.
152/99, fissa dei valori standard di qualita dei sedimenti di acque
marine- costiere, lagune e stagni costieri per una serie di sostanze. Lo
standard di qualità relativo a diossine e furani e di 1,5 10-3 mg/kg.
Il valore ISQG (Interim Sediment Quality
Guideline) è un parametro che rappresenta la concentrazione al di sotto
della quale raramente si dovrebbero verificare effetti biologici
avversi, essi sono valutati, da studi che mettono in relazione la
concentrazione del contaminante con gli effetti avversi che si
manifestano.
Valori guida completi (SQG Sediment Quality
Guideline) sono ottenibili solo nel caso in cui sia possibile mettere in
relazione su base scientifica il tipo e le caratteristiche del sedimento
(carbonio organico totale, distribuzione delle dimensioni delle
particelle), le caratteristiche della colonna di acqua sovrastante (per
es. pH, ossigeno disciolto) con il valore ISQG.
Il valore PEL(
Permissible Exposure Limit,
limite di esposizione ammessa) è un altro parametro che definisce la
concentrazione al di sopra della quale e probabile si verifichino
effetti avversi.
I valori guida rappresentano la base per la
formulazione degli obiettivi di qualità da applicare allo specifico sito
in funzione delle caratteristiche chimico-fisiche (concentrazioni del
fondo naturale, caratteristiche geochimiche) e biologiche del sito
stesso.
11.6 Suolo.
Il D.M.
25/10/1999 n. 471 disciplina i limiti di
accettabilità della contaminazione dei suoli e dei sottosuoli in base
alle specifiche destinazioni d’uso dei siti, quali siti ad uso verde
pubblico, privato e residenziale oppure siti ad uso commerciale ed
industriale.
11.7 Scarichi.
Il D.Lgs.
152/99 disciplina gli scarichi in funzione del
rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici ed impone il
divieto di scarico per alcune sostanze. Nella lista di queste sostanze
non c’è esplicito riferimento alle diossine ma ai composti organo
alogenati e alle sostanze che possono dare origine a tali composti.
11.8 Fanghi
Il D.Lgs.
27/01/1992 n. 99, attuazione della Direttiva
86/278/CE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del
suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, non
stabilisce valori limite di concentrazione per le diossine nei fanghi di
depurazione.
Alla luce di nuovi studi in Europa, si sta
riesaminando tutta la direttiva 86/278/CE, con la quale si dimostra la
presenza incomoda di tutta una serie di composti chimici, potenzialmente
pericolosi per la salute dell’uomo a causa della temuta trasferibilità
tramite catena alimentare come, appunto, le diossine.
11.9 Rifiuti.
Il D.Lgs.
13/01/2003 n. 36, recante attuazione della
direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, stabilisce
requisiti a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni
negative sull’ambiente, in particolare l’inquinamento delle acque
superficiali, delle acque sotterranee, del suolo e dell’atmosfera, e
sull’ambiente globale, compreso l’effetto serra, nonchè i rischi per la
salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l’intero
ciclo di vita della discarica.
Secondo il decreto non sono ammessi in
discarica rifiuti che contengono o sono contaminati da diossine e
furani in quantità superiore a 10 ppb*.
11.10 Limiti di esposizione
occupazionale.
In Italia non esistono valori limite di
esposizione professionale stabiliti per le diossine negli
ambienti di lavoro.
12. LE CONTAMINAZIONI E GLI INCIDENTI PIU
RILEVANTI LEGATI ALLE DIOSSINE
Negli anni ‘50 e ‘60, viene avviato il
processo conoscitivo di contaminanti e
delle relative ricadute ambientali,in
seguito agli incidenti avvenuti nelle industrie produttrici di fenoli
clorurati e acido triclorofenossiacetico ( i fenoli clorurati vengono
sintetizzati in quanto rientrano nella sintesi dell’acido
triclorofenossiacetico, usato come potente erbicida, fungicida e
battericida, sebbene l’uso sia stato limitato a partire dagli anni
ottanta), con rilasci di quantità tali di diossine da provocare cloracne
ed altre patologie negli individui, e morte negli animali.
Negli anni ‘70 e ’80 si verificano
incidenti e contaminazioni che hanno causato il rilascio di quantità
rilevanti di diossine tali da provocare ugualmente effetti
sull’uomo.
Il processo conoscitivo e di studio è
tuttora in corso ed è caratterizzato invece dalla individuazione di
diossine in una varietà di emissioni e di matrici ambientali, a
concentrazioni molto basse o, addirittura, bassissime.
I livelli di contaminazione sono tali da
richiedere studi ambientali, anche complessi, che consentano
l’individuazione di eventuali catene trofiche critiche per l’uomo o gli
animali.
12.1 Nitro, Virginia USA (1949).
Il primo incidente industriale,
ufficialmente registrato come causa di cloracne tra i lavoratori, risale
al 1949, avvenne in un impianto chimico della Monsanto, a Nitro, West
Virginia (USA).
L’impianto produceva il 2,4,5-T acido
triclorofenossiacetico, un erbicida che
costituiva circa il 50% del defoliante
“Agent orange”, a partire dal 2,4,5-triclorofenolo, mentre per il resto
del 50% conteneva il 2,4-D acido diclorofenossiacetico.
Nel 1949, un reattore pressurizzato
dell’impianto esplose, determinando l’esposizione di centinaia di
lavoratori.
Quasi immediatamente i lavoratori esposti
iniziarono ad ammalarsi, presentando eruzioni cutanee , tra cui 228
svilupparono cloracne, dolori articolari ed in altre parti del corpo,
debolezza, irritabilità e nervosismo, perdita del desiderio sessuale,
mal di testa e capogiri.
La causa della cloracne fu individuata
nelle diossine solo otto anni dopo l’incidente, nel 1957. Si
scoprì, infatti, che le diossine si formavano come sottoprodotto
della produzione del 2,4,5-T, che, di per se, presentava una tossicità
moderata.
Le diossine erano presenti nella
forma 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina
(TCCD), quella in seguito considerata come
la più tossica.
12.2 Midland, USA (Anni ‘60).
Sin dal 1948, la Dow Chemical oggi
la più grande industria chimica degli USA leader per la produzione di
plastiche e pesticidi, produceva
gli erbicidi 2,4-D acido diclorofenossiacetico e 2,4,5-T
acido triclorofenossiacetico,
entrambi contaminati da diossine, che si originavano nel
processo di
produzione, mescolando questi due erbicidi in parti uguali, la ditta
produceva
il cosiddetto ”Agent Orange”.
Prima del 1963-1964, la ditta otteneva il
2,4,5-triclorofenolo, necessario per la sintesi dei suoi erbicidi, dalla
clorurazione diretta del fenolo, ma aumentando la richiesta di Agent
Orange, in conseguenza del suo uso nella guerra in Vietnam, spinse la
società a modificare l’impianto di produzione di triclorofenolo,
utilizzando reazioni di idrolisi del tetraclorobenzene con soda caustica
e metanolo, ad alta temperatura e pressione.
Nel precedente processo di clorazione le
diossine presenti erano principalmente costituite da epta e
octaclorodiossine e la formazione di diossina era trascurabile, nel
nuovo impianto invece, si formava TCDD in concentrazioni pari a 1.818
ppm * ed ogni stadio delle reazioni chimiche produceva diossine.
L’impianto si trovò a livelli pericolosi
per la salute umana, infatti nel 1964 furono riportati 35 casi di
cloracne, mentre nel precedente impianto risultavano massimo1-2 casi
all’anno. Esso venne allora chiuso per due anni, durante i quali fu
riprogettato e decontaminato.
Nel 1966, il nuovo impianto riprese a
funzionare e la concentrazione di diossine nei prodotti in uscita fu,
mediamente, 0,5 ppm, nonostante tutto si registrarono 40 nuovi casi di
cloracne e nel 1970, si raggiunse il record di 90 nuovi casi di
cloracne.
L’impianto di produzione di triclorofenoli
fu successivamente smantellato e messo in sicurezza quando fu bandita la
vendita del 2,4,5 triclorofenolo.
Anche la gestione dei reflui industriali
determinò conseguenze sull’ambiente: gli scarichi nel fiume
dell’impianto di trattamento biologico dei reflui fenolici furono
considerati responsabili del sapore sgradevole del pesce.
Oltre all’impianto di trattamento biologico,
la fabbrica di Midland era dotata di inceneritori che bruciavano i
reflui fenolici troppo concentrati, che il depuratore non era in grado
di trattare.
Fino al 1968, tali inceneritori non avevano
adeguati sistemi di abbattimento del particolato carico di diossine e si
ritiene che la maggior parte di esse che tuttora contaminano l’area di
Midland siano state emesse dai vecchi bruciatori.
Per studiare gli impatti di tali emissioni,
a partire dall’anno 2000, il Dipartimento per la Qualità Ambientale del
Michigan portò avanti delle indagini che mostravano alti livelli di
diossine in suoli posti a valle rispetto allo stabilimento,
frequentemente inondati dalle acque del fiume Tittabawassee.
La contaminazione includeva i cortili e i
giardini delle abitazioni, parchi e scuole, ubicati in prossimità della
piana alluvionale del fiume.
Studi condotti nelle aree selvagge attorno
al fiume Tittabawassee mostrano non solo alti livelli di diossine, ma
anche un accentuato fenomeno di bioaccumulo lungo la catena trofica e
tali livelli di diossine interessavano infatti pesci, anatre e uova di
gallina.
I risultati, pubblicati nel Dicembre 2003,
hanno evidenziato che questa contaminazione diffusa ha esposto uccelli e
mammiferi piscivori
a rischi significativi nella riproduzione e
nei primi stadi vitali. Infatti il rischio di mortalità degli embrioni e
dei primi stadi di vita aumentava in maniera rilevante.
Più in particolare, carpe, pesci gatto,
alose e branzini risultavano contaminati a livelli tali da provocare
problemi riproduttivi a uccelli e mammiferi piscivori di cui
costituiscono il nutrimento.
Lo Stato del Michigan suggerì alla
popolazione di usare varie precauzioni, come ad esempio indossare
maschere durante la tosatura dell’erba e fare la doccia dopo lavori in
giardini e cortili.
12.3 Vietnam (1963-1975).
“Agent Orange” (Agente Arancione) era il
nome in codice di un erbicida ( v. cap. prec.), sviluppato per scopi
militari, utilizzato per defoliare le boscaglie, per impedire che il
nemico vi si potesse proteggere o nascondere, adatto, per applicazioni
in territori con clima tropicale soprattutto per il fogliame largo, come
quello che caratterizzava le giungle del sud-est asiatico. Il nome
derivava dal colore della banda che avvolgeva le cisterne usate per
contenere il prodotto e fu intensamente utilizzato in Vietnam, ma anche
in Cambogia e Laos.
L’Agent Orange, era costituito da una
miscela, in parti uguali, di 2,4-D (acido diclorofenossiacetico) e
2,4,5-T (acido triclorofenossiacetico) e veniva sparso tramite aerei e
veicoli a terra, oppure direttamente a mano. Si stima che durante la
guerra, in Vietnam, furono usati 72 milioni di litri di questo prodotto,
ma non fu l’unico pesticida usato dagli Americani in Vietnam, altri
prodotti diserbanti e disseccanti furono utilizzati quali Agente blu,
rosso, bianco, tutti contenenti diossine altamente tossiche per l’uomo.
Circa 11.250 km² di terreni coltivati del
Vietnam del Sud furono defoliati per almeno trenta anni e l’esposizione
all’Agente Arancione causò, nei soldati vietnamiti e americani, nella
popolazione, le seguenti patologie e disfunzioni di vari organi:
cloracne, cancro al polmone, bronchi, laringe, prostata, aborto, effetti
teratogeni, spina bifida nei figli dei militari.
Nel 1970, l’uso di
2,4,5-triclofenossibenzacetico in Vietnam fu bandito, ma circa
trent’anni dalla fine della guerra in Vietnam, alcune popolazioni del
Vietnam del Sud hanno ancora dei valori di diossine nel sangue di
100 volte superiore al normale definito come il livello di diossine
nel sangue trovato in un campione di 100 residenti di Hanoi, dove
non fu mai usato il prodotto.
I parametri che emergono da questi studi
indicando che la diossina è entrata nella catena alimentare ed i valori
più alti sono quelli con regimi alimentari basati sul pesce.
12.4 Bolsover, INGHILTERRA (1968).
Nel 1991, studi condotti per il Ministry of
Agriculture, Fishery and Food rivelarono elevate concentrazioni di
diossine nel latte di mucca proveniente da tre fattorie, che fu
ritirato dal mercato, fino a quando la concentrazione di diossine
non tornò inferiore alla concentrazione massima ammissibile.
La contaminazione fu attribuita ad
un’industria che produceva fertilizzanti, pesticidi .
Anche le acque reflue risultarono fortemente
contaminati da diossine a livelli 1.000 volte superiori ai limiti di
sicurezza: infatti nel 1991 furono trovati nei sedimenti del fiume Doe
Lea, nel Derbyshire, la più alta concentrazione di diossine mai
registrata in sedimenti fluviali inglesi, ma fu deciso di non
rimuoverla e di lasciarla disperdere con le correnti e
contemporaneamente furono attivate una serie di attività di ricerca,
volte a chiarire il ruolo delle alte concentrazioni di diossine
sui suoli alluvionali adiacenti.
12.5 Times Beach USA (1971).
Agli inizi degli anni ‘70, la città di Times
Beach si stava occupando delle polveri causate da strade sterrate
circostanti e poiché asfaltare tali sterrate risultava eccessivamente
costoso, nel 1971, si diede incarico ad una ditta di trasporto rifiuti
di nebulizzare olio sulle sterrate. Tale la ditta sparse grandi quantità
di olio esausto sulle strade allo scopo di contenere le polveri nelle
stalle e nelle aree di equitazione. Centinaia di animali come uccelli,
cani, gatti, cavalli e polli, furono trovati morti e vari bambini ed un
adulto presentarono la tipica cloracne. Da qui iniziarono le indagini
che rilevarono che l’olio esausto utilizzato dalla ditta era stato
mischiato con acque reflue, contaminate da elevate quantità di diossine
provenienti dai reattori di un impianto per la produzione di
erbicidi.
La stampa iniziò a parlare della scoperta
di diossine nella città che scoppiò nel panico ed ogni malattia,
aborto e moria di animali furono attribuite al fenomeno legato alle
diossine.
Nel 1985, tutta la città fu evacuata ed il
sito fu messo in quarantena.
Un inceneritore venne costruito e gestito da
una impresa che provvedeva anche allo scavo ed alla rimozione del
terreno contaminato, dopo la bonifica, l’inceneritore fu smantellato.
Tuttavia alcuni studi e test condotti mostrarono
una efficienza di distruzione e rimozione
della 2,3,7,8-tetraclorodibenzo- p-diossina pari ad almeno il 99%,
utilizzando tali inceneritori.
Le ricerche che furono svolte
successivamente circa gli effetti delle diossine sugli uomini e
sugli animali ingenerarono dubbi sulla reale necessità di evacuare la
città.
12.6 Seveso, ITALIA (1976).
Il giorno di sabato 10 luglio 1976, a
Seveso, una nube tossica fuoriuscì da un reattore dell’impianto della
azienda chimica ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società) con 170
dipendenti e di proprietà della società Givaudan di Ginevra, a sua volta
acquisita dal gruppo Hoffmann-La Roche.
L’impianto era situato nel comune di Meda,
al confine con la cittadina di Seveso, circa 15 km a nord di Milano e
produceva intermedi per l’industria cosmetica e farmaceutica, tra i
quali il 2,4,5-triclorofenolo (TCP), composto tossico non infiammabile
utilizzato come base per la sintesi di erbicidi.
La nube tossica proveniva da un reattore di
idrolisi alcalina, in glicole etilenico, di 1,2,3,4 tetraclorobenzene (TCB)
a 2,4,5-triclorofenato di sodio, composto intermedio della preparazione
di triclorofenolo. Causa diretta dell’emissione fu una sovrapressione
anomala, causata da una reazione esotermica nella vasca del
triclorofenolo, insorta nel reattore dopo qualche ora dalla sospensione
delle operazioni.
Tale sovrapressione provocò lo scoppio del
disco di rottura nella valvola di
sicurezza. La temperatura raggiunse i 250°C
e la diossina (TCDD), assieme agli intermedi di reazione, triclorofenato
di sodio, glicole etilenico e soda, fuoriuscì per molte ore dal camino
sul tetto dello stabilimento disperdendosi nell’atmosfera.
La nube venne rapidamente propagata dal
vento nel territorio circostante, densamente popolato.
Se da una parte l’elevata velocità del
vento, insolita per quel periodo, favorì l’allargamento della fascia
colpita, dall’altra favorì anche la dispersione della diossina e quindi
un calo delle concentrazioni.
Almeno 2.000 kg di inquinanti sono stati
emessi in atmosfera.
Già il 14 luglio gli effetti
dell’esposizione alla nube cominciarono ad essere avvertiti dalla
popolazione: furono segnalati numerosi casi di intossicazione, ricoveri
e moria di molti animali, inoltre si registrarono 200 casi di cloracne.
Il 24 luglio un’area di quindici ettari
venne evacuata e cinta di reticolati, militarizzata e suddivisa in tre
zone a seconda del grado di tossicità raggiunto, settecento persone
vennero fatte sfollare, e l’allarme si estese anche ad altri undici
comuni limitrofi, tra cui Meda, Desio, Barlassina, Bovisio Masciago,
Nova Milanese, Seregno, Lentate sul Severo e Cesano Maderno.
Le analisi dimostrarono che la diossina
presente nella parte superficiale del terreno, pari ad oltre il 90%
della diossina misurata, nei primi cinque mesi si ridusse del 50%, a
causa della fotodecomposizione, per poi tendere a stabilizzarsi. A causa
di ciò, furono demoliti lo stabilimento e molte abitazioni. Il terreno
contaminato, macerie degli edifici e le attrezzature usate per le
operazioni di bonifica furono collocate in discariche speciali
controllate, poste a poca distanza dal sito dell’incidente.
In altre zone i primi 25 cm di terreno
furono rimossi, eliminando la diossina del 90% e riducendo le
concentrazioni entro i limiti di tollerabilità.
Gli interni ed esterni degli edifici, i
giardini, le aree agricole e zootecniche vennero ripuliti e scrostati,
finche non si raggiunsero i limiti di tollerabilità. Solo allora le
autorità sanitarie autorizzarono il reingresso della popolazione
evacuata.
In altre zone la semplice aratura, ridusse,
nei primi 7 cm di terreno, i livelli di diossina in maniera
apprezzabile.
L’aratura comportava, infatti, il
trasferimento della diossina dagli strati più profondi a quelli
superficiali, facilitando il processo di decomposizione fotochimica.
Per quanto riguarda le acque superficiali e
sotterranee e i sedimenti, le analisi
fornirono costantemente risultati negativi.
Anche il pulviscolo volatile fu
costantemente monitorato, soprattutto durante i lavori di recupero dei
suoli contaminati. I valori, ovviamente, diminuivano all’aumentare della
distanza dall’impianto.
Per quanto riguarda la vegetazione,
immediatamente a seguito dell’incidente i
Valori raggiungevano qualche mg/kg (ppm,
parti per milione).
Subito dopo l’incidente, si registrò un
notevole incremento della mortalità degli animali domestici, come
conigli e polli, nelle vicinanze dell’impianto, mortalità che raggiunse
livelli del 100% nelle fattorie in cui gli animali venivano nutriti con
foraggio o verdure provenienti dalle aree contaminate.
Le misure di diossina nel latte di mucca
mostravano livelli più alti nelle fattorie vicine all’impianto.
Gli animali allevati in fattorie
appartenenti a tali aree vennero tutti abbattuti.
Per quanto riguarda lo smaltimento delle
scorie tossiche, la compagnia
Mannesmann Italiana nel 1982,
asportò, in condizioni di massima sicurezza, i rifiuti prodotti dal
reattore, ponendoli in 41 fusti che furono successivamente trasportati
al luogo di destinazione.
I materiali provenienti dalle operazioni di
bonifica dei terreni e demolizione degli edifici furono raccolti in due
vasche costruite nei comuni di Seveso e Meda.
12.7 FRANCIA (1998).
Nel marzo 1998 furono riscontrati in
Francia molti casi di contaminazione da diossine nel latte,
concentrazioni allarmanti di diossine furono inoltre riscontrati
nel burro e in formaggi, mentre il livello di diossine presente
nei prodotti derivati dal latte non deve superare la quantità di 3
picogrammi per grammo di grassi.
A seguito di ciò, le prefetture proibirono
la vendita di latte ad almeno 16 aziende agricole.
Gli inceneritori per rifiuti urbani furono
ritenuti responsabili di tale contaminazione: si stabilì infatti che le
sostanze inquinanti presenti nelle loro emissioni, ricadendo al suolo ed
accumulandosi lungo la catena alimentare, avessero contaminato il latte
prodotto nelle vicinanze.
12.8 BELGIO (1999).
Nel 1999 in Belgio si verificò una
massiccia contaminazione da diossine degli allevamenti di pollame
e anche dei prodotti secondari come le uova.
Nel mese di gennaio, in vari allevamenti di
polli da riproduzione, fu rilevato un calo nella percentuale di schiusa
delle uova, la metà delle quali si aprivano scoppiando.
I pulcini sopravvissuti mostravano sintomi
di intossicazioni e gravi disturbi del sistema nervoso. Il 26 aprile,
test analitici dimostrarono elevati livelli di
diossine negli alimenti degli animali
e nel grasso di pollo.
Secondo gli esperti, tale contaminazione fu
provocata dai mangimi destinati agli allevamenti avicoli.
Dai dati disponibili, risultò che nei polli
vi era una quantità di diossina 500 volte superiore a quella che
l’Organizzazione Mondiale della Sanità indica come “tollerabile”
dall’organismo umano.
La causa fu poi finalmente individuata in
alcune società belghe che riciclavano grassi animali e vegetali e
raccoglievano olio fritto e scarti di macelleria e di mattatoio per
produrre mangimi, negli stabilimenti di tali aziende furono trovati
grassi animali ad alto contenuto di diossine, forse contaminati da
residui di oli minerali usati per lubrificare i motori delle automobili
o da residui di oli di origine industriale o, addirittura, da grassi
fritti vegetali riciclati, prelevati dagli scarti dell’industria
agro-alimentare, dai ristoranti e da varie comunità e rifiuti degli
inceneritori comunali.
Un’altra possibile fonte di contaminazione
potrebbe essere stata la procedura utilizzata per liquefare i grassi,
probabilmente basata su una grossa caldaia.
A causa dell’utilizzo di autobotti non
lavate per il trasporto delle merci, la contaminazione si sarebbe
trasferita da un produttore all’altro.
I prodotti contaminati furono venduti a 10
fabbriche di mangimi belghe, una
olandese, una francese, che, a loro volta lo
hanno distribuito agli animali da allevamento.
In Italia, oltre al blocco delle
importazioni dal Belgio, venne disposto il sequestro cautelare su tutto
il territorio nazionale delle partite di volatili da cortile, delle loro
carni e dei prodotti a base di carne, delle uova e dei prodotti a base
di uova, introdotti dal Belgio. Successivamente, l’allarme venne esteso
ai suini e ai prodotti alimentari di origine suina ed ai bovini, di cui
venne disposto il sequestro non solo degli alimenti a base di carne ma
anche del latte e suoi derivati.
L’emergenza dei “polli alla diossina” non e
stata, tuttavia, un’esclusiva belga: nel 1997, circa 350 aziende
statunitensi che allevavano pollame furono costrette dal governo
federale a bloccare le vendite in quanto, nei loro prodotti, erano state
trovate diossine in quantità superiore al livello di attenzione,
pari ad un pg/g di grasso.
Analogamente a quanto avvenuto in Belgio, si
scoprì che le diossine arrivavano ai polli attraverso i mangimi.
In particolare, risultò contaminato uno dei tanti additivi: la
bentonite. Essa costituisce un materiale poroso che viene aggiunto ai
mangimi per evitare che formino granuli e quindi si appurò che
l’inquinante era presente nella cava dove il minerale era estratto.
CONCLUSIONI
La contaminazione da diossine osservata,
porta ad una serie di riflessioni ma, in particolare, evidenzia che la
caratteristica più rilevante di questi contaminanti è la loro
progressiva concentrazione ad ogni passaggio di catena trofica ed il
conseguente incremento di rischio sanitario ma anche ambientale, dovuto
ad un innaturale allungamento delle usuali catene trofiche con
l’introduzione, nell’alimentazione e gli animali di allevamento, di
farine e mangimi contenenti grassi e proteine di origine animale nonchè
con l’introduzione, in ultimo, di additivi come la bentonite non
adeguatamente controllati.
In definitiva, le catene alimentari si sono
allungate anche da un punto di vista “geografico”, per cui è molto
difficile trovare il punto di partenza, la sorgente dunque, che ha
innescato le situazioni di emergenza.
GLOSSARIO
Bioaccumulo:
capacità di una sostanza di accumularsi all’interno di un
organismo (a seguito di una esposizione ad essa attraverso l’ambiente
circostante e/o attraverso la catena alimentare). Le sostanze ad elevato
potere di bioaccumulo sono quelle con elevata solubilità nei grassi.
Bioconcentrazione:
processo che porta ad una maggiore concentrazione di una
sostanza in un organismo rispetto a quella presente nell’ambiente.
Biomagnificazione:
processo nel quale un composto chimico si accumula in
modo seriale attraverso la catena alimentare passando da concentrazioni
più basse nelle specie preda a concentrazioni più alte nelle specie
predatrici.
Composto alifatico :
composto
organico in cui gli atomi di carbonio sono a catena
aperta.
Composto aromatico:
composto organico che contiene uno o più anelli aromatici nella sua
struttura.
Congenere:
membro di una famiglia di sostanze chimiche che differiscono fra loro
solo per il numero e la posizione del medesimo sostituente.
Liposolubilità:
tendenza di una sostanza a dissolversi nei grassi.
Picogrammo (pg):
unità di misura pari ad un miliardesimo di milligrammo.
POPs (Persistent
Organic Pollutants): composti organici persistenti, per lo più di
origine antropica.
Ppb:
parti per bilione (1 bilione = 1 miliardo).
Ppm:
parti per milione.
Ppq:
parti per quadrilione.
Ppt:
parti per trilione (1 trilione = 1000 miliardi).
Pressione di vapore:
la pressione di vapore descrive la tendenza di una sostanza a
trasferirsi da e verso la fase gassosa ed è, per definizione, la
pressione di vapore saturo di un composto chimico all’equilibrio
(dinamico) con la sua fase condensata sia essa liquida o solida.
Recettore biologico:
proteina localizzata sulla superficie o all’interno delle cellule in
grado di riconoscere e legare in maniera selettiva una determinata
sostanza chiamata legante (per esempio un ormone, un antigene, uno
zucchero). Il legame tra il recettore biologico ed il legante può essere
visto come quello che occorre tra una serratura ed una chiave, dove il
recettore rappresenta la serratura ed il legante la chiave. Il legame di
una sostanza al proprio recettore provoca una cascata di reazioni che
culminano in una precisa risposta della cellula alla sostanza legata,
che agisce da segnale.
Tossicità:
capacità di una sostanza di provocare effetti dannosi
sugli organismi viventi quando supera un certo livello di
concentrazione. E’ strettamente legata alla sua possibilità di
assorbimento, trasporto, metabolismo ed escrezione nell’organismo
vivente. Si parla di tossicità acuta per risposte che si manifestano in
tempi brevi e di tossicità cronica per risposte che si rendono palesi
dopo tempi prolungati.
TDI: (Tolerable
Daily Intake): dose tollerabile giornaliera, e una stima della quantità
di un contaminante nel cibo o nell’acqua potabile che può essere
ingerita giornalmente nell’arco della vita senza causare rischi
apprezzabili alla salute.
TEF: (Toxicity
Equivalence Factor): Fattore di Equivalenza Tossica.
Permette di confrontare il livello di
tossicità dei diversi congeneri, appartenenti alla famiglia delle
diossine, in relazione alla 2,3,7,8 TCDD.
TEQ:
quantità totale di tossicità che si genera sommando la tossicità
relativa di ogni singolo congenere.
TWI: (Tolerable
Weekly Intake): dose tollerabile settimanale e una stima della quantità
di un contaminante nel cibo o nell’acqua potabile che può essere
ingerita settimanalmente nell’arco della vita senza causare rischi
apprezzabili alla salute.
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Loredana
Ciancimino |