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Anno XIV num.4
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Inquinamento delle falde acquifere superficiali da impianti petrolchimici:

interventi e sistemi di captazione e trattamento

 di Alessandro Colafigli

 

Gli impianti petrolchimici sono, tra tutte le attività antropologiche, quelle più impattanti dal punto di vista ambientale sotto molteplici aspetti: quantità e qualità delle sostanze scaricate, mezzi interessati: aria (scarichi in atmosfera), acqua (perdite e sversamenti che finiscono nelle falde acquifere superficiali), terreni (accumuli di inquinanti nei terreni), oltre agli alti rischi di "incidenti rilevanti" insiti in tali realtà industriali.

L'inquinamento dell'aria tende a disperdersi per effetto delle correnti e viene percepito in maniera limitata in quanto l’olfatto crea una sorta di abitudine nonostante risulti opprimente e fortemente dannoso per coloro i quali si vadano a trovare in pianta stabile nei pressi delle fonti di emissione, quello dei terreni rappresenta un inquinamento confinato, sebbene le sostanze vengano successivamente disciolte dalle acque piovane e trasferite nelle falde acquifere, quello delle acque risulta infine il più impattante sull'opinione pubblica a causa del suo riversarsi sulle coste e del rischio di ritrovare i prodotti o gli scarti delle industrie petrolchimiche nelle acque degli acquedotti comunali (molto caratteristico è il caso del contadino di Siracusa, in provincia di Siracusa che alcuni anni fa fece perforare un pozzo per emungere acqua destinata all'irrigazione e che si ritrovò ad emungere benzene).

Ad onor del vero la sensibilità verso le tematiche ambientali è andata via via crescendo negli anni e l’attenzione verso la sicurezza degli impianti allo stato attuale degli standard di progettazione è elevata al contrario degli anni 50 e 60 nei quali la forza motrice dello sviluppo industriale annebbiava tale problematica che veniva considerata esclusivamente come un peso, un prezzo da pagare ma i residui degli inquinamenti e della precaria progettazione degli impianti fatta nel passato si manifesta tutt’oggi ed in maniera molto pesante. Inoltre la quasi totalità degli impianti del passato sono ad oggi in funzione dopo aver subito dei “revamping” o sono stati abbandonati, in pochissimi casi si è proceduto ad uno smantellamento con relativa bonifica dell’area (operazione lunga, complessa e soprattutto molto costosa).

Inoltre molti degli impianti risalenti agli anni dello sprint economico sono passati di mano in mano tra le aziende petrolchimiche mondiali rendendo difficile l’individuazione delle responsabilità e, come se non bastasse, il posizionamento di diverse realtà industriali in una ristretta zona spaziale e la capacità di dispersione degli inquinanti in falda fa sì che tale individuazione possa in alcuni casi diventare pressoché impossibile da determinare.

 

Negli ultimi anni la problematica ha subito una forte attenzione da parte delle istituzioni, imponendo alle aziende di porvi rimedio sotto la minaccia di azioni legali.

Se un sito risulta potenzialmente contaminato si procede con una serie di interventi di caratterizzazione ambientale effettuata mediante indagini (sondaggi, carotaggi, piezometri, analisi chimiche etc.).

Se i limiti di legge riguardanti la concentrazione di prodotti inquinanti dovessero risultare superati è necessario procedere all’operazione di “messa in sicurezza” del sito.

Un’analisi storica del sito, la concentrazione di inquinanti rilevata e lo stato dell’impianto sovrastante permettono di capire quale possa essere la fonte dell’inquinamento e l’entità dello stesso.

A seconda del risultato di tali indagini può essere necessario un semplice “spurgo” di una pozza inquinata di dimensioni limitate o la rimozione e l’invio in discarica di terreni inquinati soggetti a sversamenti fino al confinamento fisico del sito e del suo successivo trattamento.

Se dovesse essere necessario evitare che le falde acquifere che attraversano la zona contaminata impregnandosi di elementi inquinanti fuoriescano dalla stessa si procede ad un barrieramento che potrà essere di tipo fisico o idraulico.

Il primo consiste nell’introdurre nel terreno delle barriere metalliche che andranno infilzate all’interno del primo strato di terreno impermeabile sottostante la falda da confinare. Il barrieramento potrà riguardare uno o più lati dell’impianto e potrà addirittura circondarlo completamente. L’acqua fermata dalla barriera fisica andrà poi emunta e trattata opportunamente.

Nel secondo caso si procede alla perforazione di pozzi di emungimento dai quali andrà estratta una portata tale da non permettere il riversamento delle acque in mare, ma che allo stesso tempo dovrà impedire il rientro del cuneo salino all’interno della falda, in modo da evitare di emungere e trattare acqua di mare, fortemente corrosiva nei confronti delle tubazioni.

La portata emunta in questi sistemi viene generalmente controllata da sensori di livello che comandano un inverter, il cui scopo è quello di variare la portata sollevata dalla pompa in modo da mantenere un livello di lavoro prefissato.

Le portate e i livelli di lavoro si ottengono mediante piezometri e prove di pompaggio che forniscono un modello idraulico della falda.

Generalmente sulla superficie delle falde vengono a crearsi degli strati di idrocarburi leggeri separatisi dalle acque. Questi idrocarburi costituiscono un grave pericolo per l’inquinamento delle zone circostanti qualora non vengano eliminati.

Per eliminare questi idrocarburi è necessario emungere acqua e creare un cono di influenza che richiama lo strato separato in prossimità del pozzo, creandone uno strato molto consistente; L’emungimento di idrocarburi non può essere fatto, generalmente, mediante elettropompe a causa del pericolo di esplosione che provocherebbero, essi vengono,nella stragrande maggioranza dei casi, estratti mediante pompe pneumatiche, per mezzo del sistema noto come Dual Pump.

Una volta estratte le due correnti acquosa e idrocarburica (ovviamente la prima avrà tracce di idrocarburi e la seconda conterrà dell’acqua) si procede con un primo accumulo e stoccaggio.

Già in questa prima fase la corrente acquosa subisce una separazione degli olii più leggeri ancora rimasti in soluzione, come quella idrocarburica tenderà a separare acqua, generalmente più pesante sul fondo. L’olio separato può a questo punto essere già stoccato e riutilizzato come combustibile.

Il trattamento che dovrà subire la corrente acquosa sarà dipendente dalla tipologia e quantità di inquinanti presenti: idrocarburi disciolti, BOD, COD, metalli pesanti, etc.

Una prima separazione, come detto, avviene nei serbatoi di accumulo e stoccaggio iniziale, in cui gli olii leggeri tendono a portarsi sulla superficie e solidi di dimensioni consistenti tendono a sedimentare.

In seguito si prevedono dei pretrattamenti che permettono di separare una quantità maggiore di olii e di metalli pesanti. Le tecnologie idonee ad ottenere tali separazioni sono molte, generalmente gli idrocarburi vengono separati mediante disoleatori a piatti (CPI) che facendo scorrere il fluido all’interno di piatti molto vicini tra di loro producono la separazione delle particelle d’olio, la loro agglomerazione e la risalita in superficie. Si tratta di macchine statiche e molto semplici.

I metalli ed in generale le particelle pesanti vengono rimosse per sedimentazione naturale o forzata coadiuvata dall’inserimento di sostanze coagulanti.

Dopo aver rimosso gran parte degli olii e dei solidi pesanti si procede ad una filtrazione dipendente dagli elementi ancora presenti (ad esempio filtri a sabbia o filtri GFH) per poi giungere all’eliminazione di elementi organici. Ciò si ottiene nella maggior parte dei casi mediante l’utilizzo di una vasca di ossidazione biologica a fanghi attivi. I fanghi attivi “si cibano” del carbonio organico presente nelle acque da trattare come anche degli altri nutrienti che, se non presenti nelle acque, vanno introdotti per permettere una corretta crescita dei fanghi stessi.

Al termine del processo di ossidazione biologica si pone, generalmente una fase di ultrafiltrazione che trattiene i fanghi e che permette il solo passaggio di solidi di limitate dimensioni.

In caso di necessità si può spingere ancor più a fondo la filtrazione mediante il processo di osmosi inversa che però richiede pressioni di esercizio molto elevate.

L’acqua depurata così ottenuta può essere riutilizzata a scopi industriali o, nei casi peggiori, gettata in mare.

La linea fanghi a cui si è fatto cenno in precedenza invece passa attraverso una serie di processi di disidratazione e compattazione degli stessi fino a giungere ad una pasta che viene neutralizzata mediante calce ed infine inviata a smaltimento o riutilizzata in agricoltura (fanghi di tipo biologico e non di tipo chimico).

 

In Italia stanno nascendo impianti di questa tipologia (TAF, trattamento di acque di falda) in prossimità di quasi tutti gli impianti petrolchimici e ciò fa ben sperare per un futuro in cui l’attenzione e la salvaguardia per l’ambiente diventino l’obiettivo principale.

 

21 Maggio 2010                                                                                    

Alessandro Colafigli

 


 

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