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INQUINAMENTO, SITI CONTAMINATI E BIOREMEDIATION  

  di Rachele Castro

 

1. ALCUNI CONCETTI E DEFINIZIONI CHIAVE

 

1.1 Il concetto di ambiente

1.2 L’ inquinamento

1.3 Siti contaminati e tipologie

1.4 Cenni sulle tipologie di intervento

1.5 Cenni sulle tecniche di trattamento

 

2. LA BIOREMEDIATION

 

2.1 La bioremediation  

2.2 I microrganismi e la loro  utilità nelle operazioni di bonifica di siti contaminati

2.3 Processi energetici cellulari dei microrganismi – cenni di ecologia microbica

2.4 Alcuni microrganismi di importanza ambientale

 

3. LA BIOREMEDIATION APPLICATA

 

3.1 Metodi di biorisanamento da metalli pesanti con microrganismi

3.2 Bioremediation applicata al suolo e alle acque contaminate da idrocarburi

2.3 Bioremediation a mare

 

ELENCO SITOGRAFICO


 

INTRODUZIONE

L’inquinamento oggi è uno dei problemi maggiormente attenzionati, sia perché è causa di distruzione di habitat, biodiversità e di equilibri ecologici, sia perché è uno dei principali fattori che mette in pericolo la salute e la vita dell’uomo.

 

Esistono numerose forme di inquinamento e numerosi meccanismi che concorrono alla sua diffusione, come esistono, per ogni forma di contaminazione, numerose tecniche volte a eliminare il problema o a mitigarne gli effetti nocivi.

 

Questo breve lavoro verte sulle tecniche di bioremediation applicate alle matrici ambientali contaminate (suolo e acqua). Dopo un breve excursus tra definizioni e concetti, verranno forniti cenni sulla bioremediation in generale e su alcune applicazioni. Data la vastità degli argomenti, questo lavoro non può essere assolutamente esauriente.

 

1. ALCUNI CONCETTI E DEFINIZIONI CHIAVE

 

1.1 Il concetto di ambiente

 

La Direttiva 85/337/CEE e il recente Decreto Legislativo 16 gennaio 2008 nr. 4  (di modifica al D. legs. 152/2006) sono le uniche norme che forniscono o permettono di fornire una definizione giuridica di ambiente.

L’assenza fino al 2008, nel nostro ordinamento normativo nazionale, di un articolo di legge che definisse l’ambiente in modo preciso, non è solo un limite normativo, ma anche la conseguenza della considerevole varietà  di significati che il termine può avere.

 

“Ambiente inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici” (Fonte: D. Lgs. 3 Aprile 2006, n. 152)

 

La definizione riportata nel D. Lgs. 3 Aprile 2006, n. 152 e s.m.i., non si può dire certo esaustiva, oltretutto perché si limita ad elencare tutta una serie di fattori e relazioni che costituiscono l’ambiente.

 

In termini ecologici l' ambiente è “quel  sistema di relazioni che lega  gli esseri viventi e il loro sviluppo (compreso l'uomo e la sua storia) alle matrici chimiche e fisiche in cui sono  immersi. Ogni essere vivente e in particolare ogni livello organizzativo (cellula, organismo, comunità, ecosistema, bioma, biosfera) ha un suo ambiente interno e un suo ambiente esterno”.

 

Dalla definizione ecologica si evince che il termine ambiente assume identità , e quindi definizioni, differenti a seconda della “scala” e del “contesto”. Ecco perché costruire una definizione complessiva e omnicomprensiva è estremamente difficile.

 

Spesso, erroneamente, la definizione di ambiente viene fatta coincidere con quella di territorio e/o con quella di paesaggio, concorrendo ad aumentare la complessità della sua corretta definizione.

 

1.2 L’ inquinamento

 

L'inquinamento è un'alterazione dell'ambiente, di origine antropica o naturale, che produce disagi o danni permanenti per la vita di un ecosistema e che non è in  equilibrio con i cicli naturali esistenti.

 

Non esiste una sostanza di per sé inquinante, ma è la concentrazione delle sostanze nei vari contesti  o nei vari bersagli (ambiente interno di un organismo e/o ambiente naturale) che rende un composto inquinante. E’ inquinante tutto ciò che è nocivo per la vita o altera in maniera significativa le caratteristiche fisico-chimiche dell'acqua, del suolo o dell'aria, tale da cambiare la struttura e l'abbondanza delle associazioni dei viventi o dei flussi di energia e soprattutto ciò che non viene compensato da una reazione naturale o antropica adeguata che ne annulli gli effetti negativi totali.

 

Anche un gas fondamentale quale l’ossigeno, se respirato puro al 100% per più di un determinato intervallo temporale diventa un inquinante tossico, mortale.

 

Per quanto riguarda la tossicità delle sostanze sull'uomo, uno dei parametri più utilizzati è la  cosiddetta DL50, ovvero la dose che uccide il 50% di individui sottoposti a tale  dose. Le unità di misura dei DL50 sono milligrammi di sostanza per chilogrammo  di peso dell'individuo: si tratta di una misura della tossicità acuta.

 

In base a questo parametro le sostanze si dividono in: scarsamente tossiche,  moderatamente tossiche, molto tossiche, super tossiche.

 

Dal punto di vista della tossicità cronica, le sostanze possono essere suddivise in: sostanze cancerogene, sostanze teratogene e sostanze mutagene.

 

A seconda della matrice ambientale coinvolta o della tipologia di contesto e/o mezzo di propagazione e/o sostanza e/o frequenza e/o intensità, esistono molti tipi  di inquinamento.

 

Fig. 1 – Tipologie e forme di inquinamento

 

Come già accennato,  la definizione di inquinamento dipende dal contesto, ovvero dal sistema naturale preso in considerazione e dal tipo di alterazioni introdotte.

 

Un esempio: Biossido di azoto - il ciclo fotostazionario, i VOC e l’inquinamento da Ozono.

 

Sebbene l'ossido d'azoto prodotto dall'industria non sia di per sé dannoso, esso è spesso considerato inquinante, in quanto in seguito all'azione dell'energia solare viene trasformato in smog;

Il traffico veicolare è il principale imputato dell’emissione in atmosfera di composti dell’azoto (NOx) e dello zolfo (SOx),oltre che del articolato (PMx).

Normalmente, il biossido di azoto liberato in atmosfera, grazie all’azione della luce del sole subisce una fotolisi che fa si che il biossido di azoto si riduca in monossido di azoto più un  radicale ossigeno : NO2+luce del sole —> NO+O

Gli atomi di ossigeno che si formano nel corso di questa reazione possono poi reagire con le molecole di ossigeno presenti nell’aria per produrre l’ozono, incrementando così i livelli di concentrazione dello stesso al suolo : O+O2 —> O3

L’ozono a sua volta può reagire con l’ossido nitrico per produrre biossido di azoto e ossigeno:  O3+NO —> NO2+O2.

Queste tre reazioni costituiscono il cosiddetto ciclo fotostazionario dell’ozono e, di per sé, mantengono la concentrazione dell’ozono ad un livello stabile e non inquinante tramite un equilibrio dinamico. Il ciclo fotostazionario avviene solamente in presenza della luce del sole, di notte l’ozono viene infatti consumato nel corso di altri processi.

 

 

I composti volatili organici, VOC, possono causare un’alterazione del ciclo fotostazionario dell’ozono. Un esempio sono i  nitrati organici e gli idrocarburi ossidati (ROx), che sono il prodotto di reazione tra un gruppo radicale OH (frutto della fotolisi dell’ozono) e gli idrocarburi volatili o gli ossidi di azoto presenti nelle emissioni di scarico degli autoveicoli.

Gli ROx possono reagire con il monossido di azoto provocando l'aumento della concentrazione di biossido di azoto.

NO+ROx —> NO2 + altri prodotti

La formazione di biossido di azoto tramite una via che non implica la rimozione dell’ozono troposferico (tipica del ciclo fotostazionario), fa sì che la concentrazione dell’ozono aumenti, fino al raggiungimento di valori che possono risultare tossici.

 

In tutti i casi di inquinamento possiamo individuare delle sorgenti e dei recettori.

 

Per quanto riguarda le sorgenti, queste si distinguono in.

 

*      Sorgenti primarie: elementi che sono causa diretta di inquinamento (accumulo di rifiuti, sversamento nel suolo, etc.)

*      Sorgenti secondarie: elementi soggetti alla contaminazione (sottosuolo e acqua sotterranea)

 

In funzione di questo si parla di

 

*      Inquinamento Primario: inquinanti direttamente emessi o immessi dalle sorgenti.

*      Inquinamento Secondario: costituito da quelle specie inquinanti che si formano a seguito

      di trasformazioni chimico-fisiche degli inquinanti primari.

 

I recettori sono le matrici ambientali:

 

*      acqua superficiale e sotterranea (fiumi, laghi, mare, falde etc.)

*      suolo e sottosuolo

*      aria/atmosfera

*      natura e biodiversità

 

A seconda della tipologia di dispersione e delle quantità di inquinante disperso nelle matrici ambientali, si parla di:

 

*      inquinamento sistematico: causato dall’immissione continua nel tempo di inquinanti (scarichi fognari, reflui industriali, dilavamento terreni, cedimento strutturale di serbatoi interrati o semi interrati,  perdita di tenuta da giunti e tubazioni etc.);

*      inquinamento operativo: causato dall’esercizio di natanti (lavaggio cisterne, scarico delle acque di zavorra e di sentina, ricaduta fumi, vernici antivegetative e così via) o dalla manutenzione di sistemi di deposito idrocarburi;

*      inquinamento accidentale: causato da incidenti -  naufragi, operazioni ai terminali, blowout da piattaforme, rottura condotte, incidenti stradali che coinvolgono cisterne o motrici cisternate etc.).

 

1.3 Siti contaminati e tipologie

 

Il D. Lgs. 3 Aprile 2006, n. 152 , Parte quarta -  titolo V, lettera e definisce sito contaminato:

 

“Un sito nel quale i valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), determinati con l’applicazione della procedura di analisi di rischio (di cui all’Allegato 1 alla parte quarta del D. Lgs. 3 Aprile 2006, n. 152 ) sulla base  dei risultati del piano di caratterizzazione, risultano superati”

 

Il superamento delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) definisce il sito  “potenzialmente contaminato” e prevede – dopo un approfondimento della conoscenza dello stato di contaminazione - l’applicazione di una “Analisi di rischio sito specifica”, volta a determinare le “Concentrazioni Soglia di Rischio”.

 

Il sito, durante le analisi, viene messo in sicurezza.

 

Se le CSR non vengono superate, la procedura è conclusa ; (CSR: concentrazioni al disotto delle quali non esiste rischio per la salute umana derivante dall’esposizione alle sostanze presenti - sito “non contaminato”).

 

In caso contrario il sito è “contaminato” e deve essere sottoposto a una bonifica, i cui obiettivi da bonificare divengono le CSR. 

Fig. 4 - Schema delle procedure da seguire, indicate dalla normativa vigente in materia ambientale, per la caratterizzazione di un sito e la conferma che questo è inquinato oppure no, con relative indicazioni di esercizio.

 

Il D. Lgs. 3 Aprile 2006, n. 152  e s.m.i.  impone:

 

*      la determinazione delle condizioni di contaminazione,

*      la definizione degli obiettivi degli interventi di bonifica,

*      l’individuazione delle metodologie di approccio da  adottare.

 

In Italia le aree censite come potenzialmente inquinate sono circa 12 mila, mentre quelle dove la contaminazione è già accertata sono 4.400. Di queste soltanto il 10% è stato finora bonificato, mentre il 60% è ancora fermo alla fase di caratterizzazione (ovvero all’analisi preliminare - Fonte: Abstract Conferenza internazionale sulla bonifica dei siti contaminati Bosicon 14-15 febbraio 2006, Roma).

 

Esiste un’anagrafe dei siti contaminati. Infatti il D.Lgs 152/2006, nella parte IV, titolo V - art. 251-252 norma il censimento ed anagrafe dei siti da bonificare e il censimento dei Siti di Interesse Nazionale

 

I siti d’interesse nazionale (SIN) sono aree del territorio nazionale definite in relazione alle caratteristiche del sito, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, all’impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico e di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali. Ad oggi i S.I.N. sono circa 54

(Fonte: ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alcune tipologie di siti contaminati

 

 

*      Vecchie discariche

*      Siti industriali

*      Siti antropizzati privi di depuratori e reti fognarie efficienti

*      Aree  deputate ad un allevamento zootecnico intensivo dove non avviene alcun trattamento di liquami

*      Siti agricoli industriali, comprendenti grandi estenzioni di serre ( la sericoltura è estremamente impattante)

*      Aree di stoccaggio non autorizzato di rifiuti pericolosi

*      Siti dove si è verificato uno sversamento  accidentale

 

 

1.4 Cenni sulle tipologie di intervento

 

Per quanto riguarda le tipologie di intervento il D. Lgs. 152/2006 le classifica così :

 

*      Interventi in Situ: effettuati senza movimentazione o rimozione di materiali e suolo inquinato;

 

*       Interventi ex Situ - On Site: con movimentazione e rimozione di materiali e suolo inquinato ma con trattamento nell’area del sito stesso e possibile riutilizzo;

 

*      Interventi ex Situ - Off Site: con movimentazione e rimozione di materiali e suolo inquinato fuori dal sito stesso per avviare i materiali negli impianti di trattamento autorizzati o in discarica.

 

La scelta è funzione diretta sia dell’individuazione delle tecnologie realmente applicabili che del rapporto costo/efficacia. Normalmente gli  interventi IN SITU hanno una  ristretta applicabilità ma sono più economici. Gli interventi EX SITU hanno una maggiore applicabilità ma anche maggiori costi.

 

 

1.5 Cenni sulle tecniche di trattamento

 

Esistono numerosissime tecniche e tecnologie per la bonifica  dei siti contaminati.

 

I criteri per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza operativa o permanente, nonché per l’individuazione delle migliori tecniche di intervento a costi sostenibili (B.A.T.N.E.E.C. - Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs) ai sensi delle normative comunitarie, sono riportati nell’Allegato 3 alla parte quarta del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i.

 

L’allegato 3 alla parte quarta del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. indica nelle lettere:

 

a)      privilegiare le tecniche di bonifica che riducono permanentemente e significativamente la concentrazione nelle diverse matrici ambientali, gli effetti tossici e la mobilità delle sostanze inquinanti;

 

     Lettere da b) a n)  privilegiare le tecniche di bonifica che permettono :

 

*     L’immobilizzazione dei composti nocivi in composti stabili;

 

*     Il riutilizzo del materiale decontaminato;

 

*     Di evitare ogni rischio aggiuntivo.

 

 

2. LA BIOREMEDIATION

 

2.1 La bioremediation  

 

La bioremediation – o biorisanamento – è un insieme di tecnologie che utilizzano organismi naturali o ricombinanti per abbattere sostanze tossiche e pericolose attraverso processi aerobici e anaerobici. Tali processi possono essere effettuati in situ, ovvero direttamente sull’ambiente contaminato (es. suolo), ex situ, estraendo la matrice contaminata e trattandola in appositi impianti.

 

La bioremediation viene impiegata sia per decontaminare il suolo e il sottosuolo, sia per decontaminare le acque superficiali e di falda.

 

Il principio più importante della bioremediation è che vengono impiegati esseri viventi, per degradare gli agenti contaminanti pericolosi o per trasformarli in forme meno pericolose.

 

Il biorisanamento di siti contaminati da composti organici, si basa sulla stimolazione dell’attività catabolica di organismi capaci di utilizzare i contaminanti organici inquinanti come fonte di energia. I composti organici possono quindi essere completamente degradati ad anidride carbonica ed acqua, ovvero mineralizzati, oppure biotrasformati in composti meno tossici. In alcuni casi si sfrutta la capacità di bioaccumulare.

 

La bioremediation è una tecnologia che include in se differenti approcci metodologici, che  presentano numerosi vantaggi se paragonati alle tecniche tradizionali, quali:

 

*      costi molto contenuti;

*      bassi consumi energetici;

*      impatti ambientali scarsi o nulli.

 

Il biorisanamento è un processo i cui aspetti quantitativi e qualitativi dipendono dalla natura e dalla quantità del contaminante da degradare, dal tipo di matrice ambientale e dalle caratteristiche del sito.

 

RIMOZIONE DEI METALLI

 

 

Bioleaching

 

Biosorption o bioadsorbimento

 

Phytoremediation o fitodepurazione

RIMOZIONE DI ALTRI COMPOSTI INORGANICI

 

 

biodegradazione (aerobica e anaerobica),

 

bioadsorbimento,

 

biomagnificazione,

 

bioaccumulo,

 

biotrasformazione

 

biovolatilizzazione.

RIMOZIONE DI COMPOSTI ORGANICI

 

 

Biosparging

 

Fungal Bioremediation

 

Bioventing

 

Biostimulation

 

Bioaugmentation

 

Natural attenuation e Phytoremediation

 

Trattamento catalizzato da enzimi

 

Reattori a biomassa adesa a letto mobile (MBBR-Moving Bed Biofilm Reactor)

 

Fitodepurazione

 

Lagunaggio

 

Impianti a dischi biologici

Tab. 1 Elenco sintetico delle tecniche di bioremediation applicabili a seconda dei casi

 

Breve cenno su alcune tecniche di bioremediation . . .

*      Bioleaching: Questa tecnica consiste nell’utilizzo di microorganismi capaci di permettere il passaggio in soluzione di specie metalliche.

*       

*      Biosorption o bioadsorbimento: La biosorption o bioadsorbimento consiste nell’utilizzo di biomasse vive o morte o di loro derivati per adsorbire ioni metallici a vari tipi di ligandi o gruppi funzionali localizzati sulla superficie esterna delle cellule microbiche. Di conseguenza sono stati sviluppati diversi prodotti commerciali sulla base della caratterizzazione delle proprietà di varie specie di lieviti, alghe, funghi, batteri e alcune specie acquatiche.

Le biomasse vengono immobilizzate su diversi tipi di matrici, le più comuni delle quali sono alginato, poliacrilammina, polisulfone, gel di silice e glutaraldeide.

La rimozione delle specie metalliche attraverso i bioadsorbenti è influenzata da vari parametri, quali la superficie utile del bioadsorbente e parametri chimico-fisici della soluzione (temperatura, pH, concentrazione iniziale degli ioni metallici che competono per i siti di adsorbimento, concentrazione relativa delle specie metalliche, interazioni tra specie e periodo di residenza).

*      Bioventing:  Questa tecnologia di risanamento in situ impiega microorganismi residenti per la degradazione di composti organici adsorbiti alle particelle del suolo nella zona di non saturazione.

      Il bioventing utilizza una blanda ventilazione in modo da fornire il solo ossigeno necessario a sostenere l’attività microbica e a evitare la volatilizzazione dei contaminanti.

      Viene prevalentemente impiegato nella degradazione di prodotti petroliferi leggeri (diesel e carburante per aeromobili) e altri composti volatili come il tricoloroetilene, il tricoloroetano, il dibromide di etilene e il dicloroetilene.

*      Biostimulation:  Questa tecnica consiste nell’aggiunta di particolari nutrienti a suoli contaminati in modo da stimolare la crescita, in numero e tipologia, di microorganismi residenti capaci di degradare in modo efficace i contaminanti.

      Questa tecnica viene impiegata principalmente per ripulire terreni e zone umide dopo sversamenti di oli e altri composti organici come il tricoloroetilene.

*      Bioaugmentation:  Questa tecnica può essere eseguita in situ o ex situ. Il processo consiste nell’aggiunta di microorganismi naturali ai siti contaminati per decontaminare il suolo o l’acqua da una vasta gamma di composti tossici: ammoniaca, acido solforoso, insetticidi, derivati del petrolio e molti altri.

 

 

2.2 I microrganismi e la loro  utilità nelle operazioni di bonifica dei siti contaminati

 

Spesso, nelle tecniche di bioremediation, si impiegano microrganismi. Un microrganismo è un organismo vivente avente dimensioni tali da non poter essere visto ad occhio nudo (minori di 0,1 mm). I microrganismi sono sostanzialmente esseri unicellulari appartenenti ai regni: Protisti, Monera, Archea e Funghi. Vengono spesso impiegati perché sono presenti in qualsiasi condizione ambientale. Molti di essi svolgono funzioni utili o addirittura essenziali per l’ecosistema (degradazione degli inquinanti, decomposizione dei detriti, produzione di sostanze fondamentali per il metabolismo di altre specie).

 

Il metabolismo di questi organismi elementari (unicellulari) è molto semplice: assimilano nutrienti (substrato) attraverso la membrana cellulare ed elaborano i nutrienti al proprio interno per ricavarne energia e con questa fabbricare altro materiale cellulare.

 

2.3 Processi energetici cellulari dei microrganismi – cenni di ecologia microbica

 

I processi attraverso cui i microrganismi trasformano le sostanze nutritive (substrati) sono di due tipi:

 

*      Dissimilativi (catabolici): reazioni di degradazione del substrato attraverso una catena di passaggi intermedi, fino a giungere a dei prodotti stabili. Durante questi passaggi viene resa disponibile energia, di cui i microrganismi si servono per i loro processi di crescita e di mantenimento;

*      Assimilativi (anabolici): in cui il substrato viene utilizzato per sintetizzare i componenti principali della cellula (biosintesi) oltre a prodotti metabolici di respirazione come CO2, H2O, NH4+, etc.

 

I due processi sono complementari e si compiono attraverso una serie di reazioni di ossido-riduzione (RedOx).

 

Sin dall’inizio della vita sulla terra, i microrganismi sono venuti in contatto con metalli tossici presenti sul pianeta, quindi hanno sviluppato meccanismi di resistenza (operoni – promotori – repressori). Quindi  TUTTI I MICRORGANISMI CONTENGONO GENI PER LA RESISTENZA A IONI METALLICI TOSSICI.

Fig. 6 - I processi attraverso cui i Microrganismi trasformano i metalli pesanti in molecole  necessarie per il proprio metabolismo

 

Le quattro fasi di crescita dei microrganismi:

 

*      Incubazione: la biomassa si deve acclimatare al nutriente presente e la sua crescita è quasi nulla.

*      Crescita esponenziale: una volta adattata al substrato, la biomassa cresce con ritmo proporzionale alla disponibilità del substrato.

*      Stasi: la crescita raggiunge un livello per il quale il substrato rimasto non è sufficiente a sostenere un ulteriore sviluppo delle colonie microbiche.

*      Decadimento: mancando il substrato, nella biomassa prevalgono i metabolismi endogeni, con consumo di sostanza ossidabile all’interno della biomassa, fino alla sua estinzione.

 

Per la crescita dei microrganismi, è fondamentale rispettare i loro  parametri ecologici:

 

*      Temperatura (optimum, range ecologico)

*       PH (optimum, range ecologico)

*       Ossigeno/assenza di ossigeno

*       Luce/assenza di luce

*       Nutrienti essenziali BIODISPONIBILI

*       L’assenza di sostanze “cida”

*       L’assenza di competitori che innescano una competizione esclusiva

 

Se non si rispettano i range ecologici, specie specifici, i microrganismi difficilmente riescono a sopravvivere.

 

 

2.4 Alcuni microrganismi di importanza ambientale

 

Tra gli organismi più comunemente impiegati per le operazioni di bonifica di matrici contaminate tramite tecniche di bioremediation, vi sono:

 

*      Microthrix parvicella, Nocardia: microorganismi filamentosi presenti nei fanghi attivi, nei quali creano problemi di sedimentazione.

*      Nitrosomonas:  effettua l’ossidazione dell’ammoniaca in nitriti.

*      Nitrobacter: prosegue l’opera del precedente ossidando i nitriti a nitrati completando così l’ossidazione biologica dell’ammoniaca.

*      Acinetobacter, Lampropedia: batteri che effettuano la denitrificazione (trasformazione da nitrato ad azoto atmosferico).

*      Rhizobium: bacillo aerobico che fissa l’azoto atmosferico in noduli associati alle radici delle leguminose.

*      Methanobacterium, Methanococcus: batteri metanogeni in ambiente anaerobico.

 

 

3. LA BIOREMEDIATION APPLICATA

 

3.1 Metodi di biorisanamento da metalli pesanti con microrganismi

Per metalli pesanti si intendono convenzionalmente quei metalli che hanno una densità maggiore di 4,5 grammi per centimetro cubo; esempi di metalli pesanti sono Arsenico, Cadmio, Cromo, Mercurio, Nichel, Piombo, Tallio, Vanadio (Manganese sono detti metalli pesanti sulla base del loro peso atomico e di altre caratteristiche particolari, compresa la tossicità). I metalli pesanti sono costituenti naturali della crosta terrestre, e molti metalli pesanti in determinate forme e a concentrazioni opportune sono essenziali alla vita.

Una caratteristica che li rende pericolosi è la tendenza, che hanno in comune agli inquinanti organici persistenti, di accumularsi in alcuni tessuti degli esseri viventi (bioaccumulo) provocando effetti negativi alla salute umana e all'ambiente in generale.

Alcune attività umane provocano la mobilitazione dei metalli presenti naturalmente nell’ecosistema, causandone l'accumulo nella biosfera e il loro ingresso nella catena alimentare con gravi danni per l’uomo e per gli animali. Le fonti più comuni sono vernici e altri prodotti di finitura, combustione di materiali plastici in PVC, fumo di sigaretta, scarichi d’auto, polvere domestica – dove si deposita lo smog - pile.

I metalli pesanti, in particolare Cadmio, Mercurio e Piombo, sono quelli maggiormente tossici per l'uomo. Questi elementi si accumulano nell’organismo determinando effetti nocivi a breve e lungo termine, diversi a seconda del metallo . Possono causare danni ai reni, al sistema nervoso e al sistema immunitario, e in certi casi, avere effetti cancerogeni. I sintomi più classici di intossicazione da metalli pesanti sono l’irritabilità ed instabilità dell’umore, depressione, cefalea, tremori, perdita di memoria, ridotte capacità visive. I soggetti maggiormente a rischio sono coloro che nella dieta privilegiano pesce e selvaggina, perché questi alimenti tendono ad accumulare quantità maggiori di contaminanti metallici rispetto alla quantità presente nell’ambiente circostante.

Contrariamente all’opinione diffusa, è possibile applicare con buoni risultati tecniche di bioremediation per bonificare siti contaminati da metalli pesanti.

 

I metodi di biorisanamento da metalli pesanti con microrganismi più utilizzati sono:

 

1. Bioprecipitazione:

batteri solfato riduttori possono utilizzare il solfato come accettore di elettroni  e precipitare i metalli come solfuri insolubili

 

2. Biotrasformazione/ Biovolatilizzazione:

trasformazioni in forme meno tossiche.

 

3. Bioassorbimento:

proteine chelanti dei metalli fuse a proteine transmembrana (es: LamB)

Più sensibile (fino a 2-10 mgl-1) e più specifico dell’assorbimento chimico-fisico

 

 

 

 

Questo grazie al fatto che dentro la cellula microbica esistono sistemi e meccanismi di resistenza ai metalli pesanti

Fig. 9 - sistemi e meccanismi di resistenza ai metalli pesanti nei batteri

 

3.2 Bioremediation applicata al suolo e alle acque contaminate da idrocarburi

 

La tecnica di bioremediation o biorisanamento si è affermata negli ultimi anni come una delle principali tecnologie di bonifica ambientale. Essa è stata riconosciuta infatti, come un metodo non costoso e altamente efficiente per rimuovere i composti chimici tossici dai suoli e dalle acque di superficie o sotterranee contaminate.

 

La bioremediation trova la sua massima applicazione in caso di matrici ambientali contaminate da idrocarduri e derivati dal petrolio.

 

Il Petrolio è una miscela estremamente complessa di idrocarburi. Gli idrocarburi del petrolio sono compresi tra il C6 ed il C40, essi sono i principali contaminanti del suolo.

 

Lo sversamento accidentale o colposo di idrocarburi nelle matrici ambientali causa forti impatti, soprattutto nel suolo, sottosuolo e nelle acque superficiali e sotterranee. La contaminazione può derivare dalla fuoriuscita di serbatoi sotterranei di stoccaggio, dalle raffinerie petrolifere e dall’immagazzinamento effettuato in modo non corretto, dagli oleodotti rotti, da fuoriuscite di impianti chimici e dai processi di trasporto o di rifornimento dei mezzi (sia terrestri che navali).

 

La biodegradabilità degli idrocarburi petroliferi dipende dalla struttura chimica delle sue componenti. Oltre all’impiego di microrganismi (batteri idrocarburoclastici - BIC) e nutrienti, normalmente vengono impiegati tensioattivi non xenobiotici che assicurano la biodegradabilità del contaminante e nel contempo velocizzano i processi metabolici, riducendo il tempo di trattamento.

 

L’impiego concomitante di tensioattivi non xenobiotici e microrganismi permettono di ottenere dei risultati veramente buoni in una ridotta unità di tempo.

 

La tecnica può essere applicata in Situ o ex Situ. Un Esempio di applicazione in Situ è la tecnica del LandFarming; un esempio di applicazione ex Situ è il Bireattore.

 

Si possono distinguere due categorie di tecnologie di bioremediation. La prima, può essere identificata come intrinseca (l’MNA, monitored natural attenuation), essa utilizza i microrganismi disponibili naturalmente (autoctoni) per la degradazione dei contaminanti e non necessita di interventi di tipo ingegneristico nel sito. Esperienze pratiche hanno mostrato che meccanismi, quali la biodegradazione, la dispersione, la diluizione, l’adsorbimento, la volatilizzazione ed altre reazioni chimiche, in situazioni favorevoli, sono efficaci nell’indurre, in tempi accettabili e senza l’intervento umano, una riduzione della tossicità o mobilità delle sostanze inquinanti.

 

Il secondo gruppo di tecnologie, per potenziare il grado di bioremediation, coinvolge solitamente un intervento di tipo ingegneristico, introducendo cioè ulteriori processi, quali ad esempio l’aggiunta di sostanze nutrienti, di accettori di elettroni, di microrganismi etc. Il principio del risanamento di tipo ingegneristico è di modificare le condizioni ambientali per accelerare l’attività dei processi metabolici dei microrganismi. Di conseguenza, nei processi ingegneristici la degradazione dei contaminanti può essere condotta secondo un programma regolarizzato, tale da ridurre i rischi ed i costi. La tecnica normalmente adottata è l’impiego di: un tensioattivo non xenobiotico + microrganismi BIC + eventuali nutrienti e/o fattori di protezione per la fauna microbica, si collocano in questo secondo caso.

 

Un esempio concreto di risultati

 

L’azienda Sea World s.r.l., sotto commissione, è stata incaricata di fare una prova sperimentale di bonifica di matrici acqua e suolo contaminate da idrocarburi pesanti. La prova è stata condotta impiegando la tecnica della bioremediation di tipo ingegneristico, con Batteri Idrocarburo Clastici (BIC). Per monitorare l’andamento dell’abbattimento, l’azienda ha eseguito una serie di campionamenti (iniziali, intermedi e finali) di entrambe le matrici contaminate.

 

Il risultato finale, nonostante la prova non sia stata conclusa  per esplicita richiesta del committente, è stato l’abbattimento di circa l’ 80% del contaminate.

 

                Fig. 10 – Scheda riassuntiva della prova sperimentale di bonifica delle matrici acqua e suolo contaminate

                da idrocarburi pesanti – Fonte: Sea World s.r.l. /  www.seaworldsrl.com

 

Fig. 11 – Raffigurazione del trend di abbattimento del contaminante nei sedimenti nell’unità di tempo –

Fonte: Sea World s.r.l. /  www.seaworldsrl.com

 

 

      

Fig. 12-13 – Immagini del pre-trattamento e del post-trattamento di acqua contaminata da idrocarburi pesanti

Fonte: Sea World s.r.l. /  www.seaworldsrl.com

 

Fig. 14– Tabella comparativa di abbattimento di idrocarburi pesanti mediante: tecniche standard; prodotto + microrganismi BIC e senza intervento – Fonte: Sea World s.r.l. / www.seaworldsrl.com

 

 

2.3 Bioremediation a mare

 

Anche in mare può essere utilizzata la tecnica di bioremediation, tramite l’ MNA (Monitored Natural Attenuation) o tramite la bioremediation ingegnerizzata.

 

E’ ormai noto a livello mondiale il disastro ambientale, tra l’altro ancora in corso e iniziato ad Aprile 2010, causato dall’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon che ha provocato uno sversamento massivo di petrolio nelle acque del Golfo del Messico.

 

La macchia di greggio sembra che abbia raggiunto una estensione, non continua, di 5600 miglia quadrate (pari a circa 12.000 Km quadrati, una fetta di mare larga 100 Km e lunga 120 Km).

 

Fig. 15 – Estensione discontinua della macchia di greggio – Fonte http://quattrovecchiinamerica.wordpress.com/2010/05/21/i-numeri-della-deepwater-horizon/

 

La mobilità dell’idrocarburo in acqua viene influenzata da vari fattori. Quando il petrolio viene rilasciato in acqua, non si miscela con questa in quanto più leggero. In un periodo di tempo molto breve, l'olio si diffonde in uno strato molto sottile, chiamato slick, sulla superficie dell'acqua (di solito inferiore a 0,01 mm di spessore).

 

Una cordata di aziende (Americane ed Europee), tra cui una tutta italiana, si sta mobilitando per proporre la tecnica di bioremediation ingegnerizzata (batteri BIC + Tensioattivo non xenobiotico) al fine di biodegradare il greggio, senza immettere prodotti nocivi nell’ambiente e cercando di mitigare il più possibile i terribili effetti che questo disastro sortisce e sortirà nelle catena trofiche in generale e in tutti quegli ecosistemi fragili dell’area interessata dal disastro. La tecnologia che a breve verrà proposta all’organo deputato di vagliare le varie tecniche e strategie da impiegare per arginare il disastro, sarà una soluzione economica e definitiva. Al momento non è possibile conoscere i componenti di questa cordata… ma una cosa è certa, a breve se ne sentirà parlare!

(Giu. 2010) 

 

ELENCO SITOGRAFICO

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Inquinamento

http://www.nonsoloaria.com/smogfor.htm

http://serc.carleton.edu/microbelife/topics/deadzone/

http://www.arpa.veneto.it/salute/htm/fattori_rischio_metalli.asp

http://www.seaworldsrl.com/

http://quattrovecchiinamerica.wordpress.com/2010/05/21/i-numeri-della-deepwater-horizon/

http://vimeo.com/11485948

 

Rachele Castro

 

 


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|Anno XIV num.4 - Lug./Ago. 2015| - Per informazioni e-mail: redazione1@spaziomotori.it

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