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INDIMENTICABILE DELTONA -
DOPPIA SOVRALIMENTAZIONE - EFFETTO
TURBO
di Roberto Maurelli
INDIMENTICABILE DELTONA
La storia della mitica Lancia
Delta HF
In un’epoca non così lontana in
cui la Lancia dominava nei rally di tutto il pianeta, l’abile matita di
Giorgetto Giugiaro tratteggiò le linee di una berlinetta di media
categoria, elegante e sportiva allo stesso tempo, per sostituire l’ormai
pensionata Fulvia. Il modello ispiratore era, ovviamente, la Golf che
aveva introdotto con successo la soluzione della carrozzeria a due
volumi con trazione anteriore in quel segmento di mercato.
Nonostante inizialmente non
fossero previste versioni sportive, nel 1982, al Salone di Torino, fece
la sua prima comparsa un prototipo della Delta dotato di trazione
integrale che sarebbe stato la base per il modello delle tante,
incredibili e vittoriose versioni sportive.
Nel 1986 arrivò la produzione vera
e propria. La Delta HF 4WD riproponeva la trazione integrale permanente,
con differenziale anteriore libero, differenziale centrale di tipo
epicicloidale (che ripartiva la coppia motrice per il 56 % sull'asse
anteriore e il rimanente 44% sull'asse posteriore), giunto viscoso
Ferguson di bloccaggio applicato al differenziale centrale, ripartitore
di coppia e un differenziale posteriore Torsen. Era dotata di un motore
di 1995 cc di derivazione Thema, sovralimentato con turbocompressore
Garrett capace di 165 cv a 5500 giri/min e di un picco di coppia massima
di 285 Nm a 2750 giri/min con overboost inserito. Oltre all’overboost,
si segnalava la presenza dell’intercooler, delle valvole al sodio, di un
radiatore apposito per l’olio, di quattro freni a disco (quelli
anteriori autoventilanti). Raffinatissimo era, poi, il sistema di
sospensioni anteriori e posteriori a ruote indipendenti e bracci
multipli. In particolare il posteriore era dotato di braccetti
trasversali e puntone longitudinale e, cosa davvero eccezionale per
l’epoca, era possibile regolare la convergenza delle ruote anche su
questo assale. Seppur depotenziata, insomma, era la degna sorella
stradale della versione vincitrice di sei Campionati del Mondo Rally
costruttori consecutivi e di ben quattro titoli piloti (con Miki Biasion
e Juha Kankkunnen).
Anche la dotazione era di buon
livello per l’epoca: paraurti in resina poliestere rinforzata con fibre
di vetro, lunotto termico con tergilavalunotto, specchietti regolabili
dall’interno, tergicristallo a tre velocità, volante regolabile in
altezza, alzacristalli elettrici, ruote in lega leggera, vetri atermici
e sedile posteriore sdoppiato.
Nel 1991 vide la luce la mitica
Lancia Delta Integrale Turbo 16 valvole Evoluzione, un nome ormai
entrato nella storia dell’automobilismo sportivo e spesso sintetizzato
nell’affettuoso nomignolo “Deltona”. Esteticamente si caratterizzava per
le carreggiate ulteriormente allargate e per il cofano motore rigonfio
per ospitare la nuova distribuzione. Tecnicamente si arricchiva di
sospensioni e freni migliorati, ABS, scatola dello sterzo più robusta,
fari lenticolari con un'estetica più accattivante, minigonne
ridisegnate, un’elettronica migliore, spoiler posteriore regolabile su 3
diverse posizioni e uno scarico di diametro più largo con terminale
singolo. La potenza massima, nella Evo 2 del 1993, saliva a 215 cv e la
coppia a 310 Nm a 3000 giri/min, valori sufficienti per spingerla fino a
220 Km/h e farla passare da 0 a 100 km/h in soli 5.7 sec.
Non erano però i freddi numeri ad
esaltare gli intenditori, ma le sue straordinarie doti di guida che la
rendevano la belva che ha saputo dare filo da torcere anche a sportive
più blasonate. La Deltona rappresentava davvero un’esperienza di guida
incredibile. Ancora oggi le ottime doti dinamiche del telaio, abbinate
ad un’efficace sistema di trazione integrale, garantiscono livelli di
divertimento da prima della classe. Se a questo si aggiunge che
l’assenza dei moderni sistemi elettronici rendeva la guida al limite una
sfida continua, ci si può rendere conto del perché quest’auto sia stata
tanto apprezzata dagli appassionati.
Chi volesse reperire una Deltona
sul mercato dell’usato, dovrebbe preferire una Evoluzione 2 (prodotta
nel ‘93-‘94), che rappresenta il massimo stadio di perfezionamento del
modello. Bisogna, però fare molta attenzione a che il modello non sia
mai stato incidentato (il che è piuttosto facile considerando il tipo di
vettura!). Inoltre, è preferibile evitare modelli pesantemente
elaborati, che spesso finiscono per perdere la purezza e l’efficacia
della Deltona originale. Detto questo, credo che sarà molto difficile
prevedere una spesa inferiore a 20.000 € e, con quella cifra, ci si
potrebbe mettere in garage una compatta ad alte prestazioni più recente…
Ricordate, però, che guidare la Deltona significa stringere tra le mani
un volante che trasmette un flusso di emozioni senza filtri, un telaio
che reagisce ad ogni vostro minimo impulso, un motore che non teme di
schiarirsi la voce quando gli viene richiesto. Il vostro cuore non
approverebbe mai una scelta diversa…
(R.M.)
DOPPIA SOVRALIMENTAZIONE
Manuale pratico per resuscitare
il ciclo Otto
Fino a quindici anni fa, in
Italia, le auto con motori a gasolio rappresentavano solo una
piccolissima percentuale delle vendite. Chi acquistava “il diesel”,
inoltre, lo faceva, generalmente, solo perché spinto dalla necessità.
Oggi, invece, la tendenza si è
invertita, per non dire completamente capovolta. Il mercato registra da
anni la netta prevalenza dell’alimentazione a gasolio, eccellente tanto
sotto il profilo dei consumi quanto sotto quello delle prestazioni.
L’utenza si è ormai assuefatta ad uno stile di guida facilitato da una
corposa coppia fin dai bassi regimi e sembra aver superato i problemi
legati alla maggiore rumorosità. Questo spiega la rapidissima fioritura
di una miriade di strane sigle, prova dell’impegno dei costruttori in
questo settore: TDI, dCI, Tdci, M-Jet, Cdi, solo per citarne alcune.
Ora che il prezzo del gasolio si è
praticamente allineato a quello della benzina verde, è possibile
riportare all’antico splendore il più nobile motore a ciclo Otto
raggiungendo gli stessi livelli di eccellenza degli attuali turbodiesel?
Una possibile risposta affermativa
l’ha fornita la Volkswagen con il suo 1.4 TSI a benzina con doppia
sovralimentazione. Questo motore, infatti, è estremamente potente (170
cv), è dotato di una significativa coppia fin dai bassi regimi e
registra consumi davvero interessanti (il che è un’ottima notizia anche
dal punto di vista ecologico!).
Per far ciò, gli ingegneri di
Wolfsburg hanno combinato un compressore volumetrico ed un turbo,
collegandoli in serie. Il turbo funziona sempre, a tutti i regimi, ma da
solo non potrebbe fare tutto così bene… Il turbo, infatti, opera in modo
ottimale ad un regime medio-alto, poiché solo in questa fase i gas
vengono immessi suo interno con una forza tale da mettere in moto il suo
complesso meccanismo. L’adozione della geometria variabile (che,
appunto, modifica la geometria interna in modo da favorire la
circolazione dei gas anche ai bassi regimi) non è sufficiente a colmare
questa lacuna, o almeno non può farlo così bene come vorrebbero i nostri
amici tedeschi… Ecco allora che interviene il compressore volumetrico.
Ai bassi regimi (fino a 1500 g/m), infatti, l’aria viene aspirata e
compressa nel volumetrico per poi essere inviata alla turbina; ai regimi
intermedi (tra 2500 e 3500 g/m), invece, il volumetrico lavora
“part-time” garantendo innalzamenti repentini della pressione solo
quando necessario; ai regimi più alti (oltre 3500 g/m), infine, la
turbina è lasciata libera di esprimere tutto il suo potenziale e l’aria
immessa semplicemente bypassa il volumetrico. In questo modo, ai regimi
inferiori, si sfrutta la prontezza del volumetrico per escluderlo
all’aumentare dei giri, quando la sua efficienza cala progressivamente e
aumenta, invece, quella della turbina.
Non si renderebbe davvero merito a
questa innovazione se non si menzionasse anche l’avanzatissima
elettronica che gestisce le tre modalità di funzionamento del
twincharged agendo su un attuatore che comanda l’apertura e la chiusura
della valvola a farfalla e indirizza il flusso d’aria al volumetrico
oppure direttamente al turbo. Va menzionata, inoltre, l’introduzione di
nuovi iniettori a sei fori. La loro funzione è quella di dosare in
maniera perfetta la benzina, in modo da favorire l’omogeneità della
combustione. Il durissimo compito svolto da questi componenti è
testimoniato, oltre che dalla rapidità dell’iniezione, anche dalla
pressione a cui lavorano (circa 150 bar!).
Naturalmente tutta l’architettura
del motore, che si basa essenzialmente sul vecchio 1.400 da 90 cv, è
stata riprogettata per garantire che la nuova tecnologia potesse
esprimersi al meglio. Basamento in ghisa grigia (con resistenza
meccanica più elevata rispetto alla lega leggera), nuovi alberi a camme
(per realizzare la fasatura variabile in aspirazione) e ridotto rapporto
di compressione sono solo alcune fra le caratteristiche più
interessanti.
Non resta che applaudire
all’inventiva di chi ha saputo progettare una simile meraviglia. C’è,
però, un pizzico di patriottico rammarico: venti anni fa la Lancia Delta
S4 da competizione adottava già un sistema di doppia sovralimentazione
con turbo e volumetrico. Peccato che allora non esistessero tutte le
conoscenze che oggi hanno permesso di trasferire questa tecnologia sulle
strade di tutti i giorni!
(R.M.)
EFFETTO TURBO
Come funziona il KERS
La rivoluzione più evidente
introdotta dal nuovo regolamento di Formula 1 in versione 2009 sarà il
KERS (Kinetic Energy Recovery System). Si tratta di un dispositivo,
situato all'interno della scocca giusto alle spalle del pilota, di
natura elettronica (la Williams è la sola scuderia ad utilizzare un
sistema completamente meccanico) che permette di immagazzinare, per un
tempo ridotto, l'energia termica raccolta in frenata in moda da
convertirla in energia meccanica da utilizzare nelle successive fasi di
accelerazione. Ufficialmente l’intento della FIA è quello di muoversi
nella direzione di una sempre maggiore compatibilità ambientale delle
vetture di Formula 1, garantendo minori consumi ed emissioni di CO2;
nella pratica, però, si tratta di un’innovazione a tutto vantaggio dello
spettacolo. In pratica l’impianto consentirà al pilota di avere a
disposizione per 6 secondi ogni giro un aumento di potenza fissato dal
regolamento in un massimo di 58 Kw (circa 80 cv): una sorta di effetto
turbo da sfruttare al momento opportuno (soprattutto in fase di sorpasso
ovviamente!).
Il responsabile del progetto
Magneti Marelli, l’ingegnere Roberto Dalla, spiega che «Quando il pilota
frena, l’energia sviluppata viene trasferita a un motorino che,
attraverso una centralina, la passa a una serie di batterie speciali. La
potenza accumulata potrà essere utilizzata tramite un pulsante posto sul
volante, che agisce sul motorino stesso collegato alla trasmissione».
La modifica di certo non
contribuirà a ridurre i costi per i team di Formula 1. I consistenti
investimenti per progettare e sviluppare il sistema sembrano contrastare
palesemente con il clima di austerity che si è diffuso nel circus negli
ultimi tempi. Tuttavia gli sviluppi di questo dispositivo potrebbero
risultare molto utili per gli automobilisti di ogni giorno che
potrebbero beneficiare, nella futura produzione di serie, di una
significativa riduzione di consumi e inquinamento.
Prima di lasciarsi andare, però, a
facili entusiasmi, va ricordato che, durante una delle primissime prove
del nuovo sistema, un meccanico della Bmw fu costretto al ricovero in
ospedale per preso una forte scossa dopo aver toccato la vettura
appena rientrata ai box.
Cerchiamo ora di capire come si
compone il KERS. Innanzitutto vi è un volano connesso al sistema di
trazione da una trasmissione a rapporto variabile che sfrutta dei comuni
ingranaggi. Il volano è costituito da fibre di carbonio avvolte attorno
ad una struttura in acciaio del peso di 5 kg. Se si sposta il rapporto
verso valori alti, allora il sistema accumulerà energia; per valori di
rapporto di trasmissione bassi invece l’energia accumulata verrà
rilasciata. Sarà introdotta anche una frizione con lo scopo di separare
il sistema di trasmissione dal dispositivo nel caso in cui vengano
superati i limiti di potenza imposti dal regolamento.
Visto dall’interno, il KERS è
costituito da due dischi, uno utilizzato per l’ingresso dell’energia da
recuperare (di input) ed uno utilizzato per rilasciare l’energia
accumulata (di output), ciascun disco ha forma toroidale (a ciambella)
all’interno dei quali passano due o tre cilindri, posizionati in modo
tale che il bordo più esterno di ciascuno di essi sia in contatto con la
cavità dei dischi di input ed output. Quando il disco di input ruota, il
movimento viene trasferito attraverso i cilindri al disco di output,
così questo inizia a ruotare con direzione opposta al disco di input.
Il trasferimento vero e proprio
del movimento, e di conseguenza della potenza, è affidato ad un
sottilissimo film di liquido di trazione ad elevato peso molecolare
sviluppato appositamente. Questo liquido è costituito da molecole molto
lunghe che, durante il funzionamento dell’apparato, si distendono
completamente. Il liquido viene posto tra la superficie interna dei
dischi ed i cilindri e su tutte le superfici di contatto tra i cilindri.
Lo scopo del liquido di trazione è esattamente l’opposto di quello di un
lubrificante: il liquido di trazione deve mantenere “incollati” gli
organi, cilindri e dischi, in modo da favorire la trasmissione della
maggior quantità possibile di energia cinetica. I due dischi sono
inoltre fissati insieme e la pressione che mantiene assieme questi due
organi può essere variata, all’aumentare di essa aumenta la viscosità
del fluido di trasmissione, migliorando ulteriormente l’efficienza
dell’apparato.
Roberto Maurelli |