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LO SVILUPPO (IN)SOSTENIBILE
di Giulio Tiradritti
Capitolo 1
Nel 1987 la
World Conservation Strategy utilizzò, per la prima volta, il concetto di
Sviluppo Sostenibile, già menzionato nel rapporto Bruntland del 1983.
“E’ lo sviluppo che soddisfa le attuali necessità delle persone senza
compromettere la capacità delle generazioni future”. Questa
definizione, a mio avviso, contiene una sorta di vago indirizzo, tipico
di questi grandi scienziati, che ragionano sui problemi ambientali, così
come si ragiona su qualsiasi altro tipo di problema, ma si ritorna al
problema, senza indicarne mai la possibile soluzione. Certamente è molto
difficile fare pressione sui poteri forti economici nazionali ed
internazionali, ma se non lo fanno almeno loro che hanno il carisma e la
capacità intellettive, chi altro lo deve fare? Si riuniscono, si
costituiscono i Vertici sull’ambiente, sull’economia, sulla
sostenibilità, ma poi si sta sempre al punto di partenza: e cioè che
andiamo verso il collasso ambientale, che aumenta la deforestazione e
scompaiono gli animali, vittime innocenti della peggiore specie, cioè
quella dell’essere umano.
Certamente è
sempre meglio dare una soluzione graduale, come quella di dire che serve
lo sviluppo sostenibile, piuttosto che non dire niente. Ma se si
cambiassero delle parole, il senso della frase è il medesimo, ad
esempio, lo sviluppo insostenibile : “E’ lo sviluppo che consente alle
generazioni presente di inquinare e consumare risorse lasciando però
anche alle altre generazioni, si spera, la possibilità di poterlo fare”.
Invece bisognerebbe avere il coraggio di dire, forse già lo hanno fatto,
ma non se ne parla abbastanza, di dire che solamente liberando la
scienza, la tecnologia e la produzione dalle catene dell’economia e del
profitto si può generare uno sviluppo sociale. Non si può essere
ambientalisti e liberali: o si è l’uno, o si è l’altro.
Capitolo 2
Il
compromesso sullo sviluppo
Naturalmente
lo sviluppo sostenibile è basato, come tutte le politiche, sui
compromessi. La mia posizione, quella che è riportata sopra, è
l’approccio critico; ma poi c’è anche quello ufficiale,
che la produzione, confidando nella scienza e nella tecnica senza però
mettere in discussione i valori che sostiene la possibilità di limitare
i dislivelli di sviluppo tra paesi ricchi e paesi poveri solo
incrementando la dominano l’attuale modello di sviluppo (utilitarismo,
economicismo, individualismo, competitività aggressiva..) e il modello
sociale liberista, competitivo e capitalista. Sarà. Ma in questo tipo di
rapporti, c’è sempre chi ci guadagna e chi ci rimette, inevitabilmente.
I disastri
ambientali, il degrado degli ecosistemi e le risorse naturali
costituiscono i segni più visibili dell’insostenibilità dell’attuale
modello di sviluppo; il degrado ambientale si manifesta soprattutto in:
inquinamento dell’ambiente fisico
(aria, acqua e suolo) per mezzo dell’emissione di agenti contaminati e
della formazione di rifiuti;
perdita di biodiversità e delle specie naturali
legata alla riduzione e al deterioramento degli spazi naturali e delle
aree ecologicamente sensibili;
utilizzazione eccessiva delle risorse naturali
(non rinnovabili o rinnovabili a lungo termine) con conseguente rischio
della loro diminuzione e del loro esaurimento.
A seconda
della dimensione geografica di questo degrado ambientale si hanno una
dimensione di carattere locale, circoscritta in zone specifiche,
e una dimensione globale, che si manifesta attraverso l’emissioni
di contaminati e l’utilizzo eccessivo delle risorse energetiche e
naturali che deteriorano l’ambiente globale.
Accordi globali
sulla sostenibilità
Nei vertici
mondiali delle Nazioni Unite i governi stessi, ma anche le ONG, i vari
movimenti sociali trovano un “foro” di discussione adeguato per problemi
globali come quelli relativi alla sostenibilità. Nel diritto
internazionale gli accordi raggiunti si traducono in termini come
Trattato, Patto, Convegno e Convenzione. Importante è sottolineare come
ci siano anche dei vertici alternativi a quelli degli Stati e dei
Governi, come ad esempio il Global Social Forum. Le principali fasi che
hanno costituito il formarsi di Eventi e Trattati sulla politica
ambientale sono stati:
1972
Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite sull’ambiente denominata
“Una sola Terra”. Per la prima volta a livello mondiale dopo il Rapporto
del Club di Roma “I limiti dello Sviluppo” si manifesta a livello
mondiale la preoccupazione per la problematica ambientale.
1973-77 I
Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente, in cui viene
stabilito il principio di “chi inquina paga”. Si definiscono tre linee
di azione: ridurre e prevenire l’inquinamento, migliorare l’ambiente
naturale, e azioni della comunità all’interno delle organizzazioni
internazionali.
1977-81 II
Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente, in cui si ampliano
aspetti come la protezione e la Gestione razionale degli spazi naturali
(Sistema di Cartografia Ecologica), Protezione della Fauna e della
Flora.
1983
Commissione Bruntland.
1982-86
III Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente.
1987
Rapporto Bruntland. Viene formalizzato dalle Nazioni Unite tramite
la commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo “Il nostro futuro
comune” il concetto di “Sviluppo Sostenibile”.
1987-92
IV Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente.
1990
Libro Verde sull’ambiente urbano. Le città vengono riconosciute come
il motore dei cambiamenti. I problemi urbani vengono focalizzati in modo
integrale, tenendo in considerazione gli aspetti ambientali, insieme a
quelli economici e sociali. Questo obiettivo si concretizza nel 1994 con
la Carta di Aalborg.
1992
Conferenza di Rio de Janeiro. Summit mondiale. Costituisce una delle
tappe più importanti in ambito di consenso internazionale sul concetto
di sviluppo sostenibile. Nella Dichiarazione di Rio vengono costituiti
alcuni impegni internazionali importanti, come la Dichiarazione dei
Principi Relativi alle Foreste, la Convenzione sul Cambiamento
Climatico, la Convenzione sulla Diversità Biologica e il punto di
partenza delle negoziazioni della Convenzione sulla Lotta alla
Desertificazione. Viene costituito il Documento Agenda 21 da cui nascono
le 21 Agende locali.
1992-99 V
Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente dell’UE “Verso uno
Sviluppo Sostenibile”. Il suo obiettivo principale è quello di
integrare le politiche ambientali con il resto delle politiche
economiche e sociali dell’UE.
1994
Prima Conferenza delle città europee sostenibili. Aalborg (Danimarca).
Tramite il Consiglio internazionale di iniziative locali per l’ambiente
(ICLEI), ottanta autorità locali europee hanno sottoscritto la Carta
delle città e dei paesi europei verso la sostenibilità (Carta di Aalborg).
Oggi, più di 2000 autorità locali e regionali hanno aderito a questa
campagna.
1995
Conferenza dei Ministri e dei Responsabili per l’ambiente delle Regioni
dell’Unione europea, in materia ambientale, Valencia, con
l’elaborazione della Carta delle nazionalità e delle regioni europee per
l’ambiente (Carta di Valencia).
1996 II
Conferenza delle città europee sostenibili (Lisbona), continuità
della politica ambientale delle città, dalla Carta di Aalborg al piano
d’azione di Lisbona (“Dalla Carta all’azione”).
1996
Conferenza delle Nazioni Unite sugli Insediamenti Umani Habitat II.
Istanbul.
1997
Vertice straordinario Rio + 5. New York.
1998-99
Conferenze regionali. Dopo quella di Lisbona le prossime conferenze
si sono svolte a Turku (settembre 1998), Sofia (novembre 1998), Siviglia
(gennaio 1999; Dichiarazione di Siviglia) e L’Aja (giugno 1999).
2000 III
Conferenza delle Città e dei paesi verso la sostenibilità (Hannover).
In parallelo, l’Assemblea generale dell’ONU approva la “Dichiarazione
del Millennio”, proclamando obiettivi di pace, disarmo, eliminazione
della povertà, promozione dei diritti umani e tutela dell’ambiente
comune.
2002-2012
VI Programma Comunitario d’Azione per l’Ambiente dell’UE. I punti di
partenza sono i principi di: precauzione, prevenzione e “chi inquina
paga”. Una delle azioni chiave su cui si basa questo VI programma è la
strategia per l’Ambiente Urbano, il cui principale obiettivo è quello di
ridurre l’impatto negativo delle città sull’ambiente con lo sviluppo di
piani di gestione (progetti sostenibili di trasporto urbano, costruzione
e progettazione sostenibile di edifici, ecc.).
2002
Conferenza di Rio + 10. II Summit mondiale (Johannesburg). Si è
portato avanti il tema dello Sviluppo Sostenibile con l’obiettivo del
vertice quello di ridurre la povertà e il degrado ambientale.
2004
Aalborg +10. Ispirare il futuro.
2007 V
Conferenza europea delle città e dei paesi sostenibili. Siviglia.
I principali
documenti internazionali sull’ambiente
Agenda 21
L’Agenda 21
è un piano strategico globale adottato da 173 governi in occasione del
Vertice della Terra di Rio de Janeiro del 1992. Esso costituisce un
piano di azione che elabora strategie e misure integrate per contenere
gli effetti del degrado ambientale e per promuovere uno sviluppo
compatibile con l’ambiente e sostenibile in tutti i paesi. Si compone di
40 capitoli, suddivisi in quattro blocchi:
I Le
dimensioni socio-economiche (capitoli 1-8).
II I vettori
ambientali come risorsa per lo sviluppo sostenibile (capitoli 9-22).
III Gli
agenti del cambiamento (capitoli 23-32).
IV Strumenti
di attuazione (capitoli 33-40).
Questo
documento ha aperto la strada alla conoscenza, la promozione e lo
scambio di idee e di opinioni tra i cittadini e le autorità locali, le
organizzazioni civiche, sociali, le associazioni imprenditoriali e
industriali locali, al fine di far aumentare la consapevolezza sui temi
ambientali ad una maggiore pluralità di cittadini, ed aumentare quindi
il consenso verso lo sviluppo sostenibile. Da allora più di 5000 città
in tutto il Mondo hanno iniziato la loro Agenda 21 locale. L’Agenda 21 è
stata assunta dai principi della Carta di Aalborg sulla centralità delle
città nella loro trasformazione verso la sostenibilità: “Il nostro
attuale modello di vita urbana, e in particolare i nostri schemi di
divisione del lavoro e delle funzioni, l’utilizzo del territorio, i
trasporti, la produzione industriale, l’agricoltura, i consumi e le
attività ricreative, e quindi il nostro tenore di vita, ci rende
responsabili di molti problemi ambientali che affettano l’umanità”
(Carta di Aalborg, Danimarca 1994).
Il
Protocollo di Kyoto e la Conferenza di Bali
Il
Protocollo di Kyoto è l’accordo internazionale più importante in
relazione al cambiamento climatico. Esso ha le sue radici nella
Convenzione quadro delle Nazioni Unite a New York, il 9 maggio 1992. In
questa Convenzione vi è stata la pubblicazione del primo rapporto di
valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti
climatici (International Panel Climate Change, IPCC). L’organo supremo
della Convenzione è la Conferenza delle Parti (COP), che riunisce
annualmente tutti gli Stati che hanno ratificato la Convenzione. La
prima Conferenza delle parti (COP1) è stata tenuta a Berlino nel 1995.
Dopo due anni e mezzo di intense trattative, è stato adottato il
Protocollo di Kyoto nella COP3 di Kyoto (Giappone), l’11 dicembre 1997.
Anche se 84 paesi hanno firmato il protocollo, il che significa la loro
intenzione di ratificarlo, molti sono stati riluttanti a far si che il
protocollo entrasse i vigore prima di avere una chiara idea sulle norme
del trattato, dado inizio ad una nuova serie di negoziati, conclusisi
con la COP 7 con l’adozione degli accordi di Marrakesh (2001), che
stabilivano le norme dettagliate di applicazione del protocollo di
Kyoto, così come alcune importanti misure per l’adozione della
Convenzione.
Nel maggio
2002 l’Unione Europea ha ratificato il Protocollo di Kyoto, entrato in
vigore il 16 gennaio 2005, in seguito alla ratifica da parte della
Russia, dato che la sua entrata in vigore deve essere approvata da 55
paesi che rappresentano il 55% delle emissioni dei gas da effetto serra.
Tuttavia, diversi paesi industrializzati hanno rifiutato di ratificare
il protocollo, come gli Stati Uniti e l’Australia. Il protocollo di
Kyoto segna obiettivi vincolanti per le emissioni di gas: diossido di
carbonio (CO2), metano (CH4), protossido di azoto (N2O),
idrofluorocarburi (HFC), per fluorocarburi (PFC) e esafluoruro di zolfo
(SF) per le principali economie mondiali che l’hanno accettato.
L’obiettivo del taglio globale del 5% sui livelli del 1990 dei gas da
effetto serra per i paesi industrializzati oscilla tra la riduzione del
28% del Lussemburgo e del 21% in Danimarca e Germania, e un aumento
massimo delle emissioni del 25% in Grecia e del 27% in Portogallo. I
principali meccanismi su cui si articola il protocollo di Kyoto nei
rapporti con i paesi in via di sviluppo nel raggiunger gli obiettivi
sono:
Il
commercio dei diritti di emissione:
i paesi più impegnati nella riduzione delle emissioni possono vendere i
crediti di emissione in eccesso ai paesi che ritengano più difficile il
raggiungimento degli obiettivi.
L’applicazione congiunta:
questo meccanismo regola i progetti di cooperazione tra paesi obbligati
a contenere o ridurre le loro emissioni, in modo che la quantità di
risparmio grazie a nuove installazioni è condivisa tra i partecipanti al
progetto.
Meccanismi di sviluppo pulito:
questo meccanismo è simile al precedente, diretto ai paesi con impegni
di riduzione delle emissioni in modo che possano vendere o compensare le
emissioni equivalenti che sono state ridotte attraverso progetti
realizzati in altri paesi senza impegni di riduzione, di solito paesi in
via di sviluppo.
Nel dicembre
2007 a Bali, in Indonesia, si è tenuto il terzo incontro di monitoraggio
e il 13° vertice sul clima (COP13). E’ stato raggiunto un accordo su un
processo di due anni chiamato “Mappa di Bali”, che mira a stabilire un
regime post-2012 nella XV Conferenza sui cambiamenti climatici (COP15)
nel dicembre 2009 a Copenhagen, Danimarca.
Gli obiettivi di
sviluppo del millennio
Nel
settembre del 2000 i leader di 189 paesi si sono riuniti presso la sede
dell’ONU a New York e hanno approvato la “Dichiarazione del Millennio”,
un accordo per lavorare insieme per costruire un mondo più sicuro, più
prospero e più equo. I suoi obiettivi, dovrebbero quantomeno essere
tentati di raggiungere entro l’anno 2015 e sono conosciuti come
l’Obiettivo di Sviluppo del Millennio (OMS). Chiunque si rende conto che
sotto nessun criterio oggettivo questi obiettivi possono essere
raggiunti nei tempi prestabiliti, e forse, per molto ancora nei tempi in
divenire. Comunque, gli obiettivi, ahimè ambiziosi, che si era posto
l’Obiettivo di Sviluppo sono:
1
Sradicare la povertà estrema e la fame. Ci sono 800 milioni di
persone con un’alimentazione insufficiente per soddisfare il loro
fabbisogno energetico quotidiano, in modo da poter ridurre della metà,
fra il 1990 e il 2015, la percentuale di popolazione che vive in
condizioni di povertà estrema (con meno di un dollaro al giorno);
garantire una piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso per
tutti, compresi donne e giovani; ridurre della metà, fra il 1990 e il
2015, la percentuale di popolazione che soffre la fame.
2
Garantire l’educazione primaria universale.
Ci sono oltre 115 milioni di bambini in età scolare che, non potendo
andare a scuola, sono privati di questo diritto umano. L’educazione, in
particolare delle bambine, offre benefici sociali ed economici a tutta
la società. L’OMS ha un unico obiettivo, che stabilisce che entro il
2015 tutti i bambini devono poter completare un ciclo completo di
istruzione primaria. Si considerano tre indicatori, il primo si
riferisce ai tassi di iscrizione, il secondo è una misura di
completamento, e il terzo si riferisce ai tassi di alfabetizzazione dei
giovani (dai 15 anni ai 24 anni, uomini e donne).
3
Promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne.
Eliminare la disparità dei sessi nell’insegnamento primario e secondario
preferibilmente per il 2005, e per tutti i livelli di insegnamento entro
il 2015.
4
Ridurre la mortalità infantile.
Ogni anno muoiono 11 milioni di bambini (30000 bambini al giorno) prima
di compiere i 5 anni di età. Ridurre di due terzi, fra il 1990 e il
2015, la mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni è l’obiettivo
del Millennio numero 4.
5
Migliorare la salute materna.
Ogni anno, per oltre mezzo milione di donne la gravidanza e il parto si
concludono con la morte e questo numero moltiplicato per venti
rappresenta il numero di donne che subiscono lesioni o gravi disabilità.
Attualmente vi sono 200 milioni di donne che non hanno accesso ai
servizi di contraccezione sicura ed efficace di cui hanno bisogno. Si
cerca di ridurre di tre quarti, fra il 1990 e il 2015, il tasso di
mortalità materna, e di rendere possibile, entro il 2015, l’accesso
universale ai sistemi di salute riproduttiva.
6
Combattere l’HIV/AIDS, la malaria ed altre malattie.
L’AIDS è diventata la principale causa di morte prematura in Africa
Sub-sahariana e la quarta causa di morte nel mondo, mentre la malaria
provoca un milione di decessi, per lo più bambini, e stima che ha
contribuito a ridurre la crescita economica nei paesi africani di un
1,3%, mentre è ricomparsa anche la tubercolosi.
7
Garantire la sostenibilità ambientale.
Per raggiungere questo obiettivo, si cerca di coordinare alcuni tipi di
politiche: integrare i principi di sviluppo sostenibile nelle politiche
e nei programmi dei paesi, cercando di invertire la tendenza attuale
alla perdita di risorse ambientali; ridurre il processo di annullamento
della biodiversità raggiungendo, entro il 2010, una riduzione
significativa del fenomeno; ridurre della metà, entro il 2015, la
percentuale di popolazione senza un accesso sostenibile all’acqua
potabile e agli impianti igienici di base; ottenere un miglioramento
significativo della vita di almeno 100 milioni di abitanti delle
baraccopoli entro l’anno 2020.
8
Sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo.
Attraverso una partnership mondiale per lo sviluppo, si dovrebbe:
sviluppare al massimo un sistema commerciale e finanziario che sia
fondato su regole, prevedibile e non discriminatorio; tenere conto dei
bisogni dei paesi meno sviluppati; rivolgersi ai bisogni speciali degli
Stati senza accesso al mare e dei piccoli Stati insulari in via di
sviluppo.
Rapporto 2009 sugli
Obiettivi di sviluppo del Millennio
Il rapporto
avverte che a meno di sei anni dal 2015, meta fissata per il
raggiungimento degli OSM, i progressi sono stati lenti per la maggior
parte degli obiettivi che si dovrebbero raggiungere nel 2015 e i
principali progressi nella lotta alla povertà e alla fame si stanno
riducendo, o addirittura invertendosi a causa della crisi economica e
alimentare mondiale. Alcune delle gravi ripercussioni della crisi
economica sono:
a)
Ci sono tra i 55 e 90 milioni in più di poveri.
Nel corso di questo periodo, il numero di persone che vivevano con meno
di 1,25 dollari al giorno è sceso da un miliardo e 800 milioni a un
miliardo e 400 milioni. Nel 2009, si stima che tra 55 e 90 milioni in
più del previsto prima della crisi starà vivendo in condizioni di
estrema povertà.
b)
Ci sono circa 100 milioni in più di affamati.
La prevalenza della fame nelle regioni in via di sviluppo è in aumento,
ed è cresciuta dal 16% nel 2006 al 17% nel 2008.
c) Vi è
più malnutrizione infantile.
d)
Ci sono meno posti di lavoro, soprattutto per le donne.
Esistono meno fondi
per i programmi per migliorare la salute materna, obiettivo per il
quale si sono registrati i progressi minori fino ad oggi.
e) Le
risorse interne e le esportazioni diminuiscono.
f)
Maggior degrado ambientale.
g)
Sono in pericolo gli aiuti dei paesi ricchi.
Dato che la maggior parte delle economie dei paesi dell’OCSE sono in
recessione, compreso il compimento degli impegni presi (che sono stati
espressi come percentuale del reddito nazionale dei paesi donatori)
porterebbe a una diminuzione della quantità degli aiuti, significando
per molti paesi in via di sviluppo riduzione degli aiuti, e quindi
invertendo risultati e progressi già conseguiti.
I
successi raggiunti prima della crisi
sono stai conseguiti nell’iscrizione alla scuola elementare in tutti i
PVS, raggiungendo l’88% nel 2007, un aumento rispetto all’83% registrato
nel 2000; sebbene i tassi di mortalità infantile in Africa sub-sahariana
rimangano i più alti del mondo, le morti dei bambini al di sotto dei
cinque anni sono diminuite ad un tasso costante in tutto il mondo,
nonostante la crescita della popolazione, da 12,6 milioni nel 1990 a
circa 9 milioni nel 2007. A livello globale, il mondo ha ottenuto una
riduzione del 97% del consumo di sostanze che riducono lo strato di
ozono che protegge la Terra, fatto che stabilisce un nuovo precedente
per la cooperazione internazionale.
Capitolo 3
I componenti
principali del sistema ambientale
Aria
L’atmosfera
terrestre è stata soggetta fin dalle sue origini a cambi della sua
composizione, temperatura, autoregolazione. Ma lo sviluppo delle
attività umane ha provocato delle alterazioni del ritmo e della natura
di questi cambi; la rapida crescita urbana, le attività industriali
hanno provocato l’emissione in atmosfera di una enorme quantità di
sostanze nocive che ne hanno la sua qualità. Per verificare
l’inquinamento atmosferico e la qualità dell’aria, si cercano di
individuare tre aspetti su cui poter agire: la causa del problema,
cioè a quale o quali sostanze è dovuto l’inquinamento; l’ambiente
recettore dove vengono emessi i contaminati, e dove presumibilmente
i venti potranno trasportare le sostanze; gli effetti che queste
sostanze possono creare sugli elementi e sugli esseri viventi
dell’ambiente recettore.
Le
principali fonti di inquinamento chimico sono le emissioni e gli
scarichi industriali, la gestione dei rifiuti e degli idrocarburi. Altre
fonti inquinanti sono le miniere e l’agricoltura, soprattutto la
dipendenza dei prodotti agro-chimici. I principali inquinanti
atmosferici sono i gas effetto serra che potenziano i cambi climatici
(CO2, CH4, NOX, SOX…), gli Idrocarburi Aromatici Policiclici (PAHs) e le
particelle (PM10 e PM2.5, secondo il loro diametro in micro). Gli
inquinanti più rilevanti dell’acqua e del suolo sono l’azoto e il
fosforo, i metalli pesanti, le sostanze organo clorurate e gli
idrocarburi.
L’aumento
della concentrazione di determinate sostanze sbilancia le condizioni
chimiche dell’ambiente, altera gli ecosistemi e degenera nella
degradazione della qualità delle risorse naturali. Esistono anche molte
sostanze sintetiche che arrivano all’ambiente e alterano le condizioni
fisico-chimiche dell’atmosfera, del suolo e dell’acqua. Tra le più
dannose vi sono quelle persistenti, con difficoltà a degradarsi
in natura; bio-accumulanti, che si possono accumulare nei tessuti
degli esseri viventi quando vi entrano in contatto (per inalazione,
ingestione, assorbimento cutaneo). La sostanza inquinante entra nella
catena trofica e la sua concentrazione viene apportata alla catena
alimentare in ciò che viene definita bio-magnificazione; tossiche,
il cui inquinamento corrisponde ad un aumento dell’incidenza di
determinate malattie, come l’incidenza di molte forme di cancro e alcune
malattie del sistema riproduttivo.
Acqua
Il contenuto
dell’acqua del pianeta è stimato intorno ai 1300 trilioni di litri; la
maggior parte di essi, il 97,4 %, appartiene agli oceani, il resto alle
acqua dolci. L’acqua è sempre stata considerata una risorsa rinnovabile,
cioè non tendente all’esaurimento, grazie al ciclo dell’acqua,
che attraverso l’evaporazione e la pioggia, restituisce l’acqua alle sue
fonti e quindi a alimentare i fiumi, i laghi e le falde acquifere
sotterranee. Ciò porta ad un equilibrio se l’utilizzo dell’acqua non
supera il volume restituito alla fine del ciclo. Ma nell’ultimo secolo
il consumo di acqua aumenta sempre di più, principalmente il 70% per uso
in agricoltura, soprattutto per un uso inappropriato di tecniche di
irrigazione, e si prevede che per uso industriale il suo consumo
raddoppierà nel 2050, soprattutto nei paesi emergenti come la Cina e
l’India, anche se in proporzione questi paesi consumano di meno rispetto
all’Occidente “democratico”, e lo fanno per ispirarsi e competere con il
sistema economico capitalista imposto quasi brutalmente in ogni parte
del Mondo. Non è escluso, soprattutto nei Paesi più poveri, che possano
esserci delle vere e proprie guerra per l’acqua, soprattutto perché c’è
carenza di acqua potabile.
Suolo
Nella
problematica ambientale relazionata al suolo si distinguono
l’inquinamento, l’erosione e l’inutilizzazione produttiva ed ecologica.
I fattori contaminanti più gravi sono quelli di origine antropica,
provenienti generalmente dall’industria, ma anche da attività agricole e
pastorizie, soprattutto per l’uso dei pesticidi. L’eccessivo
sfruttamento dei suoli dovuto ad una agricoltura intensiva, con
conseguente diminuzione della vegetazione, che apporta materia organica
che arricchisce il suolo, favorisce il lavaggio e l’impoverimento del
terreno grazie alla capacità di ritenzione dell’acqua corrente, sono una
delle cause, dovute all’intensità delle precipitazioni, del dissesto
idrogeologico. Nei suoli degradati si origina infatti un deterioramento
della loro capacità nel mantenere l’attività biologica, una perdita
progressiva di materia organica, la desertificazione. L’erosione
impoverisce i suoli, e se è costante e duratura è l’inizio della causa
della desertificazione.
Rifiuti
A seconda
del loro stato fisico i rifiuti si dividono in solidi, liquidi o
gassosi, e a seconda della loro provenienza in industriali, agricoli,
sanitari e rifiuti solidi urbani. Nel quadro legislativo si distinguono
i rifiuti urbani e i rifiuti pericolosi ( tutti quelli che contengono
nella propria composizione una o più sostanze che gli conferiscono
caratteristiche pericolose in quantità e concentrazioni pericolose per
la salute umana, l’ambiente e le risorse naturali). Per importanza di
volume si distinguono i rifiuti agricoli, seguiti da quelli delle
attività minerarie e industriali, quelli solidi urbani e infine quelli
derivati dalla produzione di energia. La crescente produzione dei
rifiuti è uno dei problemi più urgenti delle società moderne, tanto per
le sue necessità di gestione, quanto per il suo impatto
sull’inquinamento del suolo e dell’acqua, i rischi per la salute, il
consumo di risorse naturali e i gas serra. Il modello di vita raggiunto
dai paesi sviluppati, la società del benessere e del consumo stanno
producendo un notevole incremento del reddito pro capite dei rifiuti
rendendo sempre più insostenibile il sistema (il tasso attuale medio in
Italia supera l’1,6 kg per abitante al giorno).
Impronta
ecologica
L’impronta
ecologica della maggior parte dei paesi sviluppati supera enormemente la
propria superficie, visto che estraggono risorse e scaricano i loro
rifiuti in posti ben lontani dal loro territorio. Da un punto di vista
globale è stato stimato a 1,7 ettari la capacità biologica del pianeta
per ogni abitante, ovvero se dovessimo dividere il terreno produttivo
della Terra in parti uguali, ciascuno degli oltre sei miliardi di
abitanti del pianeta avrebbe diritto a 1,7 ettari per soddisfare tutte
le sue esigenze di un anno. Ad oggi la media del consumo procapite
annuale è di 2,8 ettari. Da ciò si deduce che a livello globale si
stanno consumando più risorse di quanto il pianeta possa rigenerare.
Disastri
naturali
Negli ultimi
venti anni si è riscontrato un aumento della frequenza, dell’impatto e
della gravità dei disastri naturali, che hanno causato la morte di
centinaia di migliaia di persone e provocato enormi perdite economiche.
Dopo lo tsunami che devastò le coste dell’Oceano Indiano il 26/12/2004,
la Conferenza Mondiale sulla Riduzione dei Disastri (Kobé, Hyogo,
Giappone, 18-22/01/2005) approvò tre documenti sull’attenuazione dei
rischi dei disastri naturali, tra cui figura un piano d’azione decennale
per il periodo 2005-2015. I 4000 partecipanti, rappresentanti di 168
Stati, 78 organismi dell’ONU, 161 organizzazioni non governative
adottarono la Dichiarazione di Hyogo, che esorta a promuovere “una
cultura della prevenzione e dei disastri, lo sviluppo sostenibile, le
vite delle generazioni presenti e future su tutti i livelli”.
Natura e
biodiversità
La grande
biodiversità sta retrocedendo in modo allarmante a causa dell’attività
umana. Si calcola infatti che la tassa di estinzione annuale, basandosi
sui numeri di specie per area e considerando la perdita delle foreste
tropicali (approssimativamente 1/3 negli ultimi 40 anni) è di 50000
specie all’anno (solo 7000 quelle conosciute). Ciò corrisponde a 10000
volte la tassa naturale di estinzione, e rappresenta un 5% del totale
delle specie ogni 10 anni. Se vengono mantenuti questi ritmi alla fine
del XXI secolo saranno già scomparsi i 2/3 delle specie della Terra.
Gli Spazi
Naturali Protetti (parchi naturali, riserve naturali, ecc.) occupano
attualmente un 11,5% della superficie terrestre e costituiscono una
delle iniziative di conservazione più conosciute e più prestigiose, ma
se la politica degli spazi naturali protetti non viene accompagnata da
misure generali per la conservazione della diversità biologica (le
specie e gli ecosistemi) nella totalità del territorio, difficilmente si
potranno raggiungere gli obiettivi prefissati. Gli Spazi Naturali
Protetti, quindi, non devono essere entità isolate dal resto del
territorio, bensì devono far parte di un sistema di conservazione in cui
viene contemplata una gradazione naturale, partendo dalle aree naturali,
praticamente inalterate, fino ad arrivare alle città, dove i processi
naturali vengono controllati attentamente.
Capitolo 4
Le risorse
principali e il loro impiego
La
disponibilità di fonti di energia e di materie prime viene descritta in
termini di risorse e di riserve. La risorsa è il quantitativo
totale di un bene esistente sulla Terra relativo a un certo materiale,
ed è prodotto casualmente dagli eventi geologici e biologici. Le risorse
comprendono le fibre naturali, i prodotti agricoli, il legno e tutti gli
altri prodotti dei sistemi biologici, come pure l’acqua, i metalli, i
combustibili fossili (gas naturali, petrolio, carbone), i fertilizzanti
naturali come i fosfati e altri elementi chimici. Per riserva si
intende invece la percentuale di risorse che si può sfruttare con i
mezzi e le tecnologie disponibili, trasformando la risorsa quindi in un
bene merceologico.
Le
risorse non rinnovabili
Carbone,
petrolio, gas naturale sono derivati da sostanze organiche le quali
liberano dalla loro combustione energia immagazzinata milioni di anni fa
dagli alberi e dagli arbusti nelle loro strutture molecolari uniti alle
sostanze assorbite dal terreno e dalla’aria, con vari composti organici,
sotto forma di calore e luce, in combustibili fossili.
I cicli
naturali attraverso cui le sostanze organiche vengono immagazzinate come
combustibili fossili hanno durate dell’ordine di decine di milioni di
anni, e a confronto del ritmo con cui vengono sfruttati, sono da
considerarsi non rinnovabili. Un altro campo di indagini è quello delle
risorse di combustibili nucleari, come l’uranio che si trova in minima
quantità nelle rocce magmatiche intrusive (graniti) e nei filoni che le
accompagnano, dove è presente sotto forma di ossido; la formazione di un
giacimento di uranio richiede, oltre alla presenza di grandi batoliti
granitici, il processo naturale di arricchimento del materiale
attraverso l’alterazione del granito, il trasporto in soluzione
dell’uranio e la deposizione in rocce sedimentarie: questi processi
richiedono processi molto lunghi e quindi anche i combustibili nucleari
rientrano tra le risorse non rinnovabili.
A medio e
breve termine le prospettive migliori riguardano la fissione nucleare
che produce energia bruciando un isotopo fissile dell’uranio per
ottenere plutonio. Bisogna comunque considerare il problema della
sicurezza degli impianti nucleari e della vulnerabilità dell’ambiente
nei confronti di una fuga incontrollata di materiali radioattivi, così
come il problema dello smaltimento delle scorie radioattive, che sono un
sottoprodotto di qualsiasi reattore nucleare, e quello della possibili
diversione di certi combustibili nucleari verso la fabbricazione di
ordigni nucleari; tutto ciò porterebbe ad un rischio ambientale
praticamente incontrollabile.
Il tema
delle risorse limitate riguarda anche l’agricoltura. Anche se sulla
Terra sembra siano presenti vastissime zone da utilizzare per
l’agricoltura, altrettanto grandi sono le limitazioni, seppure non
sempre insormontabili, dovute a diverse cause, come agenti patogeni tipo
la mosca tse-tse, alla oncocercosi, allo scivolamento del suolo e alla
perdita di suolo produttivo a causa della erodibilità; all’aridità
climatica che provoca un esaurimento delle risorse idriche sotterranee,
e all’insufficienza dell’energia luminosa di cui i vegetali necessitano
per compiere la fotosintesi.
Centrale nucleare
Fonti di energia
alternative e rinnovabili
Molto spesso
si confonde il concetto di fonte di energia rinnovabili con quello di
energia pulita. L’energia rinnovabile è quella che si
cerca di utilizzare vista l’esauribilità delle risorse convenzionali
(termoelettriche o nucleari). L’energia pulita di solito
proviene da una fonte primaria rinnovabile, ma non è detto che una fonte
rinnovabile debba essere necessariamente pulita. Ad alcune fonti di
energia pulita e rinnovabile si fa già ricorso da diverso tempo (come ad
esempio l’energia geotermica e quella idroelettrica). Le principali
fonti di energia rinnovabile e pulita sono:
a)
Energia solare
L’energia
solare è la fonte di energia primaria per eccellenza. Ogni anno il sole
irradia sulla terra 19000 TEP (Tonnellate Equivalenti Petrolio), mentre
la domanda annua di energia è di circa 8 miliardi di TEP. Essa è
pertanto la fonte di energia più alternativa, pulita e rinnovabile. Il
suo successo è derivato dalla semplicità dell’installazione degli
impianti, per cui ogni casa dotata di tali impianti può diventare
autonoma per quanto riguarda il soddisfacimento di alcuni bisogni
precedentemente assicurato dall’utilizzo di elettricità prodotta
convenzionalmente e da combustibili fossili (produzione di acqua calda e
riscaldamento). Grazie a dei pannelli scuri che assorbono il calore,
l’energia solare riscalda del liquido o dell’aria che si trova al di
sotto di essi, che a loro volta riscaldano l’acqua per usi domestici,
industriali e agricoli.
Per produrre
energia elettrica sempre attraverso impianti a conversione termica, è
necessaria una vera e propria centrale termoelettrica (conversione
termodinamica). Il calore prodotto dai pannelli trasforma l’acqua in
vapore, il quale viene utilizzato per far muovere una turbina collegata
a un generatore di corrente. L’energia elettrica così prodotta è detta
termodinamica o elioelettrica. Un sistema completamente diverso per
produrre elettricità attraverso l’energia solare è quello dei pannelli
fotovoltaici, costituiti da semi-conduttori al silicio. Il silicio è un
materiale che, se opportunamente trattato, reagisce alla luce solare
producendo energia elettrica senza ulteriori passaggi. L’energia
elettrica prodotta in questo modo è detta energia fotovoltaica.
Pannelli
fotovoltaici e pannelli solari
b)
Energia eolica
L’energia
eolica era già utilizzata in passato per la produzione di energia
meccanica per muovere le ruote dei mulini; oggi l’energia del vento
viene impiegata per produrre energia elettrica attraverso moderni mulini
a vento fatti da lunghe eliche (montate su un asse orizzontale o
verticale) che fanno girare una turbina che trasforma direttamente
l’energia meccanica del vento in energia elettrica. Gli impianti sono di
solito localizzate in aree costiere, in zone montuose e collinari e in
pianura. L’energia eolica è pulita, non lascia scorie di alcun tipo e
non è, se non in minima parte, di ostacolo all’agricoltura; tuttavia
possiede anche alcuni inconvenienti, come lo spazio eccessivamente
elevato per l’installazione delle turbine, l’incostanza del vento e il
costo elevato degli impianti, fanno in modo che la resa di questo tipo
di energia non sia ancora conveniente per la sua bassa resa. Gli
impianti di produzione di energia eolica, specie se di grossa potenza,
hanno un notevole e innegabile impatto paesistico. Le emissioni
acustiche, specialmente quando gli impianti sono localizzati in
prossimità dei centri abitati, rappresentano certamente uno dei
principali fattori di impatto ambientale prodotto dai generatori eolici.
Aerogeneratori
c)
Energia da biomassa
La biomassa,
usata come combustibile per la produzione di energia, è stata la fonte
di energia più diffusa fino all’avvento della rivoluzione industriale.
Attualmente nei PVS l’uso della biomassa sotto forma di legna da ardere
comporta la deforestazione di vaste aree e conseguenze negative sulla
fertilità dei suoli che cadono in rovina, soggetti ad un intenso
processo di desertificazione. Nuove potenzialità offerte dall’energia
prodotta dalla biomassa risiedono nella trasformazione di legna,
prodotti e scarti agricoli, deiezioni animali e rifiuti urbani.
L’energia da biomassa è rinnovabile in quanto è possibile ripiantare
alberi abbattuti e coltivare nuovamente i terreni su cui sono stati
raccolti i prodotti, ma non è pulita poiché genera emissioni di anidride
carbonica (CO2). I principali combustibili ottenuti sono:
-
gas povero, dalla fermentazione di
prodotti secchi;
-
metano, dalla fermentazione di prodotti
umidi (anche letame);
-
etanolo, un combustibile liquido
ottenuto dalla fermentazione di frutta;
-
metanolo, combustibile liquido ottenuto
dalla gassificazione di legna e altri scarti agricoli.
L’energia da
biomassa è prodotta a basso costo, la gassificazione è infatti un
processo altamente standardizzato che consiste nel riscaldare la materia
prima in un ambiente controllato per ottenere gas combustibile,
successivamente bruciato per ottenere elettricità come in una normale
centrale termoelettrica. Dalla fermentazione dei vegetali ricchi di
zuccheri, come canna da zucchero, barbabietole e mais, spesso prodotti
in quantità superiori al fabbisogno, si può ricavare l’etanolo o alcool
etilico che può essere utilizzato come combustibile per i motori a
scoppio, in sostituzione della benzina. Oltre ai vegetali coltivati,
anche i rifiuti vegetali e liquami di origine animale possono essere
sottoposti a fermentazione anaerobica (in assenza di ossigeno). La
biomassa viene chiusa in un pozzo digestore nel quale si sviluppano
micro-organismi che con la fermentazione dei rifiuti formano il biogas.
Questo può essere usato come carburante, combustibile per il
riscaldamento e per la produzione di energia elettrica. Gli svantaggi
connessi all’utilizzo della biomassa sono di due tipi: ambientale,
perché comunque la combustione di rifiuti vegetali ed animali genera
CO2, anche se in maniera relativamente modesta; economico, perché gli
impianti da biomassa sono di piccole dimensioni, e ingrandendole si
aumenterebbe notevolmente l’impatto ambientale, sia nel territorio
circostante che nel traffico stradale e ferroviario. L’utilizzo di
turbine a gas permetterebbe invece di aggirare il problema.
d)
Energia geotermica
L’Italia è stato il primo paese del mondo a sfruttare l’energia
geotermica, con gli impianti di Lardarello, in Toscana. L’energia
geotermica è rinnovabile e sostanzialmente pulita. Si tratta di acqua
calda e vapore prodotti in profondità dal magma che riscalda depositi di
acqua contenuti in rocce sedimentarie porose circondati da rocce
impermeabili. Questi campi geotermici possono essere sfruttati sia per
prelevare acqua calda che per produrre energia elettrica. L’acqua calda
fuoriesce ad una temperatura compresa tra i 50 C e i 90° C, e viene
usata direttamente per il riscaldamento domestico, il termalismo, il
riscaldamento di serre, la piscicoltura e per usi industriali. L’uso di
acqua geotermale ha lo svantaggio di essere spesso carica di Sali
minerali anche corrosivi che bisogna eliminare prima di poterla
utilizzare e per i quali si pone il problema dello smaltimento. Il
vapore, che invece fuoriesce a temperature ben più alte dell’acqua,
comprese tra 130°C e 300° C, può essere utilizzato con efficacia per la
produzione di energia elettrica a basso costo, attraverso una turbina
collegata ad un generatore.
Impianto
geotermico di Lardarello (Toscana)
e)
Energia del mare
L’energia
derivante dalle correnti marine può essere sfruttata sol nel caso di
maree con escursioni di almeno dieci metri. Lo sfruttamento avviene
all’interno di stretti golfi o estuari alla cui imboccatura viene posta
una diga. Quando la marea arriva al suo massimo le pale poste
all’interno della diga vengono sbloccate, l’acqua fluisce attraverso di
esse azionando le turbine che mettono in funzione il generatore.
Esattamente
il contrario avviene in situazione di abbassamento della marea. Il
limite delle centrali di marea sta nell’erosione che esercitano sulle
coste e nell’abbondante sedimentazione all’interno del bacino; per
questo motivo si sta pensando ad impianti più specializzati in modo da
poter modulare la produzione di energia elettrica dividendo la struttura
in più bacini. Con opportune griglie di sbarramento, data la non elevata
velocità delle turbine di questi impianti può essere salvaguardata anche
la flora e la fauna all’esterno dei sistemi.
Si stanno
sperimentando anche altri modi per sfruttare l’energia delle correnti
marine. Uno è quello di sfruttare l’energia elevata delle onde che si
infrangono sulle coste, infatti si è calcolato che l’energia prodotta
dal moto ondoso su un tratto di costa lungo 100 km può soddisfare il
fabbisogno energetico di circa un milione di abitazioni. Tra i metodi
più utilizzati per sfruttare questa energia, è quello di costruire dei
galleggianti opportunamente ancorati in mare e collegati con la terra
ferma su cui si impatta l’energia dello onde. L’oscillazione dei
galleggianti può essere utilizzata per comprimere l’aria contenuta in
apposite camere e poi usata per produrre energia tramite turbine.
Un ulteriore
impiego energetico del mare è possibile attraverso l’utilizzazione delle
differenze di temperatura esistenti tra le acque superficiali e le acque
profonde, particolarmente accentuate nelle zone tropicali. Qui infatti
le acque più calde raggiungono i 30° C fino a una decina di metri di
profondità; a qualche centinaio di metri di profondità invece la
temperatura dell’acqua scende a 4,5°C. Le acque superficiali, più calde,
consentono di far evaporare sostanze come ammoniaca e fluoro; i vapori
ad alta pressione mettono in moto una turbina e un generatore di
elettricità, passano in un condensatore e tornano allo stato liquido
raffreddati dall’acqua aspirata dal fondo. Una differenza di 20°C basta
a garantire la produzione di una quantità di energia economicamente
sfruttabile.
Infine
l’energia cinetica delle correnti marine è una delle fonti più
interessanti ed inesplorate tra le fonti di energia rinnovabile. Con un
solo mq di area intercettata in una corrente di acqua che viaggia a 3
m/s (11 km/h), si possono produrre circa 3 kW. Invece una corrente di
aria che intercetta 1 mq di area, per produrre gli stessi 3 kW, deve
viaggiare a 28 m/s (101 km/h). le turbine per lo sfruttamento delle
correnti marine possono essere (come quelle per l’energia eolica) ad
asse orizzontale o verticale. Quelle ad asse orizzontale sono più adatte
per le correnti costanti (come le correnti presenti nel Mediterraneo),
mentre quelle ad asse verticale sono più adatte alle correnti di marea
per il fatto che queste cambiano direzione di circa 180° nell’arco della
giornata.
Centrale
mareomotrice
f)
Energia idraulica
L’energia
idraulica è una fonte di energia alternativa e rinnovabile, che sfrutta
la trasformazione dell’energia potenziale gravitazionale posseduta da
una certa massa d’acqua ad una certa quota altimetrica, in energia
cinetica al superamento di un certo dislivello, questa energia cinetica
viene poi trasformata in energia elettrica in una centrale idroelettrica
grazie ad un alternatore accoppiato ad una turbina. L’utilizzazione
dell’energia idraulica è un altro modo di sfruttare l’energia solare per
la produzione di elettricità poiché di fatto il ciclo idrogeologico è
attivato dall’energia del sole; è un processo non inquinante, a basso
rischio e a costi non elevati. L’unico inconveniente è dovuto al fatto
che gli impianti di produzione di energia idroelettrica molto spesso
hanno un notevole impatto ambientale non per i gas atmosferici, ma per
lo spazio che occupano. Si fa quindi molto più spesso ricorso al
mini-idraulico, cioè piccoli impianti idroelettrici costruiti spesso
lungo il percorso dei corsi d’acqua.
Centrale
idroelettrica
g)
Idrogeno
Molto spesso
si pensa all’idrogeno come a una fonte di energia, ma in realtà
l’idrogeno deve essere comunque estratto per elettrolisi dall’acqua, o
attraverso vari processi termochimici, da combustibili fossili. Per
questo motivo l’idrogeno è considerato un vettore o un accumulatore, un
memorizzatore di energia. Sfruttando le sue caratteristiche di
“memorizzatore di energia” si potrebbero rendere le fonti rinnovabili,
che molto spesso hanno l’inconveniente di esser discontinue (non c’è
vento, la portata dei fiumi è variabile, il sole può essere coperto),
pienamente sfruttabili, non solo per ottenere energia: se ci fosse
idrogeno in eccesso esso potrebbe essere usato per produrre prodotti
chimici ed industriali come ammoniaca (oggi si ottiene da idrogeno
petrolifero soprattutto per produrre fertilizzanti), metanolo (oggi si
ottiene da petrolio) ecc., ottenendo così un risparmio o non utilizzo di
combustibili fossili (fonte esauribile ed inquinante nell’utilizzo).
Quindi l’idrogeno, allo stato attuale, non è una fonte primaria di
energia ma non è neanche un semplice vettore (come lo è ad esempio la
benzina); se permette il recupero di energia altrimenti dispersa o non
utilizzabile può essere considerato una vera e propria fonte di energia
primaria e rinnovabile come tutti i sistemi che permettono il recupero e
il risparmio energetico.
Lo sfruttamento dei
materiali litologici
L’energia
non è l’unica risorsa che l’uomo preleva dai depositi della Terra ma
anche una quantità di materiali litologici diversi che costituiscono le
materie prime per una quantità di prodotti. Infatti l’industria dipende
da circa 80 tra minerali e materie prime, alcuni disponibili in gran
quantità altri già scarsi. Per alcuni minerali come lo zolfo, lo stagno,
lo zinco e il tungsteno il problema delle risorse è particolarmente
sentito; anche per la durata delle riserve minerarie il problema non è
solo quello della disponibilità dei singoli minerali ma anche un
problema economico e politico legato alla distribuzione disomogenea di
queste risorse concentrate in alcune zone della crosta terrestre. Un
altro importante aspetto dello sfruttamento delle risorse è il risultato
dell’interferenza tra processi di sfruttamento su vasta scala e processi
di evoluzione naturale della superficie terrestre che va sotto il nome
di impatto ambientale. Ultimamente gli interventi dell’uomo nei processi
naturali sono così profondi e rapidi da causare effetti diretti e
indiretti tali da non poter essere riassorbiti dal sistema senza gravi
alterazioni.
E’ spesso
l’industria pesante la grande accusata delle alterazioni maggiori
prodotte nell’ambiente, ma molte altre volte sono altre le sedi non meno
colpevoli di dissesti e danni, come la produzione agricola, la
costruzione edilizia o lo stesso consumo finale (inquinamento
atmosferico per circolazione di autoveicoli). Allora, dopo aver attuato
alcune scelte base, la sfida evolutiva deve essere imperniata sulle
tecnologie innovative che devono orientarsi su processi non inquinanti,
sulla prevenzione piuttosto che sulla corsa ai ripari e sul risparmio
delle risorse piuttosto che sul loro sperpero.
Capitolo 5
Ecologia e ambiente
naturale
L’ecologia
, un termine abbastanza moderno, coniato dal biologo tedesco Ernst
Haekel (1834-1919) nel 1866, deriva dalla composizione di due parole di
composizione greca : eco (da oikos che letteralmente
significa “casa” nell’accezione più generale dell’ambiente dove si
vive), e il suffisso logia (da logos, che significa fra
l’altro “spiegazione”, “ragionamento”), che compone il nome di molte
discipline scientifiche e umanistiche (biologia, geologia,
paleontologia, filologia, archeologia ecc.). Essa è la scienza che
studia l’organizzazione degli organismi vegetali, animali, umani,
analizzando cioè l’ambiente nei suoi rapporti di equilibrio con gli
esseri viventi, studiando i fattori e gli elementi che favoriscono
ovvero perturbano tale equilibrio. Dunque, l’ecologia è lo studio di
tutti gli esseri viventi nella loro interazione con l’ambiente in cui
vivono.
Funzionamento dell’ambiente
L’energia
solare alimenta, direttamente o indirettamente, tutti i cicli vitali
degli organismi terrestri. Essi non sono mai indipendenti l’uno
dall’altro, ma si collegano in catene e sistemi, attraverso una serie di
rapporti essenziali per la sopravvivenza di ciascuno di essi. L’uomo
rappresenta solamente una delle moltissime forme di vita che esistono
sulla terra. Tuttavia, la superficie terrestre non presenta, nonostante
la sua estensione, situazioni uniformi per la vita: le variazioni delle
condizioni climatiche in conseguenza della latitudini, dell’altitudine,
della morfologia, della vicinanza o della lontananza di masse d’acqua,
della capacità dello rocce di accumulare calore, insieme alle differenti
caratteristiche di fertilità dei suoli creano, indipendentemente dalle
azioni modificative dell’uomo, una serie diversificata di situazioni
ambientali, e dunque di condizioni delle possibilità di vita. E’ pur
vero che la presenza di caratteri abbastanza simili permette di
identificare ambienti naturali omogenei, nei quali le forme di vita
presentano condizioni relativamente uniformi, facilitandone lo studio e
la comparazione.
Si tratta di
ambienti omogenei, che potrebbero essere identificati e classificati a
seconda delle caratteristiche, nell’ambito di una dettagliata analisi
del territorio. Così il deserto del Sahara rappresenta un ambiente
fisico di grandi dimensioni: ma, al suo interno, si può identificare
l’ambiente più umido rappresentato da un’oasi, e all’interno dell’oasi
quello costituito dallo stagno che si è formato presso il pozzo al
centro dell’oasi. Dunque deserto, oasi acquitrino rappresentano tre
ambienti molto differenti l’uno dall’altro, osservati con dettaglio e
scala diversi, uno contenuto all’interno dell’altro. Diversa, rispetto
alla nozione di ambiente naturale, è quella di sistema ecologico, o
ecosistema, che è caratterizzato non tanto dalle sue qualità naturali,
quanto dalla presenza di una serie di elementi viventi e dalle relazioni
di controllo che si sono create fra essi.
Ciascun
ecosistema è ospitato in ambienti naturali tendenzialmente omogenei: gli
elementi che lo compongono, e le relazioni che collegano gli stessi,
tendono a essere costanti, facendo in modo che ogni ecosistema finisce
per caratterizzare durevolmente la porzione di superficie terrestre che
lo ospita. Si possono quindi individuare ecosistemi molto differenti,
racchiusi uno nell’altro: il deserto del Sahara è un ecosistema di
grandi dimensioni, con forme di vita molto rarefatte a causa delle
condizioni di aridità, caratterizzato da un certo tipo di vegetazione
xerofita e da animali in grado di resistere al calore e alla mancanza
d’acqua. Nel deserto si trovano gli ecosistemi delle oasi, dove la
biomassa vegetale è molto elevata per la presenza di una falda acquifera
più o meno abbondante, e dove possono sopravvivere molti animali che non
resisterebbero alle condizioni del deserto. Nel cuore dell’oasi si può
identificare un altro piccolo ecosistema nell’ambiente acquitrinoso
intorno alla sorgente, con vegetazione e animali ancora diversi. Lo
studio degli ecosistemi e delle relazioni fra le diverse forme di vita e
fra le stesse e l’ambiente fisico è iniziato in modo scientifico
nell’Ottocento, e ha trovato con E. Haekel, che si era ispirato alle
teorie di Charles Robert Darwin 81809-1882), la prima sistemazione
razionale.
Ogni
ecosistema viene considerato come un sistema limitato e confinato
nell’ambito di determinate condizioni naturali, presupponendo che abbia
scarse relazioni con gli altri ecosistemi. In realtà, sulla superficie
terrestre, esiste un unico ecosistema chiuso, quello della biosfera
o ecosistema terrestre, dove ciascun elemento è legato tramite relazioni
a volte impercettibili a tutti gli altri. Una trasformazione delle
condizioni degli ecosistemi. Una trasformazione delle condizioni di un
ecosistema finisce alla lunga per trasferirsi in qualche modo anche
sugli altri, con conseguenze che l’uomo non riesce sempre a prevedere e
a controllare. Ciascun ecosistema esprime una biomassa, cioè una massa
di vita vegetale ed animale, proporzionata alle risorse ambientali che
ha a disposizione.
Le
condizioni di vita sulla Terra sono legate per gran parte a due fattori,
calore e acqua, quindi negli ambienti caldi e umidi la biomassa assume
forme più vistose, come, per esempio, nell’ecosistema della foresta
pluviale amazzonica, mentre essa si riduce progressivamente quando acqua
e calore diminuiscono per raggiungere il minimo nei deserti, sulle
montagne più alte e nelle regioni polari. Nella biomassa possono
prevalere le forme della vita vegetale, come nella foresta pluviale
amazzonica, oppure quella della vita animale, come nella savana
africana. Ma in ogni caso, tutti gli esseri viventi presenti
nell’ecosistema sono collegati uno all’altro in una serie di relazioni
reciproche, come quella della catena alimentare, che tendono
all’autoregolazione. Il modo in cui si manifestano le relazioni fra i
diversi elementi del sistema può variare a seconda del tipo di
interdipendenza fra gli stessi, ma in ogni ecosistema tende a creare una
dinamica di azione e retrazione (o feedback) positiva o negativa, che
finisce per raggiungere un equilibrio fra l’ambiente fisico e l’insieme
della biomassa, grazie all’intervento di tutti gli elementi che si
controllano l’uno con l’altro. Se la vegetazione erbacea aumenta di
quantità per effetto di un aumento delle piogge, anche gli erbivori
aumentano di numero e mangiano complessivamente più erba.
Ma, se sono
aumentate le gazzelle, le antilopi, le giraffe e le zebre, anche i
carnivori crescono di quantità, in quanto hanno più nutrimento a
disposizione e possono aumentare di numero fino a quando la vegetazione
non comincia a diminuire a causa del pascolo eccessivo, con la
conseguenza che anche gli erbivori si riducono e così si diminuiscono le
occasioni di cibo per i carnivori. Il risultato finale è che una
stagione particolarmente piovosa mette in moto una serie di relazioni
fra gli elementi dell’ecosistema della savana in modo da mantenerli
tutti sotto controllo: quando le piogge torneranno normali sarà facile
riportare tutto l’intero sistema delle condizioni di equilibrio
iniziali. In questo modo, con queste continue relazioni di azione e
retroazione fra tutti gli elementi, ogni ecosistema si mantiene in un
equilibrio che rimane più o meno stabile, pur nelle sue oscillazioni,
fino a quando le condizioni generali non vengono modificate stabilmente.
Da quando
l’uomo è comparso sulla terra i grandi cambiamenti delle condizioni
ambientali sono stati pochi e modifiche drammatiche degli ecosistemi in
conseguenza di cause naturali non ce ne sono state o sono state
limitate. La capacità degli ecosistemi di rimanere in equilibrio,
l’equilibrio naturale, ha permesso una sostanziale stabilità delle forme
di vita sulla terra per tempi estremamente lunghi. Anche l’uomo, per
lunghissimo tempo, non ha avuto la capacità di sostituire la sua volontà
alle leggi naturali, e ha dovuto accettare le condizioni imposte
dall’ambiente come tutti gli altri animali, con tutti i rischi e le
limitazioni che esso impone a tutte le specie viventi, e pertanto gli
ecosistemi che ospitavano l’uomo continuarono a rimanere più o meno
statici. Ma la rapida evoluzione dovuta all’homo sapiens ha portato
anche a grandi cambiamenti: per milioni di anni la massima velocità è
stata quella dell’uomo in corsa (5/20 km/h).
Poi è stata
inventata la ruota, addomesticato il cavallo, utilizzato la forza del
vento per navigare sull’acqua, raggiungendo una velocità superiore e una
maggiore capacità di carico. Nella prima metà dell’Ottocento, con la
macchina a vapore, si è riusciti ad aumentare sia la velocità che il
carico di molte persone e materiali. Nel 1899, con il motore a scoppio,
si sono raggiunti e superati i 100 km/h e, negli ultimi cinquanta anni,
col motore a razzo e col motore a reazione, ha superato la velocità del
suono.
Tutto ciò ha
modificato enormemente il rapporto fra uomo e ambiente naturale; la
natura non è più considerata immodificabile. Di conseguenza,
l’aggiustamento dell’equilibrio dell’ecosistema tramite i meccanismi di
feedback non è più praticabile, poiché l’uomo interviene continuamente,
con tutte le sue capacità, per modificare le situazioni negative
alterando a suo favore il quadro ambientale.
Per chiarire
questo concetto consideriamo come un’alterazione temporanea del quadro
ambientale, tipo una siccità prolungata, possa essere affrontata e
superata, producendo sì effetti economici anche rilevanti, ma certamente
non mortali proprio perché il territorio è stato modificato e
organizzato per far fronte a eventi di questo genere. Intervengono
bacini artificiali e riserve di acqua, con canali e pompe per il
trasporto dell’acqua nell’area colpita. Se manca il cibo, si ricorre
alle riserve accumulate nei depositi; se i depositi si svuotano, si
ricorre al mercato internazionale. Alla fine del periodo negativo la
popolazione è rimasta sempre nella stessa quantità e si è accorta
dell’evento solamente perché il prezzo delle derrate alimentari è
aumentato più o meno sensibilmente.
Il progresso
ha portato certamente dei benefici notevoli in tutti i campi,
nell’alimentazione, nella sanità, nell’istruzione, nella sicurezza,
nelle esigenze spirituali. Per fare questo però si è dovuto modificare
sempre di più l’ambiente naturale. Sono state distrutte foreste che
occupavano spazi adatti all’agricoltura, bonificate le paludi, eliminate
le aree umide.
Sono state
costruite dighe per sbarrare i corsi d’acqua, canali per portare e
deviare l’acqua in zone aride. Sono sparite una grandissima quantità di
specie vegetali e animali per diffondere quelle poche piante e quei
pochi animali che ci sono immediatamente utili. Sono state edificate
città, costruite strade, ferrovie, porti, estratti dal sottosuolo enormi
quantità di minerali che poi sono stati consumati per costruire
strumenti di produzione o ricavare energia, costruite centrali nucleari
distribuendo nei mari, nell’atmosfera e sulla terra grandi quantità di
residui di vario genere. Da ultimo, sono state prodotte, con ibridazioni
genetiche, piante e animali più adatti alle sue esigenze, arrivando fino
alla soglia sul patrimonio genetico dell’essere umano.
Riflessioni
sull’ambiente
A partire
dagli anni Settanta, ma soprattutto negli ultimi venticinque anni, è
cresciuta gradualmente la preoccupazione di conoscere come le attività
umane possono alterare l’atmosfera della Terra. E’ ormai abbastanza
condivisa l’opinione che la composizione atmosferica stia cambiando e
che sono gravi le conseguenze di questi mutamenti. I grandi problemi
dell’impoverimento dell’ozono stratosferico, dell’effetto serra e della
diffusione planetaria dell’inquinamento dell’aria sono tra loro
collegati in vari modi. La crescita della popolazione mondiale e la
conseguente maggiore richiesta di energia, cibo ed acqua ne sono una
causa specifica. L’impoverimento dello strato di ozono stratosferico e
l’effetto serre sono strettamente connessi in quanto i
clorofluorocarburi (CFC), i quali hanno giocato un ruolo importante
nell’impoverimento dello strato dell’ ozono (i composti più leggeri
contenenti cloro e bromo, i più dannosi per lo strato di ozono, sono
ormai stati abbandonati e resi illegali), sono anche dei gas ad effetto
serra molto potenti. Inoltre il raffreddamento della stratosfera
causato dall’effetto serra, a sua volta, altera la chimica
dell’atmosfera e accelera, di conseguenza, l’impoverimento dell’ozono.
Esistono
altre correlazioni causa-effetto tra questi problemi atmosferici su
scala globale: ad esempio, l’uso dei combustibili fossili immette
nell’atmosfera non solo gas serra ma anche altri inquinanti che,
trasportati a lunghe distanze, danno origine all’inquinamento trans
frontiera. Anche per quanto riguarda le foreste tropicali grande è stata
la sensibilizzazione. Esse contengono la metà delle specie della fauna e
della flora mondiali, forniscono materie prime e contribuiscono a
mantenere le riserve d’acqua, prevengono l’erosione del suolo,
l’interramento dei bacini artificiali e le inondazioni. Il clima
globale, regionale e locale è correlato alla salute delle foreste
tropicali.
La
deforestazione è ritenuta responsabile del mancato assorbimento del
20-25% delle emissioni globali legate ad attività umane di biossido di
carbonio e del 10-40% di quelle totali 8naturali e antropiche) di
metano; essa contribuisce inoltre alle concentrazioni di ossido nitroso,
ozono, monossido di carbonio ed altri gas responsabili del riscaldamento
planetario. A livello regionale, la deforestazione può ostacolare il
trasferimento di umidità e di calore latente dai tropici alle latitudini
più elevate, influenzando il clima delle zone temperate. A livello
locale, la totale o parziale rimozione del manto forestale può provocare
l’inaridimento del microclima dando luogo ad un aumento degli incendi di
origine spontanea che impediscono la naturale rigenerazione della
foresta.
Foresta pluviale e
foresta amazzonica
Immagini di savana
africana
Taiga
siberiana
Tundra
Steppa della
Mongolia
Deserto
del Sahara
Oasi del deserto del
Sahara
Considerazioni
personali
Avevo
iniziato il discorso sullo sviluppo insostenibile, da qui riparto.
Quando si dice che c’è inquinamento, che aumenta il dissesto
idrogeologico, che l’acqua è sempre di meno e sempre più inquinata si
dicono tutte cose vere, ma si sta sempre al punto di partenza: si
segnala il problema, ma non se ne dà una possibile soluzione. Per fare
degli esempi, come nell’ultimo caso, l’ennesimo per la verità, che si è
verificato a Genova, sul dissesto idrogeologico, si attribuiscono colpe
ai modelli matematici, alla mancata coordinazione tra autorità politiche
e protezione civile, al fatto che era stata data l’allerta ma nessuno
l’aveva rispettata.
In realtà
tutti sono in parte consapevoli e colpevoli di questi danni, anche
quelli che davanti ad una telecamera si presentano come
superambientalisti, ma che fino al giorno prima sono stati fautori dello
Stato libero da “lacci e lacciuoli” soprattutto nell’allargamento
smisurato delle opere edili. Il dire “L’avevo detto, l’avevo previsto, è
tutta colpa del dissesto idrogeologico”, è come il discorso sullo
sviluppo sostenibile, cioè si sta sempre al punto di partenza di
segnalare il problema senza darne una possibile soluzione. Ammettiamo,
per assurdo, che io voglia candidarmi alla carica di Sindaco (alla quale
non penso minimamente) o a quella di Consigliere (quella si, almeno ho
qualche giorno di dispensa dal lavoro) del mio comune, Narni, in
provincia di Terni, e che io basassi la mia campagna elettorale sulla
prevenzione del dissesto idrogeologico. Andrei in giro per le case nelle
varie frazioni dicendo che non si può allargare casa per prevenire il
dissesto idrogeologico, che non si possono sbancare terreni, che bisogna
fare in modo che non si prendano troppo le macchine perché se no si
consuma troppa CO2, che non si devono comperare troppe merci ma solo lo
stretto necessario per poter vivere e consumare meno rifiuti, quindi
bastano due paglia di scarpe l’anno, due paglia di calzoni, maglioncini,
camice e magliette… Avrei tutti contro, costruttori edili, commercianti,
semplici cittadini che soprattutto in campagna vogliono poter facilmente
aumentare la cubatura di casa. Prenderei pochissimi voti.
Discorso
analogo vale per l’acqua, così come per l’energia e per altri beni. Lo
sappiamo tutti che la dispersione dell’acqua è dovuta all’incuria delle
persone, che magari quando si vanno a fare la barba per tutto il tempo
lasciano scorrere il rubinetto aperto quando basterebbe un semplice
gesto per aprirlo ogni volta che uno si deve togliere la schiuma; così
come sappiamo che la dispersione degli impianti idrici, divenuti ormai
obsoleti, è una operazione troppo costosa che nessun privato se ne
accollerebbe l’onere, ne lo Stato, prima perché non ha più competenze
nel settore, poi perché non ha i mezzi necessari.
Io propongo
una questione: se veramente si dice che c’è crisi economica e c’è crisi
ambientale, prima di tutto concordo con voi, la prima crisi è quella
delle coscienze, che poi genera le altre. Non che non ci siano, ma
sicuramente sono enfatizzate dai mezzi di informazione. Dato che certi
settori sono indispensabili per la vita, come il lavoro, la scuola, la
salute, proviamo per un anno, magari cominciando da autorità più piccole
(poi se ci dovesse essere un’emergenza, si riuniscono i grandi della
Terra e decidono sul da farsi), non se ne può fare a meno, necessitano
di energia, di acqua, di riscaldamento. Proviamo a risparmiare per un
anno togliendo settori che non sono indispensabili per la vita di tutti
i giorni, come ad esempio lo sport, il cinema o la musica. Non che io
sia contro di loro, anzi mi appassionano tutti.
Chiediamoci
ad esempio quanto consuma una squadra di terza categoria dopo che finito
l’allenamento, gli atleti si vanno a fare una doccia. Moltiplicate
questa cifra per tutte le squadre di terza categoria, poi per tutte le
serie, fino alla serie A, per tutti gli sport di squadra con tutte le
serie, poi per tutti gli sport, poi per tutti gli Stati. Non immagino
neanche pensare la cifra che viene fuori. Stesso discorso vale per la
musica, per le discoteche, per quei beni insomma cosiddetti ricreativi.
Bisogna eliminare lo sport? No, si potrebbero fare dei calcoli per
assurdo di quante risorse vengono dedicate a settori non fondamentali
per la vita, quelli la cui mancanza non comprometta la nostra esistenza
(ammesso appunto che esista questa crisi ambientale). Si tratterà di
sostituire alcuni componenti. Così invece di dedicarsi alle partite di
calcio o all’automobilismo, ci si dedicherà allo yoga, alle arti
marziali o alle passeggiate, ai balletti popolari e ai canti di paese.
Come dice il Presidente di Slowfood, Carlo Petrini, dobbiamo tornare ad
essere contadini, ad ascoltare l’energia che viene trasmessa a noi dalle
piante o dagli animali. Un’altra considerazione che voglio fare, è
quella del Presidente rieletto della Bolivia, Evo Morales:
« Bisogna
pensare a modelli diversi di società rispetto al capitalismo.
Non è accettabile che nel XXI secolo alcuni paesi e
multinazionali continuino a provocare l'umanità e cerchino di
conquistare l'egemonia sul pianeta. Sono arrivato alla
conclusione che il capitalismo è il peggior nemico dell'umanità
perché crea egoismo, individualismo, guerre mentre è interesse
dell'umanità lottare per cambiare la situazione sociale ed
ecologica del mondo. » |
(Evo Morales) |
Solamente
così penso, secondo naturalmente il mio punto di vista, cambiare le
cose, se veramente questa crisi sembra irreversibile. E concludendo, il
mio pensiero sulla natura e sulla Terra cerca di avvicinarsi, anche se
non riuscirà ne a me ne a nessuno, al Cantico delle Creature o di Frate
Sole di San Francesco d’Assisi:
«Altissimu,
onnipotente, bon Signore,
tue
so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te
solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor
lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu
e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài
formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et
sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile
et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la
nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne
sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et
herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et
sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati
quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale
nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata
mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la
morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate et serviateli cum
grande humilitate ».
Giulio Tiradritti |