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È sempre più amato dal pubblico il Lucio Battisti
dei ‘dischi bianchi’.
di Moira Di Gianfilippo
Il 30 aprile scorso al Pub Lord Lichfield di Roma si è
tenuta una serata interamente dedicata a Lucio Battisti, il compianto
compositore e cantante italiano autore di moltissime canzoni di
successo. L’avvenimento sembrerebbe del tutto normale visto che dalla
sua morte, avvenuta il 9 settembre del 1998, molte sono state le
manifestazioni a lui dedicate promosse dai fans, mai parche di
partecipazioni massicce. La particolarità dell’evento del mese scorso
però è stata nella scelta dei brani eseguiti dal cantante Roberto
Pambianchi, che non solo possiede un timbro vocale molto simile a
Battisti, ma ha anche scelto di interpretare esclusivamente canzoni
dell’ultimo periodo del cantautore: i cosiddetti ‘dischi bianchi’, così
soprannominati dal colore delle copertine, scritti in coppia con
l’autore di testi Pasquale Panella. Si tratta delle canzoni più
difficili e controverse dell’intera produzione battistiana, in netto
contrasto con quelle più immediate e di facile interpretazione composte
con Mogol, al secolo Giulio Rapetti, negli anni d’oro che vanno dal 1965
al 1980.
La carriera di Lucio Battisti è sempre stata segnata
dall’innovazione, dalla ricerca musicale e dall’originalità assoluta che
contraddistingue ogni brano senza farlo mai somigliare al precedente.
Precursore dei tempi e dedito esclusivamente al suo lavoro tanto da
allontanarsi definitivamente dai mass media, l’artista ha alimentato un
mito che risulta ancora oggi attuale e amato dalle generazioni passate
come da quelle odierne: sono in numero sempre crescente i giovani che
scoprono in Battisti un talento immortale che lo rende il cantautore
italiano più importante da quarant’anni a questa parte. Oggi non è raro
imbattersi in ventenni che strimpellano sulla chitarra ‘La canzone del
sole’ o ‘Mi ritorni in mente’, o in altrettanto giovanissimi che,
ascoltando la radio, cantano a squarciagola ‘Acqua azzurra, acqua
chiara’ o ‘Pensieri e parole’.
E i giovani l’hanno fatta da padrone anche durante la
serata svoltasi al pub nel cuore di Roma, a due passi da Viale Marconi;
pochi erano quelli sopra i 40 anni che intonavano, seguendo alla lettera
Pambianchi, ogni canzone dal testo ricco di neologismi e giochi di
parole creato da Pasquale Panella a supportare le melodie degli ultimi
10 anni di lavoro di Battisti.
Chi conoscesse Lucio Battisti solo per le produzioni più
famose, sarebbe rimasto alquanto perplesso nell’udir cantare, ad una
sola voce, frasi del tipo: ‘ricordo il suo bel nome Hegel Tubinga ed io
avrei masticato la sua tuta da ginnastica’ o ‘stemperi e riempi, come
dire, centotrè vasetti di liquido con colore diluito’. Eppure è la
poetica innovativa che il cantautore ha voluto a partire dal 1986 fino
al 1994 quando, probabilmente per i motivi di salute che lo hanno poi
portato alla morte, Lucio Battisti ha pubblicato il suo ultimo lavoro: è
il periodo che tutti chiamano ‘post Mogol’. Il disco di rottura con il
poeta Giulio Rapetti, in realtà, vide autrice dei testi la moglie del
cantautore con lo pseudonimo Velezia; si tratta di ‘E già’, uscito nel
1982 e ancora oggi al centro di dibattiti sul loro reale autore. Per le
situazioni descritte ed alcuni accenni all’amore per la musica, c’è chi
sostiene che siano stati scritti di proprio pugno dallo stesso Battisti.
Nessun dubbio sulla paternità di ‘Don Giovanni’,
‘L’apparenza’, ‘La sposa occidentale’, ‘Cosa succederà alla ragazza’ e ‘Hegel’,
firmati dall’autore romano Pasquale Panella; giocoliere di parole e
frasi, il poeta utilizza la lingua italiana nelle sue espressioni più
alte e criptiche, dando adito a interpretazioni sempre diverse di questa
o quella frase, lanciandosi nella filosofia più profonda o nella figura
retorica più desueta. Un metodo non facile per scrivere canzoni ma che
per Lucio Battisti significava poter apporre o adattare melodie
altrettanto innovative, giocando a sua volta con campionatori ed
elettronica e potendo sfruttare a pieno quella creatività che,
contrariamente a quanti molti sostengono, ha raggiunto l’apice proprio
con quest’ ultima produzione. Si va da canzoni orecchiabili tanto da
essere reinterpretate dagli attuali complessi musicali (‘La metro
eccetera’ del 1992 è stata ripresa dagli 883, ad esempio) a veri e
propri scioglilingua come ‘La voce del viso’ che, non a caso, è l’ultima
canzone dell’ultimo CD uscito nel 1994; in essa, come a voler
schiacciare l’occhiolino ai nostalgici del passato, Battisti utilizza un
gustoso falsetto che contribuisce a rendere la canzone un vero e proprio
rompicapo per chi tenti di canticchiarla.
Anche questo Battisti così particolare ha i suoi fans e
non parliamo di un gruppo di nicchia composto da pochi, ma di un
pubblico in continua crescita: per circa cento partecipanti alla serata
del 30 aprile ce n’erano almeno il doppio che, vivendo in città lontane
dalla capitale, si accontentavano di scrivere nelle apposite discussioni
create dai gruppi nati spontaneamente su Facebook a supporto di tutti
coloro che non amano esclusivamente il Mogol-Battisti, ma Lucio Battisti
nella sua totalità. Chi ama l’artista scomparso riesce a scorgere in
queste canzoni l’espressione massima dell’idea che egli aveva di ricerca
musicale; c’è tutto: la poetica ricercata nelle parole, la ritmica
moderna, la melodia innovativa negli accordi e nelle frasi armoniche e
lo stile inconfondibile di un autore come Lucio Battisti.
Moira Di Gianfilippo |